Premio Racconti nella Rete 2019 “Cattive intenzioni” di Elisa Tomassi
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2019Si è svolto tutto in un attimo, non so come sia stato possibile.
Ero stata una personcina per bene, fino a quel momento. Da allora, non so. Eppure non avverto dentro di me alcun senso di colpa.
Era autunno avanzato, ero triste e forse un po’ disperata, non che voglia giustificarmi, per carità, un gesto del genere non ammette scuse. Eppure, devo riconoscere che non era stato un gran periodo per me. Sentivo di stare a gran passi progredendo verso la depressione.
I bambini, non li sopportavo più, da tempo. Avevo insegnato fin da giovanissima, e le classi di asilo affollate, piene di mocciosetti piagnucolosi non le gradivo più da un pezzo.
Le parola ripetuta “Maestra maestra “ mi faceva venire l’orticaria, gli occhioni che tanto mi avevano affascinato al tempo della mia gioventù , dopo trent’anni di frequentazione giornaliera mi erano diventati odiosi; le paroline sussurrate e più spesso gridate, gli errori di pronuncia, i capricci, le piccole offese che avevo guardato con accondiscendenza e trasporto ora mi facevano schifo.
E mi faceva schifo l’odore che si avvertiva entrando in classe.
Gianni, mio marito, mi guardava con le labbra increspate e mi diceva , quasi ogni giorno : “ e basta ! chi te lo fa fare ? si vede che sei stanca, non reggi più, fai qualcosa “ .
Così, quasi per fargli piacere, avevo deciso di cambiare lavoro ed ero passata a insegnare ai ragazzini delle medie. Ero stata assegnata a una scuola in un quartiere ritenuto “ difficile” della mia città; tutto sommato, per il Ministero ero una delle ultime arrivate, nonostante i tanti anni di insegnamento alle spalle.
Gianni mi aveva abbracciato, baciato in velocità e sussurrato : “ complimenti, è fatta “ .
Ero diventata a tutti gli effetti una professoressa, la maestrina tutta miele avrebbe ceduto il posto alla tranquilla e benvoluta prof.
Ricordo bene il primo giorno nella nuova scuola.
Ero entrata nell’aula della II C, due ore di letteratura e storia, piena di buone intenzioni, sfoderando il mio consueto sorriso professionale e cantilenando un lungo buongioooooorno .
Tutto uguale, avevo solo sostituito la parola ragazzi a quella bambini e mi era venuto anche difficile: l’abitudine di una vita si faceva sentire , il volto atteggiato a recitare la parte della chioccia con i pulcini continuava a essere lo stesso di prima.
Il brusio si era subito interrotto e venticinque facce intente mi avevano scrutato all’unisono. Alcune di esse erano pigre, sonnolente, altre vivaci, curiose; notai tre ragazzini seduti nella fila centrale, le bocche volte al riso.
“Allora, mi presento, sono la maestr… cioè la professoressa Francesca, ho cinquantuno anni e sono qui per insegnare letteratura e storia. Ditemi, ditemi, amate queste materie? sentiamo , sentiamo”.
Avevo iniziato a muovermi a piccoli passi tra i banchi, dopo aver spalancato una delle finestre : l’odore di scuola – quel misto di sudore , fiati, matite, gessetti – anche qui era intenso, mi abbrancava le narici senza ritegno, lo avvertivo in tutta la sua potenza .
Rispose un silenzio generale.
“Su su non siate timidi, bambini …”
Erano anche loro dei bimbi, in fondo, pensai.
Che faccette ancora infantili, che sguardi limpidi. Ah si, quelle due hanno le tette in vista sotto la maglietta e quell’altro ha già un accenno di barbetta … vabbè, è un’età di passaggio ma sono ancora piccoli e teneri, mi piacciono.
Si alzò una mano.
“Dimmi, dimmi , come ti chiami caro ? “
“Natale” rispose il ragazzino in prima fila, e continuò : “A me piace molto la storia perché penso che senza conoscerla diventiamo piatti, non sappiamo niente di noi e possiamo fare sbagli nella vita”.
