Premio Racconti per Corti 2010 “Insonnie” di Annalisa Bellerio
Categoria: Premio Racconti per Corti 2010
Suona la sveglia.
Un braccio annaspa per spegnerla, urtando sul comodino lampada, libro, bicchiere vuoto e scatola di sonniferi. Lui si alza faticosamente dal letto, aria stravolta, apre la finestra. Di fronte, i minuscoli giardinetti. Su una panchina, un uomo. Lo stesso quasi tutte le mattine.
Teso e inquieto, si prepara ed esce. L’uomo della panchina è ancora lì. Immobile.
“Lorenzo, che ti succede? Hai bevuto? O ti è passato sopra un camion?”
“Solito, non ho dormito. Va così da mesi, da quando sono qui. E i sonniferi mi lasciano inebetito. Non capisco cosa mi succede.”
“Preoccupazioni?”
“Non direi, anzi. Cambiare città non è stata una decisione facile, ma era una promozione, ne valeva la pena. Sono passati sei mesi, mi trovo bene. E l’appartamento che la banca mi ha messo a disposizione è comodo, luminoso, allegro; eppure lì dentro mi sento sempre in ansia. E non riesco a dormire.”
“Forse hai un’allergia, o qualcosa che ti disturba. Campi magnetici, punti cardinali, colori. Dovresti consultare un esperto di Feng Shui. Magari ti basta spostare la radiosveglia, o ruotare il letto. Va be’, non ti ho convinto. Ci vediamo per pranzo.”
Il collega se ne va e lui si concentra sul video, lottando contro il mal di testa.
Cena fuori in compagnia, ma niente cinema. È troppo sfinito e torna a casa. Appena aperta la porta, un fruscio alle spalle, e un uomo dal viso coperto lo spinge dentro l’appartamento, lo segue, richiude la porta.
Sorpresa, spavento, stanchezza impediscono a Lorenzo di emettere un grido. Contro di lui è puntata una pistola.
Indietreggia con cautela fino al salotto, l’altro avanza. Finalmente l’adrenalina gli torna in circolo.
“Cosa vuoi? Non c’è niente di prezioso, qui. Ho circa 200 euro in contanti, ecco, e un orologio. E un cellulare. È tutto. Vattene via subito.”
L’uomo sembra non ascoltare. Si guarda intorno. Si siede sul divano, appoggia la pistola sul tavolino di fronte. Rimane lì, in silenzio.
Lorenzo non capisce, eppure gli sembra di essere tornato in sé.
Passa qualche istante. L’uomo si toglie la sciarpa e il berretto. “Hai messo qui il divano; forse è più logico. Arriva più luce. Io qui avevo il tavolo, d’estate aprivo i vetri del balcone, era quasi come cenare in terrazza, guardando il giardino.”
Lorenzo lo fissa, incredulo. È l’uomo che al mattino vede seduto sulla panchina di fronte. Si muove, ma subito si blocca. La pistola.
“ Non preoccuparti, è un giocattolo. Me ne vado via subito, solo qualche minuto. Volevo rivedere la mia casa anche dentro, non solo fuori. Non mi avresti mai aperto.”
“Abitavi qui?”
“Sì. Ci piaceva proprio, anche se il mutuo per noi era molto alto. Lo è diventato sempre di più, e io intanto ho perso il lavoro. Ho tentato di tutto, non ce l’ho fatta. La ProboCredit se l’è tenuta, ce ne siamo dovuti andare.”
ProboCredit. La banca in cui lavora Lorenzo. E che gli ha offerto l’appartamento.
“Dove state adesso?”
“Dai miei genitori. Io. Anche lei, all’inizio, poi è andata via.” Pausa. “Ora vive con un altro.”
Lentamente, l’uomo si alza. “Sono stato bene, qui. Ho passato i momenti più belli della mia vita. Scusami, volevo ricordare.”
“Senti… non so… Vuoi fermarti qui, stanotte?”
L’uomo lo guarda. “Non hai paura? Non mi conosci. Comunque devo andare, è tardi, i miei sono anziani. Si preoccupano, come quando ero ragazzo. Temono qualche mio gesto sconsiderato.” Fissa la pistola, rimasta sul tavolino. “E stasera l’ho fatto.”
“Posso fare qualcosa per te?”
“Lasciami venire, ogni tanto. Qualche minuto. Al mattino esco molto presto, non riesco a dormire, così spesso mi siedo qui davanti.”
“Vieni domani sera, invece, a cena. Parliamo un po’. Ti aspetto.”
L’uomo annuisce, sorpreso; poi abbassa lo sguardo, si avvia alla porta ed esce.
Lorenzo si aggira per le stanze, pensieroso, guardandosi intorno con occhi nuovi. Cogliendo, dietro le ombre passeggere della notte, quelle, tenaci, del dolore.
Al mattino si sveglia, lucido. Ha dormito. Oltre i vetri, la panchina è vuota. Sul comodino, il bicchiere è pieno.