Premio Racconti nella Rete 2019 “Il bambino di burro” di Girolamo Titone
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2019Per il bambino quella quercia era sempre esistita.
Solitaria e maestosa, squarciava l’oro dei campi con la chioma lussureggiante e i rami vigorosi. Aveva posto le sue radici in un punto morbido e leggermente ondulato, senza rocce, con una vista sul mondo che non aveva confini per centinaia di metri. Era come se avesse scelto quel luogo dopo una ricerca durata secoli.
Dalla terra, il tronco si ergeva solido e saggio. Le sue rughe, profonde e numerose, tradivano il lungo passare degli anni e disegnavano solchi simili ad arature primaverili. Districandosi tra affanni e attese, la vita scorreva in quei rigagnoli come linfa grezza. Un incessante fluire che si specchiava ora nel correre industrioso delle formiche, ora nella vitale immobilità delle lucertole metalliche.
Il piccolo reclinò leggermente la testa appoggiandola al collo possente del suo cavallo e, senza dire nulla, guardò lontano. Poi vide soltanto il muro bianco, e accolse con sollievo l’asprezza della corda che lo avrebbe ucciso…
Pioveva da tre giorni, e le campagne vomitavano sulle strade impervie fiumi di fango che avevano trattenuto per mesi. L’inverno era sopraggiunto tardi quell’anno, e i primi vagiti di gennaio lasciavano presagire l’arrivo di mesi spietati. I due uomini si incontrarono sul finire della strada. Il primo s’era nascosto tra i cespugli e ne era uscito solo quando aveva avuto la certezza che quella figura appena arrivata fosse proprio chi stava aspettando. L’aveva raggiunto concentrandosi sugli ultimi tiri della sigaretta, che gettò poi tra le erbacce bagnate senza preoccuparsi di spegnerla. L’altro, di qualche anno più giovane, lo prese sottobraccio fissandolo per un istante.
«Figliolo, andiamo!» gli disse sorridendo.
I due s’incamminarono verso il casolare sostenendosi a vicenda, ma era l’uomo più giovane a guidare i passi dell’altro, come a voler sottolineare chi comandasse tra loro.
«E u canuzzu? Tutto a posto?»
«Tutto a posto. Ha mangiato, è tranquillo.»
Il terzo uomo li raggiunse poco dopo, quando si erano già fatte le nove di sera. Le tre figure confabularono tra loro per un po’, poi separarono le loro strade e si diressero verso il paese penetrando silenziosamente nel buio soffocante di quella notte.
Il vento consegnò al piccolo il fragore del mare lontano. Non lo sentiva da tanto tempo, e non vedeva quella distesa tumultuosa da un tempo ancora maggiore. Serrò le gambe attorno ai fianchi del suo cavallo e lo spronò coi talloni per dargli l’ordine di avviarsi. Era come se i colori di quella campagna si offrissero a lui per la prima volta. Ora Giuseppe non percepiva più quella stanchezza che lo aveva braccato durante gli ultimi anni della sua esistenza. Pensava solo al mare, e al profumo dei fiori che lastricavano i terreni circostanti sfumandone i contorni regolari. Decise di percorrere quella strada senza affrettare il passo, e cominciò a indugiare perdendosi nella trama fitta dei suoi pensieri.
Aveva conosciuto Giulia in prima media, e le era subito piaciuta. Non era come le altre compagne, lei. Veramente lei non somigliava a nessuno di quelli che aveva conosciuto fino ad allora. Aveva uno sguardo pulito, e gli occhi sempre lucidi per lo stupore. Si lasciava affascinare da ogni cosa che mostrasse una scintilla di originalità, e lui pendeva dalle sue labbra quando gli raccontava delle tante scoperte che avrebbe fatto. Sentiva di amarla oltre ogni misura e l’avrebbe voluta tenere con sé per sempre. Ma sapeva bene che ora, quella strada, l’avrebbe dovuta percorrere da solo. Ad un tratto fu come risvegliarsi da un sonno leggero, e si accorse di essere giunto a destinazione. Il mare era lì, dietro quella piccola duna che le piante selvatiche avevano in parte ricoperto. Lo sentì urlare, con la sua voce profonda, e si fermò per un istante ad ascoltare quella malinconica canzone.
La puzza di muffa non concedeva alcuna tregua alle narici dell’uomo. Sapeva di aver lasciato da qualche parte gli attrezzi che doveva prendere e cercava di districarsi tra i cavi ammonticchiati e i bancali pieni di piccole e grandi minuterie. Quella notte il freddo era penetrante e si insinuava tra le fessure del magazzino rendendo lenti e imprecisi i suoi movimenti.