“Bravissimo, Natale! una giusta e corretta riflessione”. Accompagnai l’elogio con un generoso sorriso dei miei, dando un buffetto sul ciuffo di Natale.
“Professorè, vorrei dire pure io una cosa” , intervenne uno dei tre ragazzini al centro , che ora ridacchiavano in sincrono.
“Prego, caro esprimiti pure!”
“Io sono Passalacqua, a me la storia mi caca il cazzo. E pure la letteratura”.
Seguì un silenzio della durata di qualche secondo e poi una fragorosa risata da parte di quasi tutta la classe.
Se ne astennero solo il buon Natale e quattro o cinque ragazzine dall’aria scandalizzata.
Venni travolta dall’insolenza e delle risate. Non sapevo come comportarmi, cincischiai una risposta del tipo:
“Come ti chiami ? Sei stato maleducato, non solo con me ma con tutti i tuoi compagni “
E il ragazzino : “ Professorè ma non ci sentite bene ? Ho detto come mi chiamo, ma nunn’ agge chiedere scusa a nisciuno , era la mia idea, voi avete chiesto e io ho risposto”.
Un sorriso beffardo sul visetto fresco di bambino, un po’ triangolare, gli occhietti a spillo, l’espressione ardita, volta a cercare l’approvazione dei due compagni accanto a lui.
“ E poi, che ho detto di male? Solo che non mi piace, vero frà? “ aggiunse rivolgendosi al vicino di banco alla sua destra.
“Eh no, niente di male” rispose questi.
“Sta storia non mi piace neppure a me , ci stanno tutte quelle date, Prof, oggi facciamo conoscenza, saltiamola, ja !”
E si alzò nel contempo, come a chiuderla lì.
“Ragazzi, un momento, chi vi ha detto di alzarvi?”
Nel frattempo, il rumore delle sedioline spostate dai banchi si era fatto più intenso, erano in quattro in piedi.
“Possiamo andare al bagno?”, mi avevano chiesto tutti insieme .
“E no, mica tutti insieme, dove andate?… “
“Professorè, ci abbiamo un’emergenza, ci scappa a tutti e quattro ! “
E avevano riso. Come si divertivano, beati loro. Nel frattempo mi guardavano, mi avevano soppesato ed erano stati veloci nel giudizio e nelle conseguenti azioni.
La situazione mi era sfuggita di mano in poco meno di dieci minuti. I ragazzi erano usciti , mi ero fatta tutta rossa in viso, avevo sudato, avevo scritto delle note, sollecitato l’intervento della Preside, che il giorno dopo era venuta in classe a fare una breve ramanzina, ricordando ai ragazzini i doveri di educazione e rispetto verso gli insegnanti e il prossimo in generale.
La sua voce era impostata ma ferma, i suoi gesti lenti e misurati, l’uditorio attento e i visi seri e composti.
Imparai quella mattina che il mio modo di pormi dinanzi ai ragazzini non era quello giusto ma l’altro non lo sapevo praticare ed era già troppo tardi, ormai. Nel frattempo, mi ero fatta la fama di quella insicura, ridicola, poco credibile. In breve, le giornate lavorative divennero un inferno.
Passalacqua non mi mollava, era il mio incubo.
Iniziava a sfottermi da quando mettevo piede in classe a quando andavo via, spalleggiato dai soliti compagni. Avevo deciso di far finta di non sentire ma era difficile.
Continuavo a sorridere, cercando di ignorare le provocazioni, minacciando sanzioni che non avevo il coraggio di mettere in pratica .
Le giornate si susseguivano le une alle altre, tutte uguali; spesso , quando ero in quella classe, la voce mi tremava e mi sentivo balbettare; del resto, neppure nelle altre due classi che mi erano state assegnate le cose andavano molto meglio.
A casa cominciai ad accusare la condizione, nonostante mi fossi mostrata fin dall’inizio entusiasta del nuovo ruolo. Mi sentivo distratta, assente, a volte mi abbandonavo al pianto , nel buio del bagno di notte.
Guardavo il mio viso alla luce del cellulare e ci trovavo nuove rughe.
