Premio Racconti nella Rete 2019 “Corriamo ai ripari” di Marcello Pesarini
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2019“Corriamo ai ripari, raga, qui casca tutto, e se fa tutto pari non ci ritrovano più*”. Per sapere da chi fu lanciato questo grido d’allarme è necessario spiegare alcune anzi, molte cose.
La biblioteca di Agugliano, nel senso di luogo e strumento di raccolta di libri, riviste, pubblicazioni insomma, affonda le sue radici almeno fino al 1830. Il palazzo nel quale ci troviamo oggi invece è dal 1991 adibito a biblioteca, prima era centro di educazione, scuola insomma. La raccolta era stata edificata in maniera pubblica da cittadini che per la maggior parte non sapeva leggere ma voleva imparare a farlo. Gli abitanti dei borghi di campagna erano dediti, fino all’avvento della rivoluzione industriale nel diciottesimo secolo, all’agricoltura, all’allevamento del bestiame e ad altre attività che non permettevano di leggere, ma costoro per la maggior parte non si ponevano il problema. Lo risolvevano in altri modi che vedremo.
I soli libri in precedenza posseduti erano stati nelle mani di conti, marchesi, visconti, preti e coloro che lavoravano alle loro dipendenze, come i notai e qualche capitano d’arma, matematici come il Ruffini, da cui Borgo Ruffini, uno dei castelli esterni a Agugliano. Alle volte costoro facevano buon uso di questo bene, la cultura, altre volte la usavano solo per i loro interessi, ma questa è un’altra storia.
Man mano che i cittadini poterono vivere in condizioni migliori, si fecero spazio anche le esigenze di descrivere la giornata, raccontare amori, guerre e sogni, funzioni descrittive che erano state svolte, se capitava, dai cantastorie e dai burattinai. Le storie da loro descritte costituiscono il più antico bene che è custodito nella Biblioteca di Agugliano, intitolata a Sara Iommi, giovane concittadina morta in un incidente stradale pochi anni fa. Sara era proprio l’esempio della donna che si era istruita perché le sarebbe piaciuto insegnare, ricercare, e nello stesso tempo scriveva per passione, registrava ciò che altri dicevano, insomma contribuiva al sapere e all’amicizia.
La nostra storia è già cominciata con la costruzione della collezione dei racconti dei cantastorie, parte del patrimonio scritto, che datano al 1830. I racconti vennero divisi in Storie di Stalle, di Porcili, di Aie(perchè prima dell’epoca moderna i polli scorrazzavano liberi nei prati e davanti alla casa dei contadini, assieme ai tacchini), di Vigneti, di Campi, di Frutteti, di Sagre, di Mercati, di Balli, di Matrimoni, di Corna, di Nascite, di Funerali. A loro volta nella biblioteca, che era una parte del palazzo comunale, man mano che si trovava la legna per costruire altri scaffali, i cittadini si potevano permettere di suddividere le Storie in maniera più appropriata.
Alle volte sono le nuvole, alle volte i corvi, alle volte la televisione, ma c’è sempre qualcuno incaricato di annunziare i cambiamenti in peggio del tempo o della vita. Quel giorno del 1970, quando ormai il Comune di Agugliano s’era arricchito delle copie dei giornali usciti man mano in Italia, dal Corriere della Sera al Tempo, fino alla Voce Adriatica, al Popolo e all’Unità, non senza che il Parroco avesse protestato per quest’ultima, Menico si presentò con alcuni pacchi ben legati stretti stretti di giornali colorati. Valentina, la bibliotecaria del Comune, gli domandò con fare sospettoso:“Dove li hai presi quelli, in Russia?”. Menico arretrò sul momento di fronte a tanta veemenza, ma poi ritrovò il fatto suo:“Sono giornali a fumetti che sono stati stampati in Italia, e molti ragazzi li hanno usati per ripetere a casa quello che gli veniva insegnato a scuola. C’è il Corriere dei Piccoli, Tex, Topolino, Fantomas…”. “Va bene, va bene” disse Valentina, che aveva un debole per l’aspetto di quel giovane, ma non lo considerava molto istruito. “Troveremo un posto anche per quelli. Lasciameli qui”.
Più tardi chiuse la Biblioteca, e si decise a sistemarli sugli scaffali. Come li videro arrivare, il Popolo e l’Unità si trovarono per la prima volta d’accordo nel dire:“Dove stiamo noi, non c’è posto per quei cosi? Noi raccontiamo notizie: il Papa è stato incoronato, gli Americani sono andati sulla Luna, i Russi non ci andranno mai…”. Valentina li interruppe:“Dove state voi ci stanno loro: non riportano notizie, ma fanno compagnia, ci raccontano come si vive in paesi lontani; tu, Popolo, ci racconti per caso del deserto dell’Arizona? E tu…”. Richiamati dal trambusto, si erano avvicinati il Corriere della Sera, anno 1945, Il Tempo, anno 1954, con la conquista del K2, e avevano detto: “Va bene, il mondo si evolve e non possiamo impedirglielo. Così, per cominciare, potresti mettere su quegli scaffali sotto a me quel Corriere dei Piccoli, che magari mi racconta una storia bella la sera, che faccio sempre tanta fatica ad addormentarmi. Poi se mi stufo me ne metti un altro, e un altro ancora”. Il Mattino di Napoli, che era furbo, chiese:“A me non mi puoi mettere quel Tex lì sotto alla zampa dello scaffale, che balla, e non vorrei un giorno o l’altro ritrovarmi per terra? Sembra solido, e pur di star qui vedrai che non rifiuterà”.