«Curnutu di lu diavulu. Ma dunni finìu?» si chiese, infastidito dal protrarsi di quella esplorazione.
Giunto nella parte più interna dello stanzone, scostò una pila di cartoni che sembrava nascondere un recesso poco profondo nel quale poteva esserci ciò che stava cercando. Il grasso depositato su alcuni arnesi che aveva dovuto ispezionare durante la sua ricerca gli aveva invaso le mani rendendogliele appiccicose. Così preferì darsi una leggera pulita prima di indossare i guanti di pelle. Si chinò afferrando due fusti che maneggiò con cura per paura che qualche piccola fuoriuscita di acido potesse marchiarlo per sempre. Questo lavoro stasera non ci voleva proprio. Veramente sarebbe stato meglio non farlo, né stasera né mai. Ma chi si sarebbe azzardato a dirglielo al capo? Lui era uno di quelli che non accettava obiezioni, e di fare lui la fine di quel cane non ne aveva proprio intenzione.
Ripulì velocemente le pareti esterne dei recipienti per non sporcarsi i vestiti durante il trasporto e si avviò verso il casolare.
Non poteva essere uno spettacolo più bello. Il bambino chiuse gli occhi perché quel mare che furoreggiava all’improvviso davanti a lui potesse restare nei suoi pensieri per sempre. Aveva immaginato molte volte il momento in cui l’avrebbe rivisto, ma niente era paragonabile alla meraviglia che stava provando. Le onde squassavano gli scogli in lontananza e la schiuma, bianca e leggera, dipingeva forme vaporose nell’aria limpida del mattino. Le sue lacrime ripulirono lo sguardo un tempo offuscato, e ora che poteva vedere di nuovo cercò di catturare ogni singolo granello di bellezza, e riempì i polmoni di aria nuova.
D’un tratto sentì una voce familiare provenire da lontano:
«Giuseppe, vieni! È pronto!» diceva.
Era la voce della mamma, quella. Finalmente la poteva sentire di nuovo, ed era bella proprio come se la ricordava.
Si voltò a guardare un’ultima volta il mare, e poi risalì veloce i fianchi del suo cavallo e galoppò più veloce che poteva.
L’aria quasi lo attraversava e gli scompigliava i capelli morbidi che si sollevavano come fiamme indomabili. Vide i suoi sotto l’albero di gelso. C’era la mamma Francesca, e il fratellino Nicola, e il nonno e il papà Santino. Erano tutti lì, tutti insieme, ad aspettare lui che non tornava a casa da anni. E c’era Giulia, coi suoi occhi luminosi e i capelli legati a treccia che le cingevano il capo come una corona. E c’era il sorriso che aveva perduto tanto tempo fa e che ora ritrovava nei volti della sua famiglia. Scese veloce da cavallo e corse ad abbracciarli. Uno per uno, prendendosi tutto il tempo necessario a ripagarsi degli anni di assenza. E fu felice.
Facevano tutti odore di carne arrostita. Giuseppe la vide sfrigolare sulla brace allegra e provò il desiderio di rubarne un pezzetto, come era solito fare durante le scampagnate attirandosi le urla giocose del nonno. E così ne rubò un pezzetto.
Seduti uno di fronte all’altro, i tre uomini mangiavano silenziosamente. L’odore della carne arrostita fatta in padella aveva invaso la piccola sala dove usavano consumare i pasti. Era insolito vedere quella modesta comitiva riunita, ma l’occasione era speciale. Ogni tanto ridacchiavano per qualche balordaggine di cui la gente del paese si era macchiata e che il più anziano di loro riportava con dovizia di particolari. Infine, venne il momento.
Uno dei tre tagliò un pezzo di corda da una fune che si trovava all’esterno. La porse al più giovane che la annodò in un cappio, con cura, senza alcuna agitazione. Intanto, il terzo preparava il fusto in cui avrebbero gettato il corpo. Vi versò l’acido e chiuse il coperchio. Poi scesero nella stanza.
Il piccolo s’incamminò lungo il sentiero. Sentiva dei rumori lontani, come di persone che si affaccendavano, ma non ci badò troppo. La campagna soleggiata accoglieva languidamente i suoi passi sicuri. Con lui, il suo compagno di cavalcate.
