Premio Racconti nella Rete 2019 “Solo un po’ più in là” di Oscar Tison
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2019Un po’ più in là, oltre l’ultimo lampione, oltre la scala di ferro che nessuno utilizza, se scavalchi il grido della bouganville e il suo profumo, ti ritrovi in uno spiazzo molto grande riempito di piccoli tesori e di respiri affannati e guardinghi. E altro: mani che frugano. Scialli. Sirene in lontananza.
Ray quel giorno in quello spiazzo aveva trovato un carillon con la molla rotta e la chiavetta ancora inserita: un regalo perfetto per Mascia. Adesso gli mancava solo una scatola carina e la carta per avvolgere il tutto, oltre naturalmente un po’ di lavoro perché tornasse a suonare. Ce l’avrebbe fatta, è un mago in queste cose.
Ray. Vi ricordate di lui? No, certo. Era invisibile, come Garabombo.
Lo chiamavano Ray perché indossava sempre, sempre, fosse giorno o notte fonda, un paio di Ray Ban di quelli che nessuno porta più, con le lenti a goccia, le astine sottili e una particolarità: una lente nera e l’altra di un rosso rubino, il che gli dava un’aria inquietante e un pochino dannata. Li aveva assemblati da sé, con dei pezzi trovati in quello stesso spiazzo, aveva limato levigato pulito avvitato fissato, se li era provati specchiandosi sulla vetrina del negozio della Lucia, alzandosi sulla punta dei piedi per potersi vedere al di sopra dei cavolfiori che quel giorno facevano bella mostra del loro fogliame e delle cassette piene di zucchine lucide e si era piaciuto. Era corso da Mascia, a farsi vedere da lei, e lei gli aveva dato un bacio sul naso. Le lenti nascosero l’umidità dei suoi occhi, così decise di non toglierli più, non poteva lasciar credere che… I suoi concorrenti allo spiazzo lo avrebbero sconfitto e annullato a suon di ghigni e non poteva permetterselo: solo mantenendo la sua autorità sui raccoglitori avrebbe potuto continuare a far sorridere Mascia e a riuscire a campare.
Quel giorno, sotto la scala di ferro che nessuno utilizza era apparso un uomo che indossava abiti puliti.
-“Per lo meno non porta la cravatta.”
Mormorò un raccoglitore osservandolo attraverso la fioritura della bouganville. L’uomo guardava fissamente la scala, allungava il braccio come per toccarla, ma subito lo ritraeva, forse preoccupato per la ruggine o per le scaglie di vernice che penzolavano incerte come foglie in autunno. I raccoglitori, ma non solo loro, anche gli scambiatori con i loro sacchi pieni di cianfrusaglia in mano, i venditori di sogni o di semplice oblio, i bambini scalzi con grandi occhi curiosi, passarono un bel po’ di tempo a guardare quel film, era gratis e questa è una cosa che non capita spesso, da quelle parti. Poi tornarono alle loro faccende.
Intanto, Ray aveva trovato quel che cercava. La carta era un po’ stropicciata, ma era colorata e spessa come quella di certi negozi del centro, gli occhi di Mascia si sarebbero aperti pieni di stupore e avrebbe cercato di aprire il regalo senza strapparla. Soddisfatto, si guardò intorno e notò che l’uomo senza cravatta non si vedeva più. Era ora di ritornare.
Un po’ più in là, oltre un enorme cartellone pubblicitario ammiccante che nascondeva agli occhi dei passanti la discarica e i suoi frequentatori, un uomo stava spiegando a una bambina che per attraversare la strada bisogna aspettare il semaforo verde.
-”Hai capito bene, Mascia?”
Le disse con un sorriso. Mascia fece cenno di sì con la testa, anche se tanto bene non aveva capito, era frastornata dalle novità che vedeva, dai rumori, dalla gente elegante che la sfiorava, dalle vetrine che esponevano cose a lei sconosciute.
