Premio Racconti nella Rete 2019 “Cantico” di Anna Rosa Perrone
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2019Madre Raffaella era nata a Burgos, un minuscolo paese incastonato fra le colline sarde, di poche anime e molte greggi. Alla sua nascita era stata registrata all’ufficio anagrafe con il nome di Antonia Piras.
La sua famiglia era abbastanza agiata: per controllare e accudire le proprietà, suo padre non aveva bisogno di stare lontano da casa poiché, alle sue dipendenze, aveva servi pastori.
Sin da piccola aveva patito quella presenza costante fra le mura domestiche, mentre nelle famiglie dov’erano le donne a custodire il focolare e ad amministrare l’educazione dei figli si respirava un’aria migliore. Almeno così raccontavano le compagne di giochi.
Le ore delle sue giornate erano scandite dalla voce perentoria del padre Gavino, che cadenzava i ritmi della casa e imponeva a sua madre Annedda ogni cosa: pena discussioni infinite, durante le quali la genitrice non poteva far altro che star zitta e abbassare gli occhi.
I penosi rientri notturni del padre erano stati per anni la sua angoscia e quella di sua madre la quale, per trovare conforto e protezione, teneva nel proprio letto lei e i suoi fratelli.
Ricordava ancora il suo incedere malfermo sulle gambe, le frasi impastate dal vino, lo sbattere di sedie e stoviglie e l’odore del cannonau corso a fiumi durante la sera. Tutto in linea con la figura dell’uomo forte, “balente” del paese, a cui non poteva di certo sottrarsi Gavino Piras.
Mai aveva visto suo padre accarezzare la moglie e dirle una parola gentile, mai aveva sentito quelle mani ruvide sul suo viso in un gesto di tenerezza. Benché non ci fossero mai stati episodi di violenza, tutti erano consapevoli, guardando Annedda, del suo sacrificio. Si respirava sempre una brutalità repressa: la parola libertà l’avevano conosciuta solo in “su vocabolario”, il libro nel quale erano contenute tutte le parole della lingua italiana.
Sin da piccola Antonia aveva disegnato il suo futuro pensando a come liberarsi di quella oppressione, e sin da allora aveva fatto a sé stessa una promessa: mai si sarebbe sottomessa ad un uomo, mai avrebbe subito nell’anima le molte offese sopportate da sua madre.
Aveva sviluppato negli anni un odio viscerale per quel padre padrone che avrebbe ucciso, se avesse potuto farlo senza dare un dolore alla madre. Aveva visto i fratelli liberarsi dell’impiccio di quella vita e degli angusti orizzonti andando in Seminario, poiché nelle famiglie perbene l’unica cosa a cui non si metteva intralcio era la “vocazione”, anche se la gestione del patrimonio ne avrebbe potuto ricevere nocumento.
Andando in seminario, i suoi fratelli avevano evitato il freddo e la solitudine degli ovili sulle montagne, perché la professione di servo pastore era già stata confezionata per loro alla nascita. Avevano potuto studiare e Gavino si era dovuto rassegnare al fatto di non poter decidere del loro destino come se fossero stati una cosa sua. Così Luigi e Sebastiano, i suoi fratelli, per riscattarsi da lui avevano dovuto accettare di essere una cosa di qualcun altro.
Antonia aveva fatto le elementari a Burgos e le medie in un altro paese a pochi chilometri. La sua istruzione si sarebbe interrotta con quel diploma, in attesa di un buon matrimonio, se il parroco non avesse creduto di osservare anche in lei, così devota e brava a scuola, la grazia della vocazione religiosa.
Tuttavia Don Angelo non sapeva che Antonia andava in Chiesa per cambiare aria, per non sentire il peso del sacrificio di sua madre, per liberarsi della terribile “voce” del padre. Né capiva che, nei libri, i suoi occhi cercavano altri orizzonti oltre le colline e anche più in là, sino ad arrivare in “continente”. Voleva scoprire se altre vite erano possibili, voleva studiare una via di fuga che non apparisse tale alla gente del paese, ma soprattutto a suo padre. Gavino non doveva essere in condizione di costringerla a ritornare a casa e, soprattutto, non doveva potersi vendicare della sua condotta a danno di sua madre. Fu così che anche ad Antonia venne la “vocazione”.
Chiusa nella sua stanza, Madre Raffaella pregava. Ogni notte apriva un poco i battenti della sua finestra per sentire l’odore della vita nell’aria umida. Le piaceva stare nascosta nell’oscurità, nuda e in ginocchio, per sentirsi i capelli finalmente liberi sulle spalle e il tenue bagliore della luna rimbalzare giocando sulla sua pelle candida.
