Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2019 “Biro e il temporale” di Maury Incen (sezione racconti per bambini)

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2019

Biro era un piccolo gatto nero, con una macchia bianca proprio sulla punta della coda. Aveva anche la zampetta anteriore sinistra completamente bianca, tanto che pareva fosse inciampato in un calzino. A Biro piacevano il latte fresco nella sua ciotola ogni mattina e le carezze sulla schiena. Ogni volta che il suo padroncino Marco gliene faceva, Biro chiudeva gli occhi e faceva tante fusa. Ma non appena la mano del bambino si allontanava, lui alzava il musetto e spalancava gli occhi, come a chiedere “Beh? Non ce n’è più?” A volte Biro aspettava proprio che la mano del suo padroncino fosse a portata di salto, magari mentre faceva i compiti o stava disteso sul divano a leggere, e con un balzo si ritrovava proprio sotto al suo palmo per sgraffignare qualche carezza in più.

In realtà, non è che a Biro mancasse nulla: viveva in una bella famiglia, con un Papà, una Mamma e un Marco, tutti si occupavano di lui e correvano quando miagolava. Proprio per questo, forse, Biro era un gattino un po’ viziato e se la prendeva piuttosto comoda. Non gli piaceva uscire dalla finestra, saltare sui tetti dei palazzi vicini, e nemmeno dare la caccia ai topi (non che se ne vedessero molti in città) né andare a strillacchiare serenate lagnose sotto la finestra di qualche gattina. Insomma, era il perfetto gatto di casa, e in quel piccolo mondo fatto di quattro mura e tre umani, lui era il principe.

C’era solo una cosa che a Biro non piaceva, anzi che detestava con tutto sé stesso: il temporale. Quando i suoi baffetti vibravano e la sua coda diventava dritta come un bastoncino di liquirizia intinto nella panna, Biro si innervosiva e cominciava a cercare un posticino dove nascondersi. Nonostante conoscesse a memoria la casa, non era mai riuscito a trovare un angolo abbastanza lontano e isolato da non fargli sentire tutto quel frastuono che proprio non sopportava: il cielo diventava grigio, inghiottiva il sole e lo digeriva con un gran rumore di tuoni, starnutendo fulmini e pioggia. I suoi umani domestici (che chissà perché, si accorgevano del temporale solo quando ormai era bello che scoppiato) lo cercavano per tutta la casa, e quando lo trovavano se ne inventavano di tutti i colori per cercare di farlo uscire.

Croccantini, latte, perfino il suo pupazzetto preferito a forma di topo, ma niente: Biro non ne voleva sapere. Se ne restava tutto appallottolato nel suo angolo (sotto il divano, dietro l’attaccapanni, una volta perfino dentro il cesto dei panni sporchi, facendo prendere uno spavento alla Mamma) e non c’era verso di tirarlo fuori. Solo quando il temporale si calmava, Biro metteva fuori la testolina color inchiostro e, dopo uno sguardo a destra e uno a sinistra, si decideva a tornare a farsi vedere.

I suoi umani non capivano perché Biro avesse così paura del temporale. E Biro stesso, dal canto suo, non capiva perché loro non ne avessero. Ma come si faceva a rimanere tutti belli calmi e tranquilli quando sembrava che un tuono potesse buttare giù la casa da un momento all’altro? Biro non lo sapeva, e ogni volta che il cielo borbottava, lui sfrecciava a nascondersi come uno di quei fulmini che tanto gli facevano paura, rischiando anche di mandare a gambe all’aria il povero Papà che tornava a casa dal lavoro. Marco ogni tanto lo prendeva anche in giro: ‘Ma di che cosa hai paura? È solo un temporale!’ Solo?! Solo?! Eppure anche gli umani ne avevano, di paure assurde: stavano per ore a fissare una specie di quadro luminoso (che Biro aveva sentito loro chiamare “televisione”) e ogni tanto anche loro facevano dei balzi spaventosi se qualcuno strillava dentro quel rettangolo appeso alla parete. Biro non capiva, ma non ci dava peso. A lui interessava solo nascondersi abbastanza lontano quando arrivava il temporale.