-”Siamo quasi arrivati.”
-”Dove?”
L’uomo indicò un palazzone grigio di sette o forse otto piani, Mascia sapeva contare solo fino a sei. Attraversarono la strada e fu allora che Ray li vide.
Non molto tempo prima, dopo aver trovato quel che cercava, Ray si era avviato per tornare a casa. Oddio, casa… Noi, che stiamo col culo appoggiato ai nostri termosifoni non la chiameremmo così di certo. Ma c’era un giaciglio, in quello stanzone, e un altro un po’ più piccolo per Mascia, due sedie che zoppicavano un poco, un tavolo che stava su solo se appoggiato a qualcosa. E non ci pioveva dentro. Ogni tanto cercavano anche di pulire, di solito quando c’era brutto tempo, ma in quel vecchio casermone abbandonato da decenni la polvere ci aveva messo le radici e se riuscivi a togliere una macchia, quella subito riappariva un poco più in là, più grande ancora. Non importa, ci sono cose peggiori. Comunque, quel giorno, Ray stava tornando a casa tutto contento: aveva trovato un giocattolo per far divertire Mascia, l’avrebbe aggiustato e incartato e poi l’avrebbe messo nelle sue mani con un inchino, sorridendo alla sua espressione di gioia.
Era quasi arrivato, doveva solo superare la bouganville. Guardò i piloni grigi di cemento armato e i buchi che li circondavano, è strano come ti affezioni a ogni cosa che ti accoglie, quale che sia la sua forma o il suo aspetto, quali siano le sorprese, dolci o amare, che ti riserva. D’un tratto, inaspettatamente, senza che nulla fosse accaduto, i suoi sensi si misero all’erta. Qualcosa non andava. Dov’erano il solito casino che animava il palazzone e gli sfottò che lo accoglievano ogni giorno al suo rientro? Dov’era quel coglione che ogni giorno prometteva di suonargliele di santa ragione e poi scappava via ridendo? E Mascia? Che di solito gli correva incontro?
Fu il Mando a dirgli cos’era successo. Non si rampavano tanto, quei due, una storia vecchia, riguardava un mandolino che forse avrebbe potuto suonare ancora, non ricordo bene, nessuno se ne ricorda più; è rimasto solo il rancore. Si appoggiava ad una bicicletta, il Mando, e aveva la faccia scura, quella delle grandi occasioni. Con quella faccia, senza mai accennare a un sorriso, gli raccontò di come quell’uomo, quello vestito bene, lo hai visto, no? Si fosse incazzato quando aveva trovato Mascia che giocava tenendo un topo morto per la coda. Non è possibile!, gridava, siete degli incoscienti bastardi e sporchi, gridava, dovreste andare tutti in galera! Credevo, disse Mando, che stesse persino per bestemmiare, ma si è controllato, è un uomo per bene, lui, certe parole non le dice. Mascia si è spaventata, si è messa a piangere.
-”Ha fatto piangere Mascia?”
Ray diventò tutto rosso in viso.
Ma poi l’ha consolata. Le ha asciugato le lacrime con un fazzoletto. Mai visto un fazzoletto così pulito. A cosa gli serve, se non lo usa? Vabbé. Poi l’ha presa per mano e l’ha portata via. Via da questo sudiciume!, diceva, cosa vuol dire sudiciume? Vabbé. Mando intercalava sempre le frasi con un bel vabbé. E voi vedrete, ci ha detto, a tutti noi che stavamo, senza saper che dire, a osservare. Vi manderò un’ispezione. Dippiù, i carabinieri. Vabbé. Se ne è andato tenendo Mascia per mano.