Quando raccontavo a Gianni quanto accadeva lo vedevo che, di nuovo corrucciato, mi guardava con quelle sue labbra in su .
A volte mi diceva – ma solo per rassicurarmi : “ sei scema? Come fai a farti mettere i piedi in testa da pochi ragazzini ? “ e io mi sentivo stringere la bocca dello stomaco e mi facevo piccola dinanzi a lui.
Avevo iniziato a prendere un tranquillante, uno potente, me ne aveva parlato Angela, l’unica amica con la quale mi fossi confidata .
Lo prendevo appena sveglia e poi a metà mattinata, in classe. Mi faceva stare meglio, quasi bene . Il sorriso non era più forzato ma lo avvertivo naturale, il sottofondo di risatine e punzecchiamenti era come in una bolla.
Quel giorno avevo notato che il mio aguzzino era fuori forma: il visetto a punta sul banco, lo sguardo abbandonato verso la finestra.
La puzza in classe era insopportabile , più del solito, mi asfissiava; e quella sensazione finiva per sopprimere la mia residua benevolenza .
Avevo già preso le mie dieci gocce d’ordinanza.
A un certo punto, l’amico di Passalacqua si era avvicinato alla cattedra: “Prof , Alfredo non si sente bene, mi manda lui, manco ce la fa a parlare …”
Lo guardai, era sempre più pallido , il volto stretto in una smorfia. Mi avvicinai al banco.
“Che cos’hai ? “ chiesi.
“Mi fa male la pancia, tanto, professorè… “, rispose in un sibilo, questa volta la voce era quella di un bambino.
“Ho qui le gocce, non ti preoccupare”.
Tirai fuori dalla borsa la boccettina del mio tranquillante e versai in un bicchiere di plastica cinquanta gocce , una , due, tre , quattro … contate con scrupolo.
Aggiunsi un po’ d’acqua dalla bottiglina che portavo sempre con me.
“Bevi bevi, caro …”. Sorridevo .
Alfredo bevve a fatica ma ingurgitò tutto, senza fiatare. Dopo poco, rantolava dal dolore, pallidissimo e sudato.
La bolla scomparve all’improvviso e mi ritrovai nella realtà : avevo avvelenato un inerme ragazzino affidato alla mia custodia ed educazione. Ero pessima, altro che miele e fermezza.
Per fortuna, tornai in me e mi affrettai a chiamare il 118.
Era un fortissimo attacco di appendicite.
Alfredo venne operato d’urgenza e ora è uno dei miei alunni più affezionati; è convinto che quelle gocce gli abbiano salvato la vita, forse senza di esse lo avremmo rimandato a casa .
Non lo farò più, lo giuro.
Lo stress da insegnante permea tutto il racconto e accompagna la lettura che naviga verso un finale a sorpresa che si fa ironico ed anche un tantinello beffardo.
Questo è un racconto deliziosamente cattivo. Elisa, tu conosci i tempi giusti della narrazione, sai dosare in modo giusto le informazioni senza dissiparle all’inizio e sai costruire i personaggi. Non ricordo più quale critico o scrittore aveva detto che con i propri personaggi bisogna saper essere sadici e far succedere loro cose terribili. Tu l’hai fatto, e hai anche salvato il moccioso insopportabile.
Ma come fai a conoscere così bene il mondo delle aule?
Tempi duri per gli insegnanti… ed a volte anche per gli studenti :). Situazioni con cui vengo a contatto spesso per lavoro, generazioni che mettono alla prova… Chissà a quante prof è venuto in mente ogni tanto di poter spegnere i propri alunni in classe, o i propri sensi per non sentire… Mi fa tanto sorridere il finale, la frase è un vero tocco di classe. Complimenti Elisa!
Grazie a tutti voi per le belle parole ! Si , il finale ha stupito anche me, che in genere sono una persona ” tranquilla ” . Ma può capitare che spesso , iniziando a scrivere, non si sappua dove si arriverà . Fatto sta che non faccio l’insegnante ma è questo un mondo dal quale sono stata avvolta fin dall’infanzia , essendo figiia di insegnante, e che continua comunque a interessarmi e in qualche modo affascinarmi, considerato che la maggior parte delle mie amiche fa questo lavoro , di certo bellissimo ma a volte un pò ingrato .