Ma ci fu una sera diversa dalle altre. Stava arrivando il temporale, Biro aveva già sentito i primi ruggiti in lontananza, e subito era corso all’angolo che tutto sommato gli sembrava il più affidabile: un piccolo spazio che sembrava fatto apposta per lui, una minuscola nicchia tra la lavatrice e il muro. Ma arrivato lì, trovò il suo spazio occupato da dei panni sporchi che gli impedivano il passaggio e dovette rinunciare. Allora ripiegò verso il retro della libreria, dove tra l’altro c’era sempre un buon odore di carta che gli piaceva tanto. Ma anche lì, un’amara sorpresa: un’enorme ragnatela, sulla quale il legittimo proprietario passeggiava avanti e indietro, per raccogliere i bocconcini di mosca che vi si erano incastrati durante la giornata. Biro provò a chiedere: ‘È… permesso?’ Il Signor Ragno non sembrava averlo sentito, e per forza!, visto che Biro aveva così tanta paura che aveva miagolato pianissimo. Allora Biro riprovò, un po’ più forte: ‘È permesso?’ A quel punto il Signor Ragno, che stava proprio in quel momento srotolando una mosca dalla sua tela, alzò i suoi occhiacci rossi e gialli e rispose: ‘E tu che cosa vuoi?’ ‘Volevo soltanto nascondermi qui.’ ‘Nasconderti? E da cosa?’ fece il Signor Ragno. A Biro, in verità, scocciava un po’ ammettere di avere paura. Si sentiva un gatto grande ormai, e i gatti grandi non possono aver paura dei temporali. ‘C’è per caso un cane che ti segue?’ insistette il Signor Ragno. ‘No, è che… sto dando la caccia a un topo e volevo nascondermi qui per prenderlo di sorpresa quando esce.’ ‘Un topo, eh?’ disse il Ragno, asciugandosi un filo di bava con una delle sue otto zampe. ‘Sì, esatto, un topo!’ disse Biro gonfiando il petto e cercando di darsi un’aria da gran cacciatore. Ma il suo orecchio cominciava già a sentire le prime gocce di pioggia: non restava molto tempo. Doveva nascondersi, o il temporale l’avrebbe sorpreso. ‘Ma chi vuoi prendere in giro?’ strillò il Signor Ragno avvicinandosi minacciosamente, chiudendo rapidamente le tenaglie che (Biro lo notò solo in quel momento) spuntavano sotto la sua bocca. ‘Tu hai paura dei tuoni, e dei lampi, e della pioggia! Ma credi che non ti abbia mai visto? Non ho cominciato ieri a fare ragnatele… e adesso sparisci!’ gridò il Signor Ragno quasi sputando la sua bava viscida sul naso di Biro, che sempre più impaurito, fuggì via dalla libreria.

Schizzando via, Biro si ritrovò al centro del salotto. Inoltre era buio pesto, perché i suoi umani quella sera non erano in casa, e l’avevano lasciato lì tutto solo. Non sapeva più che cosa inventarsi: ormai i tuoni stavano già brontolando, e il temporale era già cominciato. Non avendo dove nascondersi, Biro si appallottolò lì in mezzo al soggiorno come una pallina di carbone. Chiuse gli occhi, come se farlo lo avesse potuto trasportare altrove. E proprio mentre aspettava tremante il primo urlo di fulmine, accadde una cosa che lo lasciò con un palmo di muso: sentì una vocina canticchiare. Una vocina chiara, limpida, quasi un bicchiere d’acqua di fonte versata in un ruscello trasparente. Biro aprì subito gli occhi, pensando che fossero tornati i suoi umani. Ogni tanto la Mamma canticchiava prima di aprire la porta. Ed in effetti la vocina somigliava proprio a quella della Mamma. Ma non veniva dalla porta, no… piuttosto da una delle finestre. Pur tremando sulle quattro zampette, Biro si fece forza e saltellò fino alla finestra più vicina, che tra l’altro i suoi umani avevano pure lasciato aperta. Appiccicò la schiena contro la parete, e prese un lungo respiro prima di guardare fuori. Del resto era anche un po’ curioso di quello che avrebbe visto: non aveva mai guardato fuori dalla finestra durante un temporale. Si era sempre nascosto il più lontano possibile, e non gli era mai parso di aver sentito una cosa simile: una vocina Mamma che cantava! Che cosa mai avesse potuto significare, non lo sapeva.

