Premio Racconti nella Rete 2019 “25 donne e Marinadelmar” di Patrizia Fistesmaire
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2019Il dovere di raccontare a te i fatti della storia mi spinse a riemergere dai fondali, dove, tutto sommato, stavo ormai abbastanza comoda.
Sono Marinadelmar, una giovane donna.
Erano i primi giorni di novembre e sopra il mare l’aria frizzava sulla pelle. Ma il freddo durò giusto il tempo di un ricordo poi mi sentii meglio.
Tra le cosce fertili della Posidonia trovai un giaciglio sicuro e mi parve di essere a casa. Divisi il riparo con una famiglia di gnacchere. Nemmeno io sapevo chi fossero, perdonatemi. Si tratta di molluschi bivalvi che spesso ospitano in grembo piccoli granchi. Sono amorevoli creature del mare, ancorate alla sabbia dai filamenti che in passato vennero addirittura usati per tessere.
Ebbi dunque la compagnia migliore che potesse capitarmi.
Dopo tutto, già mi incontrò la mala sorte, che questa volta mi meritavo un riscatto.
Ebbene sì.
È proprio questo che vado cercando.
E oltre all’etica che mi spinge su spero ancora che il tempo si possa interrompere.
Con le mie compagne, che per un po’ divennero amiche, il viaggio si trasformò e anzichè raggiungere terra diventammo creature del mare.
In sostanza ci andò bene, giacchè se fossimo volate via, il respiro del cielo ci avrebbe disperse. Di sicuro non avremmo potuto far nascere i nostri bambini, gli angeli sono già abbastanza.
Invece nell’acqua fu un modo indolore di dare la vita.
Io, Osaro, A’isha, Khadija, Yaa, Nafisah, Kubra, Maryam e Samirah diventammo madri per la prima volta con il tocco del mare che gentilmente decise per noi.
Le nostre gravidanze esplosero senza il tempo della terra ma in un ritmo diverso e subito la vita conobbe la luce.
Mi sdraiai sulla spugna nella penombra di una grotta. Sentivo il suo respiro mentre inalava l’acqua dai pori minuscoli e con gentilezza la espelleva. Fu come un massaggio che conciliò il sonno e così nacque mia figlia.
Come mi accorsi che era femmina?
Non so, ma fui certa che lo fosse.
Come andò alle altre non saprei raccontarti ma quello che accadde sì, invece, che lo ricordo.
Ad un certo punto una luce brillò sul fondale. I miei occhi erano chiusi perché si erano già abituati alla notte. Feci uno sforzo.
Le triglie luccicavano nelle distese sabbiose. I barbigli biancastri parevano fluorescenze e tutte insieme mi coprirono il ventre. Anche le altre furono omaggiate di coperte di triglia, come regine del mare.
Il pianto dei nostri bambini se lo ingollò l’acqua che li avvolse in un flusso. Pensai in quell’attimo alle creature che regalammo al mare. Preziose.
Per questo volli ricevere in cambio qualcosa. E chiesi al mare di spingermi su per tornare da voi, giusto il tempo di aiutarvi a capire.
Fummo noi, 26 donne inghiottite dalle onde, nel tentativo di varcare la vostra terra.
In parte profughe in parte no, perché non arrivammo mai.
Avevamo bambine e bambini che potevano nascere e forse un giorno li avreste incontrati.
Mi fa ridere pensare che lei, mia figlia, sarebbe stata negli occhi del tuo. Amata come una dea, mentre lui, tuo figlio, la rincorreva sulla spiaggia e lei con le gambe lisce e lunghe come il vento si divertiva ad andare lontano; nel gioco della conquista, quando le cerbiatte scappano perché non siano predate ma raggiunte dai loro cervi e cavalcate. Ecco anche loro avrebbero fatto l’amore, stesi sulla sabbia che per un po’ li ricopriva, con noncuranza. Allora tu, che non volevi che tuo figlio amasse una negra, lo avresti battuto di notte, perché sostituisse la ragione al desiderio.
Oppure avresti potuto anche battere lei, mia figlia. Come gli avventori a Benin fecero con noi fin da quando eravamo bambine.
Ma questo non voglio pensarlo.
Sono venuta qui perché capissi chi siamo, non per rivangare l’ingiustizia della tua disumanità.
Ecco ci sono cascata.
Ma a questo punto voglio che tu sappia, chissà, potresti essere diverso da loro. Anche in passato non furono tutti uguali: c’era chi mi strappò la pelle con la furia di un bufalo e chi mi prese carezzando i miei riccioli.
Credo ancora nell’uomo. Infatti, ti racconto:
Abena, Ama, Dada, Afia, Kamaria, Monifa, Nia, Abena, Baako, Chizoba, Lumusi, Dayo, Mirembe, Zuri, Omolara, Nomusa e Kagiso, loro non erano fecondate, ma avrebbero voluto esserlo, prima o poi.
Diventammo amiche, durante il viaggio, tutte e 26.
