Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2019 “Cleo” di Carlos Bolaños

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2019

Con la sua solita tenacia, l’estate aveva finito per invadere anche il patio di casa loro. Carmen, portandosi un po’ d’aria in viso con un ventaglio fatto da pezzetti bucherellati di legno di sandalo, sedeva su un basso sgabello davanti alla fontana. In piedi di fronte a lei, suo figlio reggeva il corpo di una tartaruga nella conca formata dalle palme delle mani.

  • Mi dispiace davvero!
  • No, non ti dispiace affatto!
  • Invece sì. Te l’ho già detto, Kiko. C’erano troppe mosche! L’insetticida deve essersi depositato anche sulla sua lattuga. 
  • L’hai avvelenata apposta!
  • Ora stai esagerando, Kiko. Perché mai avrei voluto farlo?
  • Perché uccidi sempre tutti quelli che mi vogliono bene! Come…

Lo schiaffo arrivò in un modo così veloce che sorprese entrambi; immobili l’uno davanti all’altra, guardandosi in faccia. In attesa della reazione del figlio, Carmen assaporò il silenzio temporaneo che il ceffone aveva creato. A lui quel fischio nell’orecchio destro lo stava invece assordando, e dopo pochi secondi durante i quali rimase bloccato dalla rabbia montante, andò via indietreggiando a piccoli passi, senza mai voltarsi.

Già in serata, dopo aver bussato alla porta della cameretta di Kiko senza ricevere risposta, Carmen si decise ad affacciarsi. Lui era sdraiato su un fianco che leggeva.

  • Ti porto qualcosa da mangiare o da bere?
  • Non voglio niente, grazie!
  • Cos’hai fatto con Cleo?
  • L’ho buttata nel cassonetto della spazzatura

Carmen fece per chiudere la porta, ma anche se dubitava di voler conoscere la risposta, non poté fare a meno di rivolgergli un’ultima domanda:

  • Kiko…come mai non l’hai sepolta?
  • Perché buttarla nella spazzatura mi faceva più male.

Rispondeva in quel modo automatico; una forma tutta sua d’ignorarla. Chiudendo la porta,lei si limitò a dirgli:

  • Non rimanere sveglio fino a tardi. Dormi bene.

Un acuto beep la svegliò. Aprì gli occhi: tapparelle abbassate, una camera in penombra. Le pareti bianche facevano riverberare troppo il sole e Carmen temeva che Kiko non riuscisse a dormire. Erano passati dieci anni e lei continuava imperterrita a preoccuparsi che lui dormisse bene. Uscendo dal torpore pomeridiano, Carmen sentì entrare dalle narici l’odore dei medicinali, mischiato a un lieve profumo di frutta frullata. Dieci anni dopo, qualcosa da mangiare suo figlio alla fine gliel’aveva chiesto. Carmen controllò il viso di Kiko, con quegli zigomi sporgenti sotto una pelle che ormai sembrava pergamena. Da quando l’ospedale l’aveva contattata non si era quasi mai mossa dal suo capezzale, ma per lei la visione del suo corpo – non più di qualche spigolosa protuberanza sotto le lenzuola – era ancora un urto. Pelle e ossa. Come lei. Avrebbe tanto voluto che qualcosa di decisamente diverso li accomunasse. Si era consunta nella lunga scia di afflizioni che avevano seguito la morte del marito: gli sbalzi di umore di Kiko già sin da bambino, i problemi a scuola, le strane amicizie al liceo, i primi piccoli furti e poi le continue assenze e la solita chiamata della polizia. Gli unici momenti di calma se li godeva quando lui finiva in prigione. In quei tre giorni aveva scavato sempre più in fondo in quella loro vita colma di disaccordi, e strato dopo strato era arrivata all’incidente con la tartaruga. Reggendo una mano di Kiko tra le sue, Carmen si chinò per sussurrargli qualcosa all’orecchio.

  • Kiko…lo sai, no? Cleo…lo sai che non l’ho fatto apposta, vero?

Come unica risposta Carmen sentì allentarsi la stretta e percepì come la mano nodosa del figlio si svincolava pian piano dalle sue, rifiutando la loro protezione.

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8 commenti »

  1. Un pugno allo stomaco, come a volte sono le relazioni famigliari. Sospesi che durano negli anni, incomprensioni che si trascinano senza fine. É un racconto che può far male perché crudo, spietato. Ma a volte la vita è così. Mi piace perché narra di quel tipo di legame madre-figlio, di cui è scomodo parlare.

  2. Ci sono momenti che segnano passaggi dai quali non è più possibile tornare indietro, nonostante poi ci si provi con tutte le proprie forze. E in questo racconto, che si delinea attraverso tratti essenziali e precisi, c’è questo, e c’è la malinconia di certi rapporti perduti per sempre. E non c’è lieto fine, perché a volte la vita non ne contempla uno.

  3. Una storia di incomunicabilità e di amore, di impotenza e di buone intenzioni. Hai saputo rappresentare bene com’è la vita, con le sue contraddizioni, i suoi dolori e fallimenti, ma anche con la tenacia di riprovarci sempre e fino alla fine per costruire qualcosa con le persone che amiamo.

  4. Nessuno ci insegna ad essere genitori. Non siamo mai così consapevoli di quanto le nostre azioni possano incidere nelle “pagine bianche” della vita dei nostri figli. Tuttavia l’amore in genere risana e ripara. Ma ci sono Mele che nascono col baco dentro e non ci si può fare nulla. Non si può vivere nei senso di colpa e nel rimorso.

  5. Nessun fronzolo in questo racconto, asciutto e scavato all’osso come i protagonisti. Inizia e finisce con una distanza incolmabile. Una bella figura di madre che cerca e non trova assoluzione, nonostante forse non abbia colpe. Un racconto molto bello, scolpito a togliere. Speravo in una riconciliazione finale, in uno spiraglio di comunicazione, ma a volte non c’è.

  6. Visto con gli occhi di mio figlio dodicenne: bell’inizio, bella fine. Asciutto e dritto al bersaglio. Malgrado la sua sofferenza, il rancore di Chico è giustificato. La morte di Cleo non è stata accidentale. Come madre ho cercato delle attenuanti. Non mi sono state concesse, quasi come voler dire che ogni azione ha le sue conseguenze anche se inaspettate.

  7. Bello e commovente. Personaggi interessanti, che mi viene voglia di conoscere meglio. E poi l’amore con le sue contraddizioni. Bravo!

  8. Belli questi personaggi lontani dai soliti clichè e bello questo loro rapporto così irrisolto e così reale

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