Così, dopo un respiro profondo, Biro si decise e guardò fuori: tutto quello che vide fu una nuvolotta piuttosto piena, con gli occhietti chiusi e la bocca che canterellava soavemente, una melodia piccola piccola, come un minuscolo sciame di perle. Biro rimase stupito, ma d’altra parte quello che stava vedendo non gli faceva paura. Rimase per un po’ a guardarla con la testa piegata da un lato, come a voler studiare questa strana presenza. Ma forse indugiò un momento di troppo, perché improvvisamente la nuvolotta aprì gli occhi e si guardarono: lei aveva gli occhi nocciola, e quelli verdi di Biro non ne avevano mai visti di simili. Poi la nuvolotta gli sorrise, e anche questo per Biro fu una sorpresa. Un suo sorriso era come mille carezze sulla schiena, tanto che la sua coda si abbassò e le sue orecchie vibrarono quando lei gli parlò: ‘Ciao, micetto!’ Visto che non gli venne in mente alcuna risposta intelligente, la nuvola continuò: ‘Che cosa fai lì tutto solo? Perché non esci fuori a giocare?’ ‘A giocare?’ , rispose Biro talmente sorpreso da dimenticarsi quasi tutto il resto, ‘Ma cosa dici? C’è il temporale, e io ho paura! Non so nemmeno dove andare

a nascondermi!’ ‘Paura? Nasconderti?’ fece la nuvola con uno sguardo interrogativo, ‘Ma se siamo tutte qui a giocare, io e le mie sorelle!’ Biro drizzò la coda, ‘A giocare?’ ‘A giocare, sì! Cosa pensavi, che venissimo a mangiare i gatti?’ la nuvola lo prese in giro facendogli l’occhiolino. ‘E se non ci credi, salta sulla mia schiena, ti porto a fare un giro. Così lo vedi da te!’ Biro a quel punto, pensò che la nuvola era proprio pazza. Sembrava così morbida e leggera che non avrebbe mai potuto reggere il suo peso. Ma lei lo spronò: ‘Dai, avanti, non aver paura! Guarda, vengo a prenderti io…’ ed in effetti, balzellò nel cielo fino ad arrivare proprio sotto il davanzale della finestra. A quel punto Biro allungò la sua zampetta bianca, e la toccò. ‘Ihihihi’, fece lei, ‘piano che mi fai il solletico!’. Anche a Biro scappò un sorriso. La nuvola era morbida, ma sembrava solida. Fu così che Biro si fece coraggio e saltò sulla schiena della sua inaspettata visitatrice. ‘Adesso tieniti forte,’ canterellò lei, ‘ti porto dalle mie sorelline!’ E via, iniziò a sfrecciare nel cielo notturno, su, su, più in alto delle sue sorelle, e Biro poté ben vedere che tutte avevano occhietti giocosi e sorrisi aperti.