Anzi, prima ancora di salpare ci sentimmo unite da un mistero così grande che ci fece tremare. Il mondo si apriva oltre il mare e noi ci saremmo infilate dentro al suo cuore.
Furono la speranza e la fuga dalle vostre mani a spingere il nostro viaggio.
Se avessimo atteso ancora un pò probabilmente non saremmo partite. Dal porto di Benin si vedevano solo fumi e arrivava odore di petrolio, chiunque sarebbe scappato. Ma bastava andare più in là, fuori dalle strade e i palazzi, che la sabbia bruciava il profumo dell’Africa. Mi immergevo nel verde come ora mi è toccato il mare. Le foglie di baobab parevano ombrelli e mi nascondevo tra le palme a sfregare il mio corpo sul tronco ruvido e sfaldato. Il piacere me lo davano la Natura e Zarif, ma entrambi mi tradirono.
Lui, fuggì con una vecchia dalla pelle d’avorio che gli comprò l’anima, la Natura invece mi risucchió i sogni, ed oggi, eccomi qua.
Non va bene, volevo narrare chi ero, ma mi trovo sbronza di nostalgia e rancore.
Me lo aveva sussurrato il mare: “non andare Marinadelmar, non tornare indietro, la terra è crudele, uccide lo spirito”.
Vorrei che conoscessi i nostri nomi e te li ho fatti. Sarebbe stato tremendo se li avessimo persi annegando, cosa credi che sarebbe accaduto?
Ovvio.
Ci avresti dimenticato. Forse, più lentamente, se i nostri nomi li avessi sentiti scandire, tra la testa del martello e l’incudine, forgiati nella tua memoria che a volte, permettimi di dirlo, è davvero breve.
Adesso che vivo nell’infinito del tempo ho la facoltà di vedere oltre la storia e lo spazio.
È per questo che sono qui, perché anche tu riesca a farlo con me.
Ci sono ombre che sporcano i popoli e distruggono il soffio dell’umanità. Queste macchie si dilatano e occorre fermarle.
Se tu non riesci a capire, se tu non riesci a vedere, chiama almeno i tuoi figli.
Vi sarà qualcuno che proclamerà i nostri nomi e dopo un po’, uno ad uno, il ricordo della vita che fu si scolpirà anche nella tua mente.
Da quel momento in poi saremo libere.
Finalmente.
E nuoteremo come sirene danzando tra le ortiche di mare, senza temere il loro veleno.
Questo racconto ci ricorda, in un linguaggio quasi onirico, che l’amore per qualcuno come l’amore per la vita – per la vita di chiunque attraversi questa terra – è amore per il nome più proprio di ciascuno, per la vita irripetibile di ogni essere umano.
Marinadelmar, Osaro, A’isha, Khadija, Yaa, Nafisah, Kubra, Maryam, Samirah. Abena, Ama, Dada, Afia, Kamaria, Monifa, Nia, Abena, Baako, Chizoba, Lumusi, Dayo, Mirembe, Zuri, Omolara, Nomusa, Kagiso. Sono pervaso da un senso di impotenza, ma ti ringrazio, Patrizia, per aiutarci, con questa bellissima prosa, a tratti poetica, a non dimenticare.
Brava Patrizia, sai ogni volta toccare il cuore…
Patrizia hai usato dolcezza nelle parole e nelle immagini per raccontare, ma inevitabilmente mi hai colpito e straziato il cuore, schiacciato tra l’incudine e il martello. Hai unito sensibilità e talento innato, e hai dato vita ad uno splendido racconto, partorito come i figlli di cui parli. Tanti complimenti.
Stupendo, complimenti!
Fra narrativa e poesia, le parole di questo racconto mi hanno letteralmente colpito per la potenza che riescono a richiamare, come l’attenzione su uno dei più importanti temi che la nostra società moderna deve affrontare; ciò che è morto non può essere dimenticato. Dimenticare sarebbe uccidere uccidere un’altra volta. Il commiato dalla propria vita, senza possibilità di scelta, è una tragica condanna. Complimenti all’autrice.
Emozionante! Bellissimo ????
Emozionante. Bellissimo.
Molto bello,commuovente e reale .
Poetico da rileggere molte volte per non dimenticare
Ecco come un racconto può essere forte e delicato al tempo stesso. Inizia come una favola, continua come una cronaca e finisce come un appello a non dimenticare. E tutto quello che accade, anzi che è accaduto, si trasforma in un abbraccio in cui il mondo marino e’ l’unico che ha dato accoglienza con tutti i suoi abitanti a queste donne. Complimenti sinceri per come hai raccontato questa storia.
Parole lievi e poetiche che hanno la forza di infliggere un tremendo colpo al cuore di persone indifferenti, razziste e dalla memoria corta. Una esposizione pacata, che va dritta al bersaglio. Complimenti Patrizia, bello e incisivo.
Una storia che scuote le spalle, che da’ la sveglia, drammatica e commovente. Complimenti.