Premio Racconti nella Rete 2019 “Ariel e la storia dello sciamano” di Yuma
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2019«Non ho raccontato mai a nessuno questa storia, nemmeno a mia madre, anzi, a dire la verità, quando qualche volta ho provato a introdurre l’argomento, lei ha sempre cambiato discorso, quasi come se toccassi un tabù, come se entrassi in una stanza proibita. Eppure lei, come donna, avrebbe potuto comprendermi più di altri. Non credi?»
E piangeva e piangeva e le lacrime di salsedine le rigavano quella pelle sottile, soffice e profumata. Era così affranta che, quel giorno, decisi di stare ad ascoltarla per tutto il tempo lei ne avrebbe avuto bisogno. Prima di confidarsi, mi fece però promettere di non farne parola con nessuno. Non fu un problema per me, non avrebbe dovuto nemmeno chiedermelo.
«Molti anni fa – cominciò- fui invitata da amici in una villa sulle colline nei pressi di Firenze per festeggiare il solstizio d’estate. Per l’occasione erano intervenuti molti intellettuali e personaggi del mondo della musica, dell’arte e della cultura. Tra tutti c’era una presenza che attirò in modo particolare la mia attenzione: un uomo di colore, vestito in modo alquanto eccentrico e con una voce dal timbro profondo. Arrivato dalla Germania, era ospite per alcuni giorni del proprietario della villa ed io, incuriosita, chiesi al padrone di casa di presentarmelo. Venni così a sapere che si trattava di uno sciamano.
Dopo i primi convenevoli mi chiese di seguirlo e ci mettemmo un po’ in disparte, lontani dal resto delle persone che si trovavano quasi tutte nel salone principale e nel giardino. Ci sedemmo sotto un salice e tirò fuori un sacchettino di conchiglie; senza dirmi niente, le sparse su una pietra di un vecchio lavatoio che si trovava lì accanto. Le osservò e poi, con uno sguardo del tutto diverso dal precedente, mi disse tante, ma tante cose riguardanti il mio rapporto con l’amore, mi parlò degli uomini che avrei incontrato, delle non poche sofferenze che avrei dovuto ancora sopportare e, tra queste, mi parlò anche della maternità, dei figli che avrei avuto…e di un bambino…, ma improvvisamente la sua espressione si abbuiò; tacque per diversi secondi, poi mi domandò se avessi subito delle perdite. Io però in quel momento non diedi molto peso alle sue parole.
Subito dopo la sua voce si levò in un crescendo inaspettato, quasi come se fosse alterato con me, mettendomi in guardia rispetto al futuro; al che mi venne quasi da piangere, gli occhi bagnati come un fiume colmo fino all’argine stentavano a trattenere le lacrime, non mi aspettavo una simile reazione. In realtà mi ero lasciata da poco e mi sentivo sola, non ero molto tranquilla in quel periodo, stavo vivendo un cambiamento epocale per me; probabilmente avrei fatto altre esperienze, ma non tali da pensare di giudicare me stessa in modo così negativo, come invece sembrava facesse lui in quell’istante. Ci fu perciò da parte mia un momento di smarrimento e di dispiaciuta confusione. Fu in quel frangente che mi guardò dritta negli occhi, mi scrutò a lungo e finalmente mi vide: il suo sguardo severo allora cambiò radicalmente, si addolcì e la sua voce divenne del tutto diversa. Sembrava quasi volesse scusarsi. Mi abbracciò e, in quel silenzio carico di pensieri, mi disse che la mia bontà d’animo mi avrebbe permesso di superare tutte le avversità e che alla fine ce l’avrei fatta. Poi mi sussurrò altro, ma non ricordo tutto, se non il senso generale della conversazione. Il padrone di casa giunse a chiamarlo proprio quando ancora eravamo abbracciati, così mi salutò piuttosto frettolosamente e il suo sguardo mi lasciò lì, scossa, alquanto disorientata per le sue ultime parole e con una marea di domande appena abbozzate e rimaste accartocciate nella testa.
Sono passati molti anni da allora e sinceramente quel ricordo aveva assunto, almeno fino a ieri, dei contorni molto vaghi e annebbiati, da quadro impressionista, tanto offuscati da arrivare addirittura a chiedermi, in certi momenti, se quella stravagante esperienza l’avessi effettivamente vissuta o solo immaginata. In effetti quell’incontro era stato molto breve, ma aveva lasciato comunque dentro di me un’ indelebile traccia.»
La guardavo in silenzio, avrei voluto parlarle, ma cosa dire, come farle capire quanto stavo in pena per lei. Io non avevo mai saputo di quella storia, che sinceramente mi sembrava anche poco importante, ma avevo capito che in quegli ultimi giorni Teresa aveva vissuto qualcosa di traumatico e aspettavo che fosse lei a trovare il momento e le parole giuste per sfogarsi e probabilmente tutto ciò aveva in qualche modo un collegamento con questo lontano ricordo. Parlava speditamente, ogni tanto si fermava, mi toccava, piangeva e sorrideva insieme. Io stavo spesso ad ascoltarla, era bravissima a raccontare le storie, soprattutto quelle della sua vita. I suoi occhi erano meravigliosamente profondi e malinconici, mi ci perdevo come in uno strapiombo d’amore.
