Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2019 “Lilla” di Giovanni Venanzi

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2019

Casa al mare. Lilla, seduta sul balcone, scuote la testa. Vento, poco più che brezza, la ringhiera da riverniciare; l’ho trascurata.

Scuote la testa, la vecchia Lilla, come fosse un campanaccio di mucca, la ciondola lentamente da una spalla all’altra, dice che no, non vuole che mamma se ne vada.

La vedevo spesso dal balcone, Lilla; quando comprammo casa, lei già occupava due appartamenti a piano terra, sotto di noi, con un grande giardino. Suo marito, ampi calzoni corti, canottiera bianca, ciabatte di plastica e calzini neri, curava per ore, ogni giorno, le piante, semplice bordura. A distoglierlo c’era solo la sua Fiat 1300. Ogni tre giorni rimuoveva il telo blu di plastica, “troppa salsedine qui”; la macchina veniva prima insaponata, spugna gialla e molta schiuma, poi sciacquata, il tubo verde quello per annaffiare, infine accuratamente asciugata, vera pelle di daino.

Famiglia numerosa, quella di Lilla, non come noi, sempre e solo noi tre; di sotto ogni stagione turnavano nipoti, amiche, amici, parenti, tanti e rumorosi.

Le due figlie, tre o quattro anni più di me, crescevano e mostravano, come si mostra al mare, attraendo i miei sguardi insistiti, e fantasie ancora confuse.

I pranzi in casa nostra erano veloci, non c’era l’abitudine di mangiare assieme, il lavoro di mamma, e noi a scuola. E d’estate restava l’abitudine: mio fratello leggeva il giornale, mamma in piedi a fare qualcosa, finivamo in un attimo. Così, mentre di sotto ancora mangiavano, passavo anche un’ora fingendo di dormire sulla sdraia, all’angolo del balcone, vista sul lavatoio; lì le due ragazze lavavano i piatti e tagliavano fette di cocomero, piene di semi neri. Pelle abbronzata, seni grandi e gambe sode, ridevano tanto.

Nella parte più soleggiata del giardino, oltre alla griglia, fumo ed abbondanza, c’era anche un gigantesco fornello a gas, lì per bollire, a fine agosto, centinaia di chili di pomodori San Marzano, lunghi e rossi. Puzzo aspro, sgradevole e larghi sorrisi delle donne, tra cui mia madre, impegnate a macinare, bollire, aggiungere odori, imbottigliare, incapsulare; era il rito di fine vacanze.

Era anche dove, ogni giorno, bolliva l’acqua per le fettuccine di Lilla. Le preparava in quasi un’ora, mattino presto; dal letto sentivo il mattarello scorrere sulla spianatoia in legno, almeno cento volte, poi la pausa farina, ancora silenzio, mentre la sfoglia veniva arrotolata, alla fine i colpi di coltello, veloci: la genesi delle fettuccine.

A pranzo l’osservazione era interrotta dall’invito, gridato, per il caffè. Sempre le solite parole, mi piaceva star lì, anche se non volevo darlo a vedere e mi piacevano loro, una famiglia di quelle che si leggono sui libri, tre generazioni nella stessa casa. Erano in tanti, tanti che ti guardano, tanti che ridono: c’era rumore.

E non riuscivo neanche a simularla, la noia, quando la Fiat 1300 non era ricoperta dal telo, dopo il lavaggio; guardavo il paraurti metallico, abbagliante al sole, le due coppie di fari orizzontali; a volte potevo sedermi al posto di guida, in contemplazione del contachilometri con scritto 160, il cerchio del clacson e il cambio al volante; l’orgoglioso proprietario allora mi spiegava dei freni a disco sulle ruote anteriori, mentre osservava preoccupato quanta sabbia avessi nelle ciabatte. 

Il caffè finiva con il “dai andatevene in spiaggia voi, io aiuto Lilla” di mia madre; e si andava, con le figlie, gli amici e i fidanzati; eravamo una comitiva, con la radio, il pallone, il mangiadischi e le sigarette nascoste.

Prima della spiaggia un altro caffè al bar, sei tavoli tondi in alluminio e formica gialla, polvere, jukebox, e gelati. Lì, non ho mai capito perché, stavamo poi tutte le sere, a parlare, fumare e aspettare solo che fosse tardissimo, quasi l’alba.

Erano le nostre vacanze al mare, a cento metri dalle onde, nulla di più, per noi il meglio.

Oggi però fa molto caldo, mi gira la testa, sudo; sono troppo vestito per il mare di agosto. Qualcosa non va, troppo poco vento, forse la ringhiera, o la bordura del cortile di Lilla, cresciuta fino al nostro balcone, a dire quanto, almeno lei, non fosse bisognosa di cure.
Nel cortile di sotto, dopo quarant’anni c’è ancora il vecchio pavimento in pietra, e due Smart, parcheggiate al posto della Fiat 1300, senza telo protettivo, la salsedine non ce la fa con la plastica. Niente ombrelloni, non c’è nessuno fuori, niente vociare, niente TV accesa, neanche il fornello gigantesco; meglio così, sarebbe tempo di bollire i pomodori, e non ce la farei con quell’odore e la testa che mi gira.
C’è ancora il lavatoio, ma oggi loro due, le ragazze, sono qui, non serve che mi sporga.

E non mi sporgerei, sono donne mature oramai, l’attaccatura dei seni come corrucciata. Sono in piedi, dietro a Lilla; lei, le gambe sempre più gonfie e tanti solchi sul viso, in tutte queste estati in cui non l’ho più vista, immagino non abbia fatto altro che cucinare taglieri di pasta fresca e aggirarsi tra le grigliate. 

Oggi non sorride, ecco cosa non va: scuote la testa, Lilla

  • Nun te ne annà Marì – dice.