Be’, questa è un’originale commedia di ambiente scolastico con un sorprendente tocco di nero! Un modo inconsueto di affrontare quel mondo, dove normalmente sembra prevalere (è solo un’impressione personale) il tema del ragazzo complesso, dell’ambiente sociale ferito, delle famiglie difficili. Il punto di vista un’insegnante disamorata a tal punto da cercare la vendetta è nuovo. Vedo i bambini sempre più spesso padroni assoluti del terreno e dei loro genitori. Insomma, la frustrazione di Francesca è attuale e credibile e tocca corde vere, anche se il racconto scorre lieve e con qualche tocco di umorismo. Complimenti gentile Elisa 🙂
Grazie mille, Ugo !! 🙂 E’ vero, il calarsi ì nei panni degli insegnanti che, dopo anni e anni di lavoro a contatto con la fragile e difficile “materia umana ” di bambini e adolescenti , si sentono stanchi e svuotati fa cambiare prospettiva . Tutti abbiamo ragione, in qualche modo; la realtà è sempre complessa .
Cara Elisa, un bel racconto dinamico – dal finale certamente inaspettato – che ben documenta dal punto di vista descrittivo e introspettivo la condizione degli educatori e dell’istituzione scolastica. Un mondo che può rivelarsi difficile oltre quel luogo comune del posto fisso e del lavoro tranquillo, che mette in gioco la persona nella sua totalità, sino a condizionarne modi di vivere, pensare, sentire. Oltre la cattedra, con la propria sensibilità, le proprie cadute, i propri sforzi di adattamento e di comprensione. Grazie!
Cara Maria, grazie a te di aver colto tutto lo spirito della narrazione 🙂 . Si giunge all’iperbole, questo si, ma il disagio a volte merita anche rappresentazioni un pò estreme ! 😉
Mi sembra che la tua protagonista, resa un po’ incosciente dal tranquillante,finalmente entra in relazione col cattivone. Noi adulti siamo condannati dal gioco delle parti, gli adolescenti spesso non ci stanno.
Vero, Magda !! hai colto un aspetto al quale neppure io avevo pensato. Il cattivone alla fine è pur sempre un ragazzino e a quell’età questo sentimento, per quanto possa fare danni alle nostre fragilità di adulti, è molto indotto , secondo me, dall’imitazione degli adulti di riferimento.
(Tanto di cappello agli insegnanti che ci mettono l’anima!) Non riuscirei a reggere l’ansia di quell’insegnante, che ci hai fatto così ben percepire. Brava.
grazie, Luca! ho ” sentito ” molto questa scrittura, lo ammetto, pur non svolgendo questo lavoro. Forse ha influito il fatto che mia madre lo abbia fatto con dedizione per una vita .
Bellissimo e crudo, mi hai veramente fatto emozionare!
la caratterizzazione psicologica è molto approfondita e si possono comprendere tutte le frustrazioni del personaggio.
Complimenti!
Grazie, Stefano! Far emozionare chi ci legge è quanto di più bello ci sia per chi scrive .
Deve essere proprio tosta fare il professore. Ho apprezzato molto, soprattutto quel non lo faccio più …
Il mondo della Scuola suggestivo e unico qui emerge soprattutto nella finale, il resto è scontato per chi lo consce davvero. Piacevole.
Grazie , Vrocco e Maddalena! In realtà l’insegnamento non è il mio mestiere ma il mondo della scuola mi ha sempre affascinato, soprattutto per la vicinaza ai giovanissimi, che rappresentano il nostro futuro e la nostra speranza .
Si finale a sorpresa ma il racconto realistico, oggi i ragazzi sono fin troppo svegli e se il prof non ha l’atteggiamento giusto rischia di essere travolto. Si legge bene,nello!
Grazie, Enrica !
Un racconto iperrealistico: un punto di vista molto originale che serve a dare la misura dello spaesamento delle due parti della barricata. Mi è piaciuto veramente molto.