Notò, appena sulla destra, davanti a sé, una curva. La seguì, e poi penetrò nel campo di grano che si dischiudeva come un tappeto di seta dorata. Sentiva la sua meta ormai vicina. Superò la piccola collina e la vide…
Per il bambino quella quercia era sempre esistita. Solitaria e maestosa, squarciava l’oro dei campi con la chioma lussureggiante e i rami vigorosi. Il piccolo reclinò leggermente la testa appoggiandola al collo possente del suo cavallo e, senza dire nulla, guardò lontano. Poi, per un istante, vide soltanto il muro bianco della cella, e accolse con sollievo l’asprezza della corda attorno al collo.
«Mi dispiace, tuo papà ha fatto il cornuto» disse uno dei tre uomini bloccandogli le gambe.
Il suo corpo, ormai molle e debole, pareva fatto di burro.
Il piccolo non rispose. Adesso che ogni desiderio era stato realizzato, era pronto ad andare. Così Giuseppe fece un respiro profondo, chiuse gli occhi e andò…
Un grande racconto su un altro tema difficilissimo affrontato senza retorica. I due piani scorrono paralleli, collegati dal muro bianco, dalla corda, e dall’odore della carne cucinata. Da una parte tre figure a malapena umane che si dibattono nel buio, nella materialita’ del fango, del grasso, dell’acido. Dall’altra il bambino che prima del viaggio vero corre in un universo pieno di simboli: il cavallo per fuggire dalla sua prigione, la quercia che forse indica la famiglia, la casa, o un altro valore immutabile; il mare, in cui per un attimo intravede tutta la vita tumultuosa in cui non potrà tuffarsi. Complimenti Girolamo, bellissimo.
Grazie, Marco, per per aver letto il mio racconto, e per l’estrema sensibilità e generosità con cui hai voluto commentarlo. Parole, le tue, che riescono sempre a indagare oltre la superficie, e a edificare un luogo sicuro dove potersi rinfrancare.
Che posso dire? Solo che hai scritto una storia splendida. Ho veramente i brividi. Una tecnica notevole nell’utilizzo dei diversi pdv, una penna agilissima e fluida nelle descrizioni che riesci a far vivere con tutti i 5 sensi oltre a un contenuto impegnativo ma declinato in modo assolutamente privo di stereotipi. Grande lavoro.
Gentile Girolamo, ho letto Il bambino di burro con un po’ di fatica …emotiva, perché – non per sua colpa – per qualche ragione sapevo che sarebbe finito tragicamente ma la mia fatica nulla toglie alla bellezza del suo racconto. Forse dovrò rileggerlo, per apprezzare meglio quello che già alla prima emozionata lettura emerge con prepotenza: parlo dello stile, ricco quasi sontuoso, senza paura di aggettivare per rendere meglio un colore, una sensazione. Una scrittura che riesce a essere sensuale, sensoriale, esperenziale, senza esondare nel sentimentale e nel melodrammatico e così emozioni che facilmente potrebbero prendere la mano in un crescendo di retorica vengono invece disciplinate ma mai mortificate, tutt’altro, dal suo bel modo di scrivere. Complimenti e in bocca al lupo 🙂
Sono stata rapita dalle iniziali immagini, poi scossa d’improvviso, quando ho dovuto associare l’immagine del bambino a cavallo con la parola “acido”, arrivata violenta successivamente, a rievocare quella storia che nessuno dimentica. Lo scorso anno, confesso, non ebbi il coraggio di commentare il tuo bellissimo racconto, tanto doloroso quanto dolce e intenso. Accumulo qui i miei complimenti alla tua scrittura ed anche al rispetto che metti nel narrare temi difficili, che trafiggono gli animi.
Davvero un ringraziamento sentito, cara Monica, per l’attenzione che hai voluto concedere a questo mio racconto e per le parole estremamente gentili che hai voluto riservarmi. È sempre un grande conforto sapere che ciò che noi viviamo può attraversare le vite degli altri lasciando in esse un piccolo ricordo. Un grande in bocca al lupo per il tuo bellissimo racconto.
Grazie, Ugo, per ogni singola parola, e per la voglia di leggere il mio racconto nonostante la fatica che, mi creda, è stata la mia stessa fatica per tutto il tempo in cui ho provato a far vivere questa storia. Un commento che mi emoziona non solo per ciò che esprime, ma anche perché giunge da uno scrittore che apprezzo molto. Avevo infatti già letto il suo racconto per la sezione corti, e il commento che vi ho lasciato era nato prima di questa sua bella sorpresa. Ma il tempo, stavolta, è stato ingannatore. Ancora grazie allora, e ancora in bocca al lupo.