Il freddo in quei momenti le pervadeva le carni, ma il sentire il suo sangue quasi defluire era una sensazione piacevole: il suo corpo diventava inanimato e finalmente svincolato dalle costrizioni dell’abito conventuale.
In alcuni momenti pensava sarebbe stato bello trovarsi per miracolo ricoperta da un manto di neve, svegliarsi e avere una altra vita, come la terra dopo il disgelo a Burgos…
Sapeva di aver fatto la scelta migliore, forse l’unica possibile. E poi, non era stata sempre la Madonna a consolarla nei momenti peggiori, a darle rifugio?
Ma allora come mai da qualche tempo neanche la notte era più sua amica, né le preghiere, ripetute ossessivamente in ogni momento della giornata, riuscivano più a scacciare gli strani tremori del suo cuore? Perché sentiva come una schiavitù le bende che comprimevano il suo seno, e ogni mese piangeva vedendo il sangue rosso del suo mestruo?
Aveva fatto una scelta, la migliore o l’unica possibile, ma Antonia era ancora nel suo letto e dentro le sue carni, e chiedeva semplicemente di vivere. Eppure aveva raggiunto un grado monastico ragguardevole: Superiora dell’Istituto delle Vicenziane in un piccolo paese di mare ai confini del mondo.
Ma davvero era stata lei a decidere della sua vita?
Pensava ancora al giorno in cui, vestendo l’abito, aveva guardato il padre con uno sguardo fermo, per la prima volta di sfida. Ma ora il dubbio le prendeva la gola sin quasi a strozzare il suo fiato: aveva davvero vinto la sua battaglia silenziosa, oppure Gavino aveva ancora una volta stabilito le regole, e la sua libertà di decisione era stata solo una illusione?
Per liberare il canto che le si strozzava in gola, ora aveva bisogno di fare qualcosa di tangibile per sé stessa, un percorso fuori dalle righe e oltre le ristrette regole dell’ordine: le mura dell’istituto non dovevano servire solo a rendere muto il fiato greve di suo padre.
No, la sua vita doveva essere gioia, non la costrizione di un cilicio!
E adesso forse aveva trovato l’opportunità: in quel paese con le sue regole non scritte, il muro fra i ricchi e i poveri sarebbe stata la sua palestra.
L’immagine del suo primo giorno di scuola da insegnante all’istituto era da giorni nei suoi pensieri: lei davanti ai banchi occupati dagli allievi, divisi in funzione del ceto sociale delle loro famiglie: lo aveva capito dai loro grembiuli, dai colletti, dalle scarpe e dalle cartelle in cui riponevano i libri a fine lezione.
Le direttive sulla sua condotta didattica le erano state impartite dal parroco del paese in una riunione preliminare, durante quale le era sembrato di sentire sul collo nuovamente il fiato di Gavino:
– Cara Madre bisogna evitare tutti gli errori e lei si deve affidare alla mia esperienza: sarò il suo viatico…
Le crude parole che aveva aggiunto, ancora risuonavano nei suoi timpani: “diamo a Dio quel che è di Dio, ma a Cesare ciò che è di Cesare”!
Pensava con fastidio alle frequenti visite del parroco all’istituto, spesso le sembrava di essere sottoposta al suo controllo attraverso lo sguardo delle altre suore…
No, quel prete che tanto assomigliava a suo padre nell’incutere soggezione e regole, non sarebbe stato il modo con cui subdolamente ancora una volta avrebbe continuato a sentirsi sotto il giogo del genitore: i suoi occhi non dovevano più chinarsi per sfuggire alle domande, per non rivelare i suoi pensieri nascosti. Aveva abbracciato quell’ordine folgorata dalla figura di Luisa di Marillac, la fondatrice, di cui aveva apprezzato soprattutto lo spirito libero, non convenzionale, l’impegno nell’istruzione dei più poveri e il suo motto “la carità” ci stimola a cambiare le cose…
Finalmente dalla finestra vide entrare un fascio di luce sentì il suo corpo destarsi dopo l’inverno e “cantare” e vide le sue mani fiorire porgendo agli sguardi affamati provenienti dagli ultimi banchi della sua classe l’asta della conoscenza quella in grado di superare il muro delle diseguaglianze.
Scritto molto bene. Cattura il lettore. Ma….Come va a finire? Non c’è un vero finale…
Un racconto “colto” e ricco di spunti di riflessione. La figura di questa monaca “per caso” figlia di un padre dalla presenza ingombrante che trova il suo riscatto e la sua ragione di vita nello sfidare le regole ottuse e bigotte a favore della diffusione della cultura per tutti. Compresi quelli degli ultimi banchi. Mi è piaciuto molto.
