Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2019 “Marina Canale” di Linda Barbarino

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2019

A Marina Canale mangiare non era mai piaciuto, se c’era una cosa che detestava erano le cene, i libri di cucina e le abbuffate.

Non beveva perché soffriva d’insonnia e andava a letto presto. Un buon sonno sazia più di ogni altra cosa, le diceva sempre sua nonna.

Lei seguiva il consiglio alla perfezione perché non usciva mai, tutti in ufficio sapevano che alle dieci, Marina, con la retina in testa, mezzo bicchiere di latte in una mano e la sveglia puntata nell’altra, se ne andava a letto.

Portava la pancera Marina Canale e la maglia di lana e si lavava il reggipetto a mano.

Le colleghe le chiedevano qualche volta di uscire con loro, ma Marina andava solo ai concerti, quelli delle sette e mezza di sera, la domenica.

Era brava Marina Canale: le carte sempre a posto, i fogli timbrati, anni di onorato servizio e abnegazione.

Parlava bene Marina Canale: completate le elementari dalle suore e le scuole magistrali col massimo dei voti, aveva preso anche il diploma di ragioniera, cosa che le dava una marcia in più sui suoi colleghi, oltre agli anni di servizio naturalmente.

Era puntuale Marina Canale: la lacca sui capelli e la borsa a tracolla, era la prima ad entrare e chiudersi dentro a sistemare le piantine grasse e mettersi a lavorare.

Il giorno in cui arrivò il nuovo collega, in ufficio Marina non c’era, assente per malattia, cosa che di solito non succedeva mai.

Non sapeva che si era sistemato nella stanza accanto alla sua. Colse un profumo strano rientrando in ufficio, mentre passava in corridoio per consegnare il certificato e il visto del medico fiscale.

Non c’aveva mai pensato Marina Canale, a quanto le pareti fossero sottili, ci lavorava da vent’anni in quel vecchio edificio.

Le capitava di sentirlo tossire il nuovo collega e ticchettare sul computer, e lo sfrigolio dell’accendino.

Col bel tempo il fumo arrivava fin lì, quando teneva la finestra aperta, fino alla scrivania dove restava seduta.

Le aveva dato sempre fastidio il fumo, i colleghi lo sapevano.

Si schiarì la voce Marina Canale, forte, mentre s’avviò a chiudere la finestra.  Fece per sbattere l’imposta per dar segno di un gesto stizzito, poi s’accorse del braccio peloso, la manica di una camicia arrotolata fino al gomito, un braccialetto vezzoso e le vene gonfie di una mano forte che teneva la sigaretta e premeva sul davanzale accanto al suo.

In fondo non era vietato gettare il fumo fuori, pensò.

Amava la pulizia Marina Canale. Ogni lunedì portava nella sua stanza i detersivi più profumati, cominciava a sgrassare tutto: le sedie, la scrivania, gli armadi, metteva una pezza su una scopa e si dava a cacciare la polvere dai quadri, dalle pareti. Si era accorta così di un buco su in alto: to’ guarda, pensò, qualche stupido prima di lei aveva deciso di spiare i colleghi al lavoro.

Amava la radio Marina Canale, cercava una musichetta allegra ogni tanto, un po’ di pausa dalle carte non le faceva male; anche lui dall’altra parte ascoltava la musica, metteva le cuffie persino mentre lavorava. L’aveva visto lei, dal buco.

Si dava da fare Marina Canale, appena arrivava apriva le imposte e dava l’acqua alle piante, lui era già lì o arrivava dopo, non si erano mai visti in corridoio e nessuno li aveva fatti incontrare.

Appena lo sentiva fuori dalla stanza, a volte pensava di uscire con la scusa del bagno, ma poi ci ripensava, mica poteva fare la stupida Marina Canale.

Ogni tanto comprava un dolcetto, che c’era di male? Il babà alla crema: se lo tirava piano col cucchiaino gironzolando per la stanza.

Il lavoro di scartoffie lo sbrigava presto Marina Canale.

Si metteva scalza, chiudeva la porta e saliva su una sedia: il buco stava più in alto.

Rimaneva lì a guardare Marina Canale. In quei momenti la maglia di lana le dava fastidio e mangiare il babà le dava energia.

La pancera scordava di metterla.

Ora andava ai concerti del sabato sera, Marina Canale, quelli delle nove. Aveva anche visto dei reggiseni molto carini dentro la vetrina di un negozietto vicino all’ufficio; di quelli che vanno anche bene in lavatrice.

Un giorno pensò che aveva voglia di entrarci in quella stanza.

Tutti avevano familiarizzato col nuovo arrivato, tranne lei, e le colleghe non le avevano più chiesto di uscire con loro.