Poi riprese: «Ero così felice fino a ieri, sai? In questi ultimi due mesi mi sono sentita come rinata. Dopo anni ho riprovato quell’indescrivibile sensazione di far parte del ciclo della natura, come allora, come la prima volta. Certamente a questa età non è come a venticinque anni, ma io mi sono sentita forte e piena di entusiasmo per poter affrontare questa nuova avventura. E poi?»
Io non riuscivo ancora a capire cosa volesse dirmi. Mi arrovellavo per cercare di captare cosa fosse accaduto. Però era strano: non mi ero accorta di niente eppure, a parte qualche giorno in cui ero stata fuori per alcune ore, negli ultimi tempi ero rimasta molto vicina a lei e non avevo notato niente di tanto diverso dal solito tran tran.
«E poi ieri pomeriggio sono stata malissimo. Dei dolori terribili alla pancia e tutte le mie speranze, sono finite. Se l’è portato via! Non è più con me, non è più dentro di me! E stamani le parole di quello sciamano di tanti anni fa, che pensavo di aver dimenticato, sono tornate così vivide nella mia testa, da non sentire altro che quelle! Sono diventate martellanti e non so come farle smettere!» Perché mi racconta queste cose? Mi chiedevo…Ieri non è stata malissimo. Io ero con lei.
«L’ho perso… Ecco è accaduto davvero. Ecco cosa mi aveva detto quello sciamano: “Perderai un bambino”, ma io non ci avevo creduto, lo avevo addirittura dimenticato…! E ora quelle sue parole mi sono tornate in mente, mi rimbombano nella testa così chiaramente che non so più come farle tacere!». Piangeva disperatamente. Fu allora che lo sconforto prese anche me. Sapevo che quel fatto era accaduto, sì, ma non era possibile fosse accaduto di nuovo “ieri”. Infatti nel giorno precedente ero andata con lei a fare una passeggiata fuori in giardino, era una fredda ma bellissima giornata di febbraio, il sole cristallino era molto invitante nel primo pomeriggio. Dopo pranzo eravamo uscite per fare il solito giro fino in paese e poi eravamo rientrate dopo un’oretta. Lei era molto tranquilla, si era messa a leggere e poi si era addormentata per un po’, cosa strana, visto che trovava sempre qualcosa da fare. In alcune occasioni recenti aveva fatto cenno a questa esperienza, ma lo aveva fatto parlandomene come di un ricordo appartenente al passato.
Ultimamente si vedeva che si sentiva molto sola. Il figlio ormai sposato era andato a vivere abbastanza lontano da non venirla a trovare molto spesso. Ogni sera verso le cinque preparava la cena e diceva che aspettava il suo amore, che però non tornava più, visto che era rimasta vedova da qualche mese. Però questo suo modo di fare, non mi sembrava preoccupante. Era una sorta di rito, anche molto commovente. Si erano amati così tanto lei e il suo compagno che quell’attesa era quasi un atto doveroso e anch’io la assecondavo comprendendo quanta sofferenza tenesse dentro di sé. Spesso le stavo vicina quando lei guardava dalla finestra, cercando di intravedere la luce dei fari della macchina, volevo che sentisse il mio affetto. Stanca poi, per la delusione di quel mancato arrivo, se ne tornava in cucina, rimaneva seduta in silenzio per alcuni minuti, finchè ad un certo punto si rialzava per rimettersi a sistemare i piatti e a parlare del più e del meno. E tutto riprendeva normalmente. Anche il giorno precedente aveva aspettato il suo amore e poi, fatte le faccende, era andata a dormire. E non era stata male. No assolutamente. Anzi si era addormentata quasi subito.
Per quello che ne so io, quel ricordo della perdita del bambino risaliva ad almeno quarant’anni anni prima. In più occasioni mi aveva raccontato di quanto fosse stato forte il desiderio di diventare mamma ancora una volta e soprattutto di avere un figlio dal compagno che aveva conosciuto non più giovanissima. Non subito, ma poco dopo i quarant’anni era finalmente rimasta incinta e, nonostante i dubbi e le paure che si possono provare quando si è più maturi, anche nei confronti degli equilibri familiari preesistenti, era felicissima di questa opportunità che tanto aveva desiderato. Purtroppo la gioia che la natura le aveva dato, gliela tolse poco dopo e il dolore che le lasciò fu più grande di quanto avesse mai immaginato, anche perché non le si presentò più quella possibilità.