Ma nessuna di loro, almeno per quanto Biro riuscì a scorgere, aveva lo stesso sorriso della sua nuova amica, e nessuna canticchiava come lei. Canticchiava anche mentre volavano, ma a un certo punto si interruppe e disse ‘Adesso ti voglio far vedere una cosa, micio fifone!’ ‘Non sono un micio fifoneeeeee…’ Biro dovette urlare l’ultima parola, perché la sua nuvola accelerò improvvisamente verso l’alto, portandolo oltre le teste delle altre sorelle. Qui Biro dovette socchiudere gli occhietti verdi, perché improvvisamente la notte gli era svanita attorno, e c’era un sole limpido e puro, come non aveva mai visto nemmeno d’estate. ‘Ma dove siamo, qui?’ ‘Oltre le nuvole! Lo vedi? Anche quando c’è il temporale, non è che il sole scompaia. Ci siamo solo noi davanti. Solo per un po’, poi ve lo ridiamo! È tutto vostro, non preoccupatevi!’ ridacchiò la nuvola, canterellando ancora. Poi iniziò a ridiscendere e tutto si fece di nuovo buio, ma Biro ormai si guardava intorno con occhi diversi. Arrivati sul davanzale della sua finestra, il gatto saltellò verso casa sua, ma prima di rientrare si rivolse un’ultima volta alla nuvola, e le domandò: ‘Ma come ti chiami tu?’ ‘Oh scusa!’, fece lei, ‘non mi sono presentata! Mi chiamo Lilla, e tu?’ ‘Biro,’ miagolò lui, ‘ma ci rivedremo ancora? Mi sono divertito, con te.’ ‘Certo che ci rivedremo! Basta solo che ogni volta che viene un temporale, tu non vada a nasconderti. Sennò io come ti trovo?’ disse Lilla con un dolce occhiolino. Poi, voltandosi per andarsene, canterellò ‘A presto, gattino Biro!’ Ed il cielo si aprì, lasciando spuntare le stelle.

Da quella notte, Biro divenne un gatto nuovo. Tanto per cominciare, aiutò i suoi umani domestici a stanare il Signor Ragno (che si scoprì aveva diverse ragnatele in giro per casa, ma nulla che lo spazzolone della Mamma non potesse raggiungere), e soprattutto, ogni qual volta i suoi baffi vibravano e la coda si rizzava come un fuso, Biro non correva più a nascondersi, ma si sedeva vicino alla finestra. Mamma, Papà e Marco non lo capivano: ma come, se prima quel rumore lo spaventava? Quello che non potevano sapere era che da una certa, dolce notte, il rumore del temporale per Biro significava una sola cosa: che la sua amica Lilla era tornata.

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11 commenti »

  1. Carina, molto carina. Avendo confidenza con i gatti, non moltissima solo un po’, ho ritrovato in Biro i comportamenti osservati nei gatti di casa. Ma la favola non è lì quanto nella bellezza e nella forza della curiosità e della scoperta che la vince sulla paura Forse la fiaba può insegnare che la paura è umana, anzi gattesca, ma che può valer la pena superarla. No? Complimenti gentile Maury 🙂

  2. Grazie mille 🙂

  3. Delicata e dolce fiaba con un finale pieno di significato e degno di una bella storia da raccontare

  4. Favola vera dai contorni poetici, mi ha ricordato il volo notturno sui cieli di Mosca ne “Il maestro e Margherita”.

  5. <3

  6. Biro mi fa sperare che tanta gente impari ad osservare in modo diverso i propri temporali, così da approcciarvisi con un nuovo coraggio e non averne più paura. Mi piace l’originale scelta dell’amicizia tra un gattino ed una nuvoletta. Complimenti!

  7. Un racconto molto dolce, una vera favola da cui traspare gentilezza. Una storia ben narrata in cui, personalmente, ho anche riscontrato una nota fine d’insegnamento capace di incoraggiare nonostante l’incedere di paura e difficoltà nel corso della vita. Ottimo per i più piccoli ma consigliata la lettura anche agli adulti. Complimenti all’autore.

  8. Molto dolce e pieno di calore. Complimenti!

  9. Grazie mille a tutti! 🙂

  10. Sì, davvero un bel racconto che fa riflettere grandi e piccini. Quanto sarebbe bello per tutti trasformare la paura in un’opportunità di vita, avere il coraggio di andare oltre.

  11. Un invito a tutti i bambini che temono il temporale a fare come Biro… ad aver coraggio si scoprono mondi che la paura teneva nascosti. Bellissima favola!

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