Conosceva perfettamente i suoi orari.

Si fece coraggio Marina Canale.

L’odore intenso di tabacco e di profumo maschile in agguato dietro la porta la fecero oscillare, meno male che faceva sempre colazione Marina Canale.

La stanza non era pulita come la sua, si vedeva, ma anche lei da un po’ di tempo affidava il compito alla donna delle pulizie e trascurava lo straccio.

Era cambiata Marina Canale.

Le cicche dentro il posacenere erano tante, lei toccò solo le più recenti, prese quella che le sembrò la più umida, un mozzicone consumato fin dove iniziava il filtro, coi segni delle dita là dove era stato schiacciato e delle labbra dove era più umido.

Marina Canale cercò di indovinarne ogni odore, lo fece scorrere delicatamente sulle labbra, lo tastò con la punta della lingua, le parve di trovare un sapore di menta, forse dentifricio o il retrogusto del tabacco.

Si accorse di alcune bottiglie di vino, Marina Canale. Avrebbe dovuto tenerle pure lei, pensò, che ci fa un goccetto ogni tanto?

La poltrona di pelle dietro la scrivania era quella che vedeva da lassù, dal buco, sembrava più consumata da vicino, più vissuta. Sulla spalliera alcuni tagli e sfilacciamenti della stoffa lasciavano intravedere l’imbottitura.

Si sedette Marina Canale, un colpetto coi piedi e ruotò leggermente, poi poggiò le mani sui braccioli e avvertì un brivido che cominciò dalla schiena, partì da sotto le mani; così stava seduto anche lui, pensò, le sue mani sentivano quel che sentivano le sue: la similpelle rugosa, le parti in ferro e legno. Accarezzò tutto il bracciolo, sopra e sotto ripetutamente, come aveva visto far lui dal buco. Tastandolo ancora sprofondò con le dita nell’imbottitura dentro un taglietto della stoffa, ci infilò un dito e ci giocò dentro Marina Canale, come aveva visto fare a lui. Si alzò il vestito dietro Marina Canale, aprì leggermente le cosce perché il suo corpo aderisse perfettamente, sentì immediatamente il calore, quella pelle che diventava la sua pelle, e la sensazione che la poltrona l’afferrasse forte, che la sua pelle si strappasse e lei tutta si facesse male appena cercava di muoversi. Tra poco avrebbe sudato. Pensò che se avesse avuto un perizoma di quelli esposti nel negozietto accanto all’ufficio, avrebbe sentito di più dietro, il contatto,  e anche le calze autoreggenti che ce l’avevano pure nel negozietto.

Si tolse i collant Marina Canale, li sfilò giù fino al ginocchio. Con le dita cercò di infilarsi le mutande nell’incavo dei glutei, abbandonò di più la schiena e aprì le cosce ma le mutande le davano fastidio, allora se le tolse Marina Canale, le buttò da una parte e afferrò la bottiglia di vino, poi si guardò il reggipetto, aveva uno di quelli che si lavano a mano, si sbottonò la camicetta e cercò di sfilarselo.

In quel momento si aprì la porta, senza scampo, era lui che tornava. La vide così Marina Canale, come un fiore aperto: la bottiglia e un mozzicone di sigaretta spento tra le labbra.

 

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7 commenti »

  1. Complimenti per tutti e tre i tuoi racconti, molto ben scritti e tutti con una continua tensione e una bella nota surreale. Leggere questo pero’ e’ come assistere ad una progressione inarrestabile, una trasformazione fuori controllo, vedere una forza che non sai fino a che punto puo’ portare. Brava!

  2. Ciao Linda, mi ero persa questo, per cui ho completato la trilogia! Confermo l’inquietudine mista al sorriso. Tre personaggi “disordinati” dentro e fuori, ma che hanno il loro perché. Complimenti per l’originalità e lo stile.

  3. bello! Marina Canale meriterebbe un romanzo…

  4. Veramente bello, complimenti! Non saprei dire perché ma mi ha ricordato un certo gusto sud americano, ma non mi chieda che e perché, non glielo saprei dire! . Un altro aspetto che mi ha colpito è il ritmo, creato e scandito dalla ripetizione del nome della protagonista. Belli anche i tanti dettagli che disegnano a tutto tondo il personaggio. Insomma, impeccabile!

  5. chiedo scusa: “ma non mi chieda chi “

  6. Sono d’accordo con Maria Giulia. Voglio saperne ancora di più. Veramente brava, ottimo ritmo in cui il personaggio vive e ci trasporta nel suo mondo con un sorriso

  7. Come dimenticare da ora in poi Maria Canale? Bellissimo!

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