Quando la sentii raccontarmi quell’episodio, come fosse accaduto il giorno avanti, capii che la mia dolce Teresa si era persa in un tempo fluido, in cui i fatti si affastellavano l’uno sull’altro secondo un criterio non più cronologico, ma emotivo. Capii che il suo dolore non era più solo un un ricordo: lo aveva provato di nuovo, per lei era accaduto realmente il giorno precedente. E realizzai allora che anche le sue attese e i suoi silenzi non erano soltanto un rito: erano veri, più veri anche di quanto non lo fossero mai stati prima. Che differenza c’è tra un sentimento oggettivamente provato e uno immaginato, o meglio, vissuto nella propria interiorità in modo così forte da sentirlo reale? Lei soffriva, solo questo contava per me, e l’unica cosa che volevo era farla stare meglio.
E allora appoggiai la mia testa sulla sua e cominciai a farle le fusa più rumorosamente di quanto avessi mai fatto prima. Era l’unico modo che avevo per dirle che non era sola e che anch’io la amavo. Lei mi guardò e mi disse: «Grazie Ariel mia, ora sto meglio. Quella voce non la sento più e nemmeno quel dolore. Chissà perché ultimamente tutto mi sembra… confuso. Avrai pensato che sono un po’ rimbambita. Io un bambino ce l’ho e, anzi, vorrei che tu te ne prendessi cura se un domani…Ora però non voglio parlare più. Stai pure qui con me, stasera. Voglio solo dormire, solo dormire.»
Ero soddisfatta di averla consolata un po’. In fondo era per questo che ero stata mandata da lei. Ci addormentammo l’una accanto all’altra e quella fu l’ultima volta.
Quando il figlio il giorno dopo arrivò entusiasta per dare la notizia che Teresa sperava di ricevere da tempo, la chiamò giù dal fondo delle scale, ma lei non rispose. La trovò stesa nel letto con me vicina e, sotto le coperte all’altezza del grembo, vide una grossa chiazza di sangue. Non so quanto in precedenza si fosse accorto della profondità del dolore della madre, della solitudine e del grande vuoto d’amore che l’avevano invasa, ma dai suoi gesti capii che in quel momento anche lui, a modo suo, comprese. Tenendola stretta a sé, si abbandonò ad un abbraccio così intenso e così teneramente affettuoso, da sembrare lui il padre e lei, la madre, una bambina, la sua, e mentre la cullava pronunciava ripetutamente le stesse parole che a mala pena si riuscivano a percepire, tanto erano interrotte dai singhiozzi del suo pianto: “Mamma, perdonami!”; e la chiamava per nome, prima più forte, poi con un filo di voce e così continuò fino a che non iniziò a perdere il respiro; a quel punto i vicini di casa, richiamati da quella voce straziante, lo convinsero a lasciarla e a sedersi. Fu allora che mi prese sulle sue ginocchia e, con lo sguardo perduto nei miei occhi, rimproverava se stesso di non aver capito prima, di non aver dimostrato quell’amore che teneva chiuso in sé per il suo carattere tanto schivo o per il suo orgoglio o anche solo per noncuranza, e chiedeva a me, che lo guardavo un po’ spaurita, se mai mi fossi accorta di quanto amore in realtà aveva sempre provato verso quell’anima che lo aveva amato così tanto, così tanto da non poter più riuscire a vivere senza sentirsi riamata. E poi avvicinò il mio muso alla sua guancia e io non osai scappare. Sentii che il mio compito era rimanere lì con lui, come avevo fatto con sua madre. Teresa me lo aveva fatto capire. E così è stato.
Lui ora è molto cambiato, sembra un’altra persona: non tiene più tutto dentro di sé e con sua figlia Teresa, nata pochi mesi dopo, è un padre affettuoso e premuroso; anche con me è diverso, condividiamo qualcosa di speciale: sentiamo di aver ritrovato la nostra Teresa in quella bimba, una creatura che avrebbe ridonato un senso al suo esistere, se solo avesse aspettato ancora qualche ora prima di andarsene.
Certo gli umani a volte sono proprio strani: sembra che amino soffrire. Prima stanno male perché non godono della gioia del condividere il presente con coloro che li amano, poi perché si rendono conto di quanto era prezioso ciò che avevano, solo quando lo hanno perso. Perciò talvolta è necessario un grande dolore o una terribile privazione per aprire loro gli occhi e riportarli ad apprezzare il bene che sta anche nei piccoli gesti quotidiani, come le fusa che faccio ogni giorno alla mia tenera Teresa. Queste piccole azioni forse a qualcuno possono apparire insignificanti, ma in realtà sono fondamentali perché che ci rendono felici. Teresa mi accarezza, io faccio le fusa e lei ricambia sorridendo, semplice. Cosa c’è di più bello? La vita non è poi così complicata come gli umani pensano, basta voler vedere l’essenziale, come fa lei e come faccio io. Ora devo lasciarvi perché mi è venuto sonno, sto già impastando la mia copertina vicino alla culla di Teresa. Ricordatevi: basta voler vedere l’essenziale. Buonanotte.
Ariel
Molto singolare questo punto di vista. Una storia che sa catturare l’attenzione anche se, a mio parere, soffre dei diversi cambi di persona nel narrato. Rimane un lavoro molto interessante.
Una scelta stilistica voluta. Grazie Monica per il suo prezioso commento! In ogni modo ci rifletterò!