Cara Silvia, grazie per questo tuo toccante commento, e grazie infinite anche per le belle parole per il mio precedente racconto. Ciò che hai scritto mi riempie di commozione e mi regala la consapevolezza, ancor di più, che l’animo umano può essere un universo meraviglioso. La vita spesso è un percorso impervio del quale credo sia necessario ricordare i tornanti e le salite che abbiamo affrontato, essendo sempre riconoscenti a chi ci ha accompagnato nel suo dipanarsi. Grazie ancora, e un sincero in bocca al lupo per il tuo bellissimo racconto.
Hai affrontato un argomento che richiede tanto coraggio, ma ci sei riuscito alla grande. Complimenti.
Grazie mille, Pasqualina, per la tua attenzione e per la gentilezza che hai voluto dimostrarmi.
Un racconto dal ritmo musicale che si fa leggere con curiosità e un certo stato d’ansia. In tre tempi. All’inizio sembra quasi una fiaba (ho controllato se fosse un racconto per bambini), poi sembra che voglia diventare un thriller, e alla fine si capisce il tragico epilogo con un richiamo inequivocabile alla realtà. Ma c’è pur sempre la speranza (per me cristiana) che il bambino di burro torni dalla sua famiglia, e porti il suo messaggio di pace, e di perdono. Bravo. Complimenti!
Non si può non condividere la tua speranza, cara Lucia, perché, a volte, quella di credere che non tutto sia perduto in questa umanità, è una necessità che va al di là della ragione e che ci dà la forza di continuare.Grazie quindi per le tue parole e per l’affettuosa e precisa interpretazione del mio racconto.
Un racconto “aspro” soprattutto in nel titolo, capace di “offendere” emotivamente la nostra sensibilità portandoci dentro la triste storia. Eppure su tutta la vicenda continua a ergersi una immagine di bellezza come a dire parafrasando una delle celebri frasi di Falcone che in fondo la mafia è solo un fatto innaturale e umano e come tale destinato a estinguersi
La tua narrazione aggiunge alla cronaca lo sguardo di Giuseppe, il suo affidarsi al ricordo di prodezze con l’amico che non tradisce (il suo cavallo) e la consapevolezza della morte quasi come liberazione dalla inaccettabile prigionia.
Giuseppe è la vittima necessaria per riaffermare che la mafia non tollera tradimenti: in alcuni passaggi del racconto sembra che il protagonista ne sia consapevole eppure i suoi occhi cercano di aprire uno squarcio nel muro bianco della sua prigione alla ricerca anche del più piccolo granello di bellezza.
Il racconto con stile e senza retorica scorre su due piani paralleli quello “umano” e crudele dei suoi carnefici e quello naturale della terra e degli affetti, con immagini davvero intense.
Di fronte alla tua narrazione si è rinnovato in me il desiderio che provo ogni volta che guardo il film di Marco Bellocchio “Buongiorno notte” di una conclusione diversa: che bello poter vedere la crepa da cui entra la luce e Giuseppe correre con il suo cavallo riempiendo i suoi polmoni di aria nuova. Complimenti Girolamo per questo splendido e toccante racconto.?
Il punto interrogativo è scappato dalla tastiera… ma in fondo è un sottile augurio di trovarti nell’elenco dei 25.
Cara Anna Rosa, il tuo commento, tanto generoso, mi ha scaldato davvero il cuore e ha percorso molte delle strade su cui ho vagabondato. Sai, non riesco ad immaginare qualcosa di più orribile di un’offesa arrecata a un bambino. Di una creatura che, riprendendo le parole di Marco nel suo affettuoso commento, “intravede tutta la vita tumultuosa in cui non potrà tuffarsi”.
Una confessione, allora, Anna Rosa: Giuseppe è rimasto dentro di me dal momento in cui ho calpestato la terra nella quale ormai riposa. Non esiste una tomba, non una lapide… solo il casolare, le colline e l’erba, e quel vento che fa sì che il suo ricordo continui ad accostare le nostre esistenze, e che si è insinuato, a volte caldo, altre volte gelido, nell’anima. Il pensiero di saperlo felice e libero, anche soltanto per pochi e impercettibili istanti, è diventato quasi una necessità per me. La consolazione di una speranza.
È come se avessi cercato di riversare in questo racconto parte di quel peso che ancora sento… e che penso non mi abbandonerà mai.
Si vedono bene le strade su cui hai vagabondato, Girolamo.
Il racconto è ben scritto, i cambi di punto di vista lo impreziosiscono, il tema è complicato e reso con efficacia.
Bravissimo.
Grazie davvero, Luca, per aver letto il mio racconto e per le tue parole che mi hanno fatto molto piacere. E complimenti ancora per il tuo bel racconto.
Caro prof, un racconto delicato che fa vibrare le corde dell’animo umano. Complimenti!