Che mia madre voglia andar via mi sorprende. A mamma piace questa casa, ed è strano che Lilla sia su da noi, non noi di sotto.

Qualcuno arriva sulla strada, da lontano, un po’ ciondolante, è un ragazzo, faccia pulita, vestito nero; quando si avvicina vedo la cravatta; strano, la cravatta al mare, si impolvererà di sicuro.

Si ferma davanti al centro commerciale, dove prima c’era il bar; guarda intorno, legge il nome della strada.
Ora cammina verso di noi. Ha una cartellina in mano, con qualcosa scritto sopra e fogli all’interno; deve essere un tour operator, uno di quei viaggi organizzati, non vedo il pullman.
Guarda la cartellina, guarda il nostro balcone e continua a camminare verso il portone.

Lilla ora piange, sembra quasi svenire, dice che non vuole, non vuole che mamma se ne vada; la prendo tra le braccia, la sostengo; le figlie sono sempre lì, alle sue spalle, ma guardano in terra e lasciano fare a me.
Penso che devo accompagnarla a morire, la vecchia Lilla, e mi chiedo perché io, io che alla morte non voglio star vicino, io che non voglio conoscere mancanza.
Mi giro verso la porta di casa, il giovane è entrato, non si è impolverato, strano; ha un sorriso che fa male, apre la porta del soggiorno, sento un profumo troppo dolce.
Lui entra, sistema qualcosa, esce subito e resta in piedi, vicino alla porta aperta.
Con le braccia distese lungo il corpo osserva una scena che conosce bene, la cartellina tra le mani.

Sono in macchina e guido lentamente, vorrei non arrivare. Non ho idea di come sarà.

Stringo forte la mano vicina a me, un abito nero, i piedi gonfi che non arrivano a terra, la voce che mi racconta ancora una volta di come l’ha preparata, lavandola e cambiandole il vestito, con quello elegante che le piaceva tanto.

Incrocio una macchina, l’autista fa il segno della croce.

  • Grazie Lilla – le dico.

Davanti a noi c’è mamma, sul carro funebre dove l’ha chiusa il becchino con la cravatta.

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14 commenti »

  1. Struggente questa storia che tiene viva la memoria di uno spaccato della nostra Italia. Una storia baciata dal sole e profumata di odori che si stanno perdendo, un ricordo che continua vivere grazie alle tue parole. Proprio come Lilla. Complimenti.

  2. L’interruzione data dal bel ricordo di giornate estive mi ha fatto smarrire: sono precipitata in mezzo alle grigliate, il buon vicinato, gli affetti. Poi mi sono ricomposta, riaprendo gli occhi… Sudo e capisco perché vestirsi un po’ troppo in agosto e mi fa tenerezza questo figlio che non capisce, non vuole capire o finge di non farlo, perché vicino alla morte non vuole stare e fa strano che sua madre voglia andare via. Molto bello il modo con cui hai descritto questa dipartita, mi fa riflettere su quante persone incrociamo nelle nostre vite, che a modo loro ci segnano e diventano per noi importanti, come una Lilla. Complimenti Giovanni

  3. grazie Monica, grazie Silvia; per me, come per molti credo, scrivere è cercare condivisione di un’emozione, e ritrovarla nelle vostre parole mi fa piacere…grazie

  4. Un racconto toccante e delicato che vive di tanti fotogrammi che ricostruiscono un passato che è familiare a molti di noi: le giornate al mare, i pranzi, i momenti condivisi con gli amici d’infanzia, la certezza che nulla potrà disfare tale meraviglia. E poi il presente, velato di malinconia, intriso di un profumo troppo dolce di fiori tristi. E poi noi, a dire grazie alla “nostra” Lilla e a dire addio a una parte di cuore. Complimenti Giovanni.

  5. Questo tuo racconto parla d’amore, senza nominarlo mai. Per una madre ma anche per un mondo fatto di tante piccole cose. Sei riuscito a farmelo vedere, annusare quel tuo mondo, ne ho sentito la nostalgia e la perdita. Accanto a te. Bravo Giovanni.

  6. E chissà perché ti ho chiamata Cinzia??

  7. Grazie Girolamo, sì. l’idea è di fotogrammi, non amo molto le trame complicate…
    Ciao Cinzia, e grazie.e sì, nostalgia e perdita, che vuoi fare… si invecchia e si tenta di condividere emozioni

  8. Bravo, commovente ed evocativo. La strana stagione delle vacanze di un tempo emerge nella sua verità, così come l’intensità dei sentimenti, cova sotto la cenere del tempo per poi rivelarsi autentica alla fine. Ben raccontato davvero!

  9. Ci riesci benissimo Giovanni, a condividere emozioni.
    Grazie per queste bellissime immagini, per questi ricordi veri o inventati, alcuni dei quali potrebbero benissimo appartenermi, e per questo motivo mi commuovono.
    Complimenti, davvero.

  10. Grazie Raffaella, mi tengo l’intensità!. Francesca, che dire, condividere emozioni, quando scrivo per me è quasi tutto. Poi che i fatti siano veri o falsi non cambia l’emozione che non può, per me, che essere reale. Grazie

  11. Belle immagini, nitide, vive, evocative. Le emozioni arrivano. In bocca al lupo.

  12. Sembra di essere lì, con Lilla. Bravo.

  13. La morte l’aspettiamo tutti, ma questo sole, questi pomodori, questo attaccamento così bello di Lilla in un momento doloroso, accompagnano e consolano il dolore di un figlio. E’ una fortuna ed è giusto raccontarla così.

  14. Grazie Luca, grazie Elena. Vrocco, sai, per raccontarla così la morte si può fare, secondo me, solo come il personaggio. NON aspettarla, grazie

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