Premio Racconti nella Rete 2019 “Il segreto di Matilde” di Claudia Quintieri
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2019È difficile conoscere il segreto di Matilde. Sempre custodito in una scatolina con una madonnina dipinta sopra, come se fosse credente, e non lo è. Ma i principi morali sì, imprescindibili, per poter illudersi di non arrecare dolore, per poter illudersi di non provare dolore.
Altalenante scia emotiva che ha guidato la sua vita fino a qui: non sapere mai chi sei, come se un vento rutilante potesse sempre farti ripiombare nel tuo segreto, reso imperscrutabile.
E quel tremolio di mani che suggerisce una difficoltà nella serenità, chi lo coglie? Chi lo decodifica? Chi lo interpreta con la gioia della sensibilità?
Chi è nel mondo per capirlo? Chi ne ha bisogno e insieme lo rifugge? Chi lo sente con difficoltà?
E quando, dopo esserne fuggiti, si torna ricaricati per aver rimesso i propri segreti nelle proprie scatole, si acuisce la sensibilità non più tremolante? E cosa succede?
Non si sa mai.
Denunciare o omettere?
E Matilde cosa avrebbe fatto del suo segreto e di quella scatolina?
Quando li avrebbe buttati nel più