I giornali, e con loro le riviste, lucide e patinate, le cui copertine portavano belle attrici e attori di successo, avevano saputo che i “fumetti” – come erano irrispettosamente stati battezzati i giornalini – se non fossero stati accolti nella Biblioteca per iniziativa di Menico, sarebbero finiti nella carta straccia, e molti loro fratelli ci finirono, perché tutti li consideravano inutili, e alcune persone pensavano anche che fossero stati stampati grazie all’influenza del Diavolo.
“Bell’accoglienza” disse con voce stridula un Topolino del 1956, mentre iniziava la sua giornata come zeppa, in dialetto fiecca, che sosteneva l’impalcatura portante di dieci annate della Nazione di Firenze.
“L’accoglienza si dà alle persone fidate, come Galbani che vuol dire fiducia. Lo dice sempre la TV” irruppe la Gazzetta dello Sport, ultima arrivata come giornale sportivo, ma con l’irruenza dei parvenu’, o villani rifatti, per comprendere. “Cosa sappiamo noi che voi “fumetti” non ci attaccherete qualche fungo della carta, o con i vostri colori forti ci intaccherete la struttura ossea”.
La Gazzetta esagerava ma, come tutte le cose esagerate, rischiava di far presa più di quelle vere. Non successe nulla di grave per l’intervento di Valentina, sempre all’opera come custode di cultura, e di Menico, che sognava un mondo migliore e istruito, ma al momento spiegava ai giornali i diritti dei fumetti e quando tornava a casa era comunque pieno di polvere di stampa, altro che Stardust(polvere di stelle, nota canzone romantica del tempo).
Nel 1991 finalmente la Biblioteca Comunale ereditò le strutture dal Centro di Sperimentazione Educativa, e tutte le pubblicazioni trovarono un posto più ordinato. I fumetti ormai non si scrivevano più solo con le nuvolette, ma anche con i sottotitoli, avevano diritto alla mutua e alla pensione, ma ora era necessario fare fronte comune contro i DVD, che volevano raccontare le storie da soli, con la voce degli attori, e all’inizio erano stati infilati dentro ad uno scatolone con le pareti foderate di plastica “cicciottella”, quella che attutisce urti e rumori, così quando dormivano non li sentivano russare.
L’inverno del 2018 fu particolarmente freddo; Menico e Valentina decisero di ospitare un barbone, un povero senza casa, nella biblioteca che era stata intitolata a Sara Iommi nel 2016.
“Lei non se la sarebbe avuta a male, e poi noi lo facciamo stare nella stanza degli e-book, così non dà fastidio ai libri veri” disse sottovoce Menico, che era rimasto un po’ all’antica.
“Noi dovremmo stare con quel puzzolente lì, che quando ci avete ammessi nel 2010 ci avete fatto l’esame di gotico, di latino e ogni settimana ci cambiavate posizione perché non ci abituassimo’”.
“Si, dovete stare con quel puzzolente lì, che fino a una settimana fa era professore all’Università di Urbino, poi ha fatto tre metri di neve e hanno dovuto sgomberare la città. Allora quell’ingenuo ha pensato di andare al Sud perchè è caldo, e invece qui ha fatto due metri di neve e abbiamo bisogno che si riposi sennò non ci aiuta neanche lui domani”. “Siamo rimasti isolati” gridò Valentina” non funzionano né telefoni né radio; ormai è troppo tardi per andarcene”.
Fu in quel momento che si udì l’allarme lanciato da Cucciolo e Beppe, Tiramolla, Ten Ten, Bibì, Bibò e Capitan Cocoricò, Mafalda, Ciccibum, Sussi e Biribissi. “Nevica, crollerà il tetto. Corriamo al riparo, raga, qui casca tutto, e se fa tutto pari non ci ritrovano più”.
“Dove andate, bambocci” li fermò Menico. Il professore, che era un matematico di nome Augusto, era un po’ disordinato, perché nel suo viaggio al Sud da Urbino ad Agugliano, che conosceva per via di Ruffini, era stato derubato del portafoglio, del cappello, del telefono, e una volta arrivato nel paese non gli era rimasto che ripararsi dalla neve nell’atrio della Biblioteca Iommi.
“Ma guarda Mafalda, il fumetto femminista. Ce l’aveva la mia prima moglie, quella scalmanata. Ciccibum, con quei capelli, tre ciuffi. Ci prendevo sempre in giro mio fratello!”. In men che non si dica Menico, Augusto e Valentina si strinsero nei loro cappotti, radunarono i pochi scatoloni non scritti per accendere un fuocherello, dopo aver messo in salvo tutti i libri, audio o di carta che fossero, e leggendo i fumetti degli anni della loro gioventù riuscirono ad arrivare alla mattina, quando gli spalatori li trovarono addormentati appoggiati l’uno sull’altro.
Era stata proprio una bella accoglienza. Il professore lo trovarono che stava finalmente leggendo alcuni fumetti che, quand’era giovane, si vergognava di solo nominare, come Skorpio e Dago, perché raccontavano storie di corsari e di guerrieri per poter disegnare donne belle e poco vestite. “Molto bravi” sentenziò Augusto, che nel frattempo si era rivestito con giacca e gilet“Questi fumetti sono stati utilissimi la notte scorsa. Li porterò con me a Urbino” nascondendo un sorriso da adolescente preso a rubare la marmellata.
Beh, nessuno è perfetto.
Hai un modo di raccontare a metà strada tra il racconto umoristico e la favola. Molto particolare. Forse sto dicendo un’eresia ma mi ricorda un po’ Rodari.