Ray tremava. Per il nervoso, credo. O per la rabbia. O per la disperazione. Afferrò la bicicletta con una violenza tale che Mando quasi cadde a terra, salì e si mise a pedalare come un forsennato. Su, verso la montagna di rifiuti, per la via più breve, la via che conosceva. Nessuno neppure accennò a fermarlo, solo Mando gli gridò qualcosa, un qualcosa che riguardava la bicicletta. Io, che ero poco lontano, ho sentito che gli gridava che i freni erano difettosi; Roy, chi lo sa, forse, ma forse, e forse pensò chissenefrega. Pedalava come un pazzo, schivando le lattine gli stracci i ferri i sassi la puzza e quant’altro, finché fu in cima alla montagna di rifiuti e poi giù e poi su per la salita della città vecchia e dalla cima del poggio li vide. Era Mascia, ne era sicuro. L’avrebbe riconosciuta anche tra la folla del carnevale di Rio. O di Viareggio. O di Milano. O di dove cazzo volete. Stavano avvicinandosi rapidamente all’edificio in cui si trovavano gli uffici degli assistenti sociali. Non c’era tempo da perdere, se voleva riprendersi Mascia. Poteva ancora farcela e ce l’avrebbe fatta se si sbrigava, se era veloce. Ray era veloce e cercò di esserlo ancora di più, anche se sono strette le strade della città vecchia, sono strette. Anche se sono scure, le strade della città vecchia, sono scure. Veloce come mai era stato uscì dalle mura, infine, rimaneva solo un’ultima discesa d’asfalto, nera, diritta, e ci si buttò senza guardare. Diede solo uno sguardo, per un solo momento, a quel grande cartellone che vedeva in distanza, messo là a nascondere la miseria alle coscienze. Forse fu questo a distrarlo, o forse furono i freni a tradirlo, chissà. Si sa solo che fu un angolo di mattoni rossi ad intromettersi tra lui e la meta. Mattoni rossi, squadrati con pignoleria, messi là da mani inconsapevoli e indifferenti come il destino. Pensare che gli sarebbe bastato passare un po’ più in là, solo un po’ più in là, come la vita.
Che bello Oscar! Lo aspettavo e mi ha colpito e commosso. Bello lo stile diretto e caldo con le sue accelerazioni senza punteggiatura e le ripetizioni quasi musicali. Bello il racconto, il personaggio, l’ambiente. Sì anche quello, con una scelta di campo precisa e un affetto e una tenerezza verso gli ultimi che mi fa venire in mente proprio Via del Campo: dai diamanti non nasce niente…
La disperazione e la speranza convivono dentro ogni immagine che viene evocata con delicatezza. Un ritmo che avvince e allo stesso tempo attiva la nostalgia e il bisogno di cambiare il mondo. Bello!
L’ho dovuto, soprattutto voluto leggere più volte, per aggiustare i sentimenti che mi ha suscitato e per dare un volto, un’età a Ray, che mi immagino come una sorta di fratello maggiore. All’inizio ho visualizzato uno scenario alla The millionaire, ma quasi subito ho capito che si trattava di una realtà molto più vicina, forse mi faceva comodo immaginare che fosse “più in là”. Fa riflettere sui parametri che ci diamo, in base al mondo che conosciamo e di cui facciamo parte, fortunati noi, che ci scaldiamo i culi ai termosifoni. Ma Ray vive in quel mondo, dove la gioia è un giocattolo riassemblato e impacchettato in un incartamento improvvisato, e la cattiveria sta nel portar via una bambina, da chi a modo suo ha cercato di farle bene. Io lo conosco quel signore vestito bene, siedo alla sua stessa scrivania. Che dire Oscar? Molto bello, molto molto. Grazie.
Ciao Silvia, Patrizia e Marco, vi ringrazio dei vostri commenti, sono contento vi sia piaciuto. Anche questa, come tutte le storie, è in parte una storia vera. Sono naturalmente cosciente che non esiste né il bianco né il nero e, come tutte le cose, anche queste situazioni hanno dei risvolti molto complessi che spesso si avvolgono su loro stessi creando delle spirali inestricabili. Vorrei solo riuscire ad afferrare un capo del filo, scegliendo da che parte stare.Grazie ancora e complimenti a voi per i vostri lavori, che ammiro.