Mmmh… Un cantico che fa da contro cantico al… Contro cantico? Mi riesce troppo bene collegare questo tuo secondo racconto al primo, quasi a voler riscattare la mancata spiritualità del precedente protagonista. Perché, nonostante le motivazioni che hanno portato ai voti, la bontà nel personaggio c’è! Chiaramente ben scritto, bel ritmo e immagini nitide, come in un libro illustrato! Ancora complimenti Anna Rosa!
Brava Anna Rosa. Un altro racconto di grande significato su religione, potere e ribellione. C’è la consapevolezza che contro un avversario più forte non si può vincere, ma si può lasciarlo solo, senza contendenti, senza spettatori. E purtroppo, per certe battaglie, il corso di una vita può non bastare, e occorre un sacrificio. Grazie al quale però, da quelle ultime file nasceranno uomini migliori.
Complimenti Anna Rosa. Una scrittura ricercata, coinvolgente, che dà pregio ad una storia antica ma portatrice di valori moderni. Un racconto necessario. Molto evocative le scene che richiamano momenti di vita familiare e che scandagliano, attraverso la loro concretezza, molti recessi dell’animo umano. Una descrizione di luoghi e di persone che non si ferma a ciò che è visibile, ma sa farci vedere ciò che li muove e li agita in maniera lucidissima. Di nuovo tantissimi complimenti!
Tutto il racconto è bello, scorre pacatamente, con una sua scrittura “classica”: sembra un capitolo di una storia più ampia, un romanzo vien da pensare, di quelli che si leggevano ancora negli anni 60 e 70, che so, Cassola, per esempio, per questo parlo di andamento, di ritmo ” classico”. La lingua è accurata ma senza pedanteria: è la lingua di chi sa cosa vuol dire e sa come dirlo. E’ tutto bello, dicevo, ma ho trovato veramente stupenda l’immagine della cultura come asta per saltare il muro delle diseguaglianze e trovo anche interessante che si tratti di diseguaglianze e non di semplice, prevedibile, ignoranza. Complimenti gentile Anna Rosa e in bocca al lupo! 🙂
Dopo il “Controcantico” era doveroso il “Cantico” per ridare un po’ di lustro e dignità alla categoria. Brava, ben scritto.
Brava, Anna Rosa! Ho letto il tuo racconto con piacere. Hai mai pensato di cimentarti con un romanzo?
Ringrazio Mirella, Pasqualina,Ugo,Girolamo,Marco,Silvia, Monica, Grazia dei lusinghieri commenti. Ogni vostra riflessione è stata stimolo per una rilettura del racconto i con lo sguardo delle vostre percezioni.
Ho trovato molto ben delineato il carattere di Madre Raffaella. Rispecchia la ricerca della libertà di tante troppe donne che non possono vivere la vita che vorrebbero. Conoscere, viaggiare, studiare e usare i propri talenti.
Anna Rosa, auguro a Madre Raffaella di trovare la sua gioia piena. Mi immagino che superato il muro delle disuguaglianze, riesca a superare il muro della sua prigione, scegliendo, se davvero lo desidera, di essere suora non per ripiego o come unica via di fuga. In realtà, sono andata un po’ oltre il tuo finale con la mia mente, condizionata dalle sensazioni provate di notte da Antonia. Sì perché di notte, mi è sembrato che Raffaella si togliesse, oltre agli abiti, anche il nome, per tornare semplicemente Antonia. In bocca al lupo (a lei e a te!)????
Introspettivo e con una forte spinta verso la libertà e la giustizia. Bello.
Grazie a Ester ed Elisabetta.
Ho letto il tuo racconto, cara @annarosaperrone e mi è venuto in mente un periodo della mia vita da insegnante. Vengo chiamato ad insegnare in una scuola privata e scopro che chi più contribuisce, tra gli alunni, ha più voce in capitolo. Deve avere voti più alti, anche se non li merita. Ha la promozione assicurata, anche se è piuttosto ignorante. Come insegnante ho subito le pressioni assillanti della preside, nel periodo della fine della vita di Eluana Englaro. La stessa situazione si è ripetuta in un’altra scuola. Ho scritto anche un romanzo sul tema, Storia di una suora inquietante e di un professore.
Ma lasciamo perdere i fatti miei. Il tuo racconto si legge bene, con un linguaggio essenziale, ma sufficientemente descrittivo. è scorrevole ed equilibrato. Insomma, brava!