Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2010 “La falena” di Priscilla Inzerilli

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2010

Decisamente, non c’era più nulla che potesse sorprenderlo, ormai. Rigirò distrattamente il telecomando tra le mani – tra poco il caffè sarebbe stato pronto- mentre le immagini di fumo e di morti ammazzati quotidiani, preferibilmente al di sotto della maggiore età, sfilavano quasi pigramente sullo schermo della televisione, come sottofondo a quell’ennesimo risveglio intontito.

Erano le nove e mezza di mattina e fuori pioveva svogliatamente ma insistentemente; un’umidità, un grigio e una desolazione che avrebbero spento anche il sorriso sardonico del Fo, ma era sabato mattina e lui non avrebbe messo il naso fuori nemmeno in caso di imminente minaccia atomica. D’altra parte, oggi probabilmente lei sarebbe anche venuta a riprendersi il divano, quel divano. Positivo, estremamente positivo. D’altra parte, quel divano non lo aveva mai sopportato -cristo- i divani sono fatti per sedersi, comodamente se possibile, non a stare geometricamente a novanta gradi come se si avesse una stecca nella schiena, che però fa tanto chic. D’altra parte glielo aveva sempre detto, che non lo sopportava, ma tanto lei era interessata soltanto ad essere “properly” davanti agli amici, e anche – probably – a contraddirlo. D’altra parte ora se lo sarebbe tolto di torno, d’altra parte lei se ne sarebbe tornata a Londra – forever, darling – d’altra parte lui aveva proprio bisogno di staccare per un bel po’, d’altra parte quello stramaledetto caffè non voleva uscire, d’altra parte in Tv non c’era un tubo, meglio la radio, un po’ di musica almeno.

Il caffè era finalmente pronto – quante gioie quella mattina – la macchinetta gorgogliò a mò di segnale come un usignolo con la raucedine e l’agognante tazza fu finalmente riempita dello scuro e denso nettare.

Fuori ancora la mandava – Ah! Sabato mattina! – iniziò a bere il caffè appoggiato alla parete della cucina, con lo sguardo fisso oltre il vetro della finestra – che bohémien – con i Ramones che gli fornivano un delicato e attualissimo sottofondo con i loro monotoni riff rivoluzionari, e mentre stava per accorgersi che il “nettare” era totalmente bruciato sul fondo – si portasse via anche quel catorcio di macchinetta del caffè – la vide, immobile, che si stagliava sul bianco dell’anta del frigorifero.

Fissò per qualche secondo la farfalla; il caffè era proprio bruciato. Magari era rimasto qualcosa in dispensa, come quella confezione di cornettini per la colazione, ma proprio non ce la faceva a mettere niente nello stomaco, troppa acidità.

Guardò di nuovo la farfalla. Posò la tazza sporca nel lavello e gli diede una sciacquata; ora che la guardava meglio si accorgeva che in realtà si trattava di una falena. C’era rimasto un po’ di latte in frigo, ma no, il caffè bruciato bastava.

La falena si mosse. Si staccò dall’anta e sbatté un paio di volte su di essa, provocando un lieve tuc tuc. Finalmente i Ramones avevano lasciato il posto ai più digeribili Deep Purple, anche se per quanto lo riguardava un bel pezzo di elettronica non lo avrebbe affatto scontentato, ma si sa, raramente in radio è possibile ascoltare della musica.

La falena si staccò del tutto dal suo appoggio e prese a volare verso il soffitto, battendo freneticamente le ali scure e impattando più volte sulla sua superficie. Tuc tuc.

Spense il gas e si avviò verso la porta della cucina. Sperava veramente che quel giorno lei venisse a riprendersi quel dannato divano. Aveva detto che glielo avrebbe lasciato, così non se ne sarebbe dovuto comprare uno nuovo – troppa grazia – ma a onor del vero lui non ne aveva proprio bisogno, il pavimento era perfetto.

All’improvviso, in un attimo, la falena gli fu davanti al volto.

Chiuse gli occhi di scatto e fendette l’aria con una mano. Imprecò, si strofinò i capelli guardandosi intorno, imprecò di nuovo e raggiunse l’uscita a passo veloce.

Chiuse la porta alle sue spalle ermeticamente. Rimase un attimo a fissare la maniglia. Lui non la chiudeva mai la porta della cucina. Non ce n’era bisogno. Stette ancora qualche secondo fermo davanti alla porta, in ascolto. Tuc .

Squillò il telefono.

Si diresse lentamente verso il soggiorno. Abbassò la radio e alzò la cornetta. Pronto.

Sarebbero venuti i traslocatori nel pomeriggio a prelevare il divano. Perfetto. Per il resto tutto bene, sì. A presto ciao.

Posò la cornetta e guardò fuori. Pioveva ancora. Rialzò il volume della radio, ora passavano gli Alan Parson. Deo gratia.

Pensò che ormai la falena fosse volata via dalla finestra. Poi pensò che la finestra, in effetti, non l’aveva affatto aperta. Doveva aprire la finestra in cucina e farla uscire fuori. Passò in camera da letto e si infilò le scarpe, prese un giornale vecchio e andò di fronte alla porta chiusa.

Infilò il giornale arrotolato sotto il braccio e si accese una sigaretta. Dopo il caffè gli serviva, sempre. Aprì la porta.

Rimase fermo sulla soglia a scrutare con attenzione il soffitto e le pareti della stanza. Tirò una boccata alla sigaretta e guardò meglio intorno a sé, anche sul pavimento. Andò alla finestra e la spalancò – Dio che umidità – guardò di nuovo verso il soffitto, fece un po’ di rumore battendo il giornale contro il muro. Niente. Decise di lasciare la stanza chiusa con la finestra aperta e aspettare che la falena se ne andasse da sola. Aprì bene le persiane e si riavviò verso l’uscita.

Tuc.

Era sul lavabo. Era scivolata giù dal bordo e ora tastava con circospezione il terreno nella zona intorno al foro dello scarico. Guardò le zampette coperte da peluria che si muovevano rapide e le ali invece immobili, che con quei motivi circolari e simmetrici impressi su di esse parevano grandi occhi tondi intenti a scrutarlo.

Per un attimo fu tentato di colpirla con il giornale e gettarla in fondo allo scarico. Le diede un colpetto e quella si spostò appena. La trascinò verso il bordo con l’estremità del giornale, allora l’animale si ribaltò sulla schiena e cominciò ad annaspare e a contorcersi penosamente, come un prigioniero sotto tortura.

Al diavolo.

Decise di lasciare la finestra aperta e uscì fuori. Non aveva ancora letto il giornale, l’avrebbe sistemata  più tardi.

Chiuse di nuovo la porta e si sedette in salotto sul divano. Si accese un’altra sigaretta e cominciò a sfogliare il quotidiano sportivo. Cercò il posacenere che non trovò, eppure si ricordava che fosse lì accanto sul comodino. Che se lo fosse portato via con le altre cose? Ma no, lei aveva smesso di fumare. O no?

Tuc tuc tuc tuc tuc tuc tuc tuc tuc tuc tuc tuc tuc tuc tuc tuc tuc tuc tuc tuc tuc tuc tuc tuc tuc

Domani sera Roma – Real Madrid girone di ritorno….

Ma dove l’aveva messo il posacenere?

Tuc tuc tuc tuc tuc tuc.

Si sentiva la nausea. Quel caffè faceva veramente schifo, la prossima volta espresso al bar (sempre che non avesse diluviato). Tornò in camera da letto e tolse le lenzuola e le federe. Bisognava fare un bel bucato, sì, e bisognava farselo da soli da adesso in poi. Goodbye darling. D’accordo, e allora? Che problema c’era? Fece un mucchio con tutti i panni sporchi e si diresse in cucina.

La finestra era spalancata e il pavimento al di sotto di essa era completamente fradicio, la pioggerella si era trasformata in un acquazzone. Chiuse la finestra in fretta, raccolse il mucchio di panni e lo infilò nella lavatrice. Dio, faceva un freddo cane in quella stanza.

Guardò nel lavandino. Forse era volata fuori.

Cominciò a setacciare ogni angolo della cucina per accertarsi che la falena se ne fosse andata davvero. Ad un’occhiata veloce pareva che non fosse da nessuna parte.

Si sentì inquieto. Nonostante fino a pochi minuti prima facesse un freddo incredibile, adesso era madido di sudore. Si sfilò il maglione e fece per andare a deporlo nell’armadio in camera da letto.

Tuc tuc tuc

Stavolta non proveniva dalla cucina.

Si affacciò alla porta e la vide posata sullo specchio del corridoio.

Dannazione. Aveva lasciato la porta aperta dietro di sé quando era rientrato in cucina. E perché avrebbe dovuto chiuderla, poi?

Nella semioscurità del corridoio, la falena, riflessa nello specchio, sembrò un qualche terribile ed enigmatico idolo antico, che dall’alto del suo trono scrutava con gli enormi occhi scuri ciò che accadeva ai suoi piedi, in assoluta immobilità.

Rimase a sua volta immobile a fissarla. Voleva soltanto che quell’essere disgustoso sparisse, ma non riusciva a far nulla, se non  ricambiare il suo sguardo silenzioso e inquietante. Il dio dagli enormi occhi lo teneva in suo potere. Rise tra sé a questi pensieri.

La falena si staccò lievemente dallo specchio e andò a posarsi esattamente sulla sua fronte.

Rimase per un istante interdetto, poi scattò all’indietro e cominciò a schiaffeggiarsi la testa violentemente. Si bloccò, incredulo della propria reazione, toccandosi i capelli, quindi portò gli occhi al pavimento e poi al soffitto per vedere dove fosse finita.

Svolazzava a pochi centimetri dalla sua testa. Non potè fare altro che restare a guardare senza muoversi. Dopo qualche secondo fu nuovamente sul suo viso, proprio in mezzo agli occhi.

Scrollò la testa come un toro inferocito e corse in salotto chiudendosi la porta alle spalle. Si sedette sul pavimento, ai piedi del divano. Il cuore gli batteva a mille. Sudava freddo.

Con la testa appoggiata sulle ginocchia, rimase così, con gli occhi chiusi, ad aspettare che il battito del cuore tornasse regolare. Si sentiva la mente annebbiata. Ad un certo punto calò un silenzio irreale, non si udivano più né i rumori del traffico né il suono della radio. Gli sembrò di essere rimasto così per un’eternità.

Ad un tratto gli tornò in mente una cosa che gli aveva raccontato un suo amico, tempo prima.

L’amico gli aveva raccontato di una volta in cui un cornicione si era staccato da un palazzo e gli era quasi crollato in testa. Avrebbe potuto rimanere ucciso. Si era salvato per miracolo. Da allora non è più lo stesso, capisci? Nessuna cosa può più essere come prima. Capisci? Lui aveva risposto che no, non capiva bene cosa intendesse. È stato un miracolo, aveva continuato lui. Non il fatto di essermi salvato. Intendo il dopo. Tutto ciò che c’è stato dopo. Fino a questo preciso istante.

Non riusciva a capire il perché gli fosse tornato in mente quell’episodio, proprio in quel momento. Non capiva perché gli fossero tornate in mente quelle parole. Ripensò all’amico, ricordò il suo sorriso e i suoi occhi che brillavano mentre gli parlava.

Ripensò alla sua vita, a tutte le donne che non era riuscito ad amare, a tutti i vecchi divani che ingombravano di ricordi la sua esistenza. Pensò a tutte le falene di cui non era mai riuscito a liberarsi.

Non sapeva quanto tempo fosse passato. Decise di alzarsi e si diresse lentamente verso la porta. Vi rimase fermo davanti per qualche secondo. Poi spinse la maniglia con un gesto deciso.

La falena era poggiata sulla parete di fronte. Appena la porta si aprì si staccò e iniziò a volare verso di lui.

Nessuna cosa può più essere come prima. Capisci?

Chiuse gli occhi e urlò con quanto fiato aveva in gola.

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