Quando una storia ti prende per mano e ti fa provare tante emozioni in poche righe, allora è una bella storia. Molto bravo davvero, ottima caratterizzazione, vivide le descrizioni, tante tante emoziomi.
Grazie Monica, Il tuo commento emoziona me e complimenti per Primavera, che credevo di aver commentato, invece… Così scopro che già è stato detto quasi tutto, non mi resta che condividere. Grazie ancora!
A chi sta al caldo, a chi i regali li compra, a chi gira in completo, la realtà di Ray e Mascia può fare ribrezzo, ma la gioia del ragazzo nel portare a casa il carillon la dice lunga su cosa sia veramente la felicità. Un intervento esterno, anche se a fin di bene, può rompere un equilibrio già precario di suo e tu l’hai reso benissimo con questo bel racconto. Complimenti Oscar.
Grazie Pasqualina per il bel commento. Hai centrato dei punti centrali nelle mie intenzioni. Grazie ancora!
Colpisce come il muro, che secondo me è andato a cercare Ray, come il signore vestito bene è venuto a cercare Mascia perchè non sopportava che stessero insieme. Io le delusioni più grandi le ho provate non dai poveri, ma da chi avrebbe dovuto fare qualcosa per loro. Non c’è nessuno più dannoso di chi svolge un compito che non ha nelle sue corde, e per non vedere lo sporco se ne allonatana.
La corsa del racconto che rallenta, il riferimento alla buganvillea come confine, mi ricordano i miei primi racconti di trent’anni fa, nei quali dovevo delimitare ciò che mi piaceva da ciò che temevo. Bel ricordo, ma non solo ricordo.
Lo faccio ancora, e mi incoraggia ad essere in compagnia. Bravo, continuiamo
Grazie Marcello per il bel commento. Certo, continuiamo.
Mi hai messo in crisi, il racconto ha raggiunto l’obiettivo.
Tre passaggi. Sì, ci si affeziona alle cose che ci accolgono e alle persone con cui creiamo empatia, senza saper bene dove ci condurranno. E poi, cos’è il sudiciume? L’ambiente in cui vive Ray, amorevole ma inadatto a una bambina, o i modi dell’assistente sociale (?) venuto per darle un’opportunità “diversa”?
Infine “chissà”: Ray poteva ancora campare senza poter più far sorridere Mascia?
Grazie Luca, per il commento e per aver compreso i punti focali. Un grosso in bocca al lupo per i tuoi bei racconti, che ho molto apprezzato.
Uno stile visionario, surreale, a cominciare dai nomi, per proseguire con i vestiti, gli accessori, mentre sgrani la storia, sconclusionata e drammatica di Ray e Mascia. E la bouganville che divide la scena come la quinta di un teatro. E’ molto bello. Un grande in Bocca al Lupo Oscar
Grazie Simona! Sono molto contento che ti sia piaciuto questo mio racconto e ti ringrazio anche perché, a questo punto del percorso, non pensavo di ricevere più commenti. Ho avuto dei mesi molto impegnativi e non ho potuto seguire, me ne dispiace, questa edizione come avrei voluto, sono stato molto assente. Così ho letto solo oggi il tuo racconto e sono rimasto molto colpito dalla tua capacità empatica, dalla tua bravura di entrare nell’animo e nei pensieri di chi vive una situazione culturale e non solo molto diversa dalla nostra. Complimenti a te! Io faccio l tifo.
Baatava essere nato dalla parte giusta del mondo, per poter vivere l’amore che aveva nel suo cuore. Vederlo correre così riempie di tristezza infinita. Mi ha dato le stesse sensazioni di Acciaio. A volte la vita prende brutte pieghe..Hai messo insieme tanti piccoli fotogrammi. Funziona.
Che bello. Amaro e dolce. Bravo, complimenti.
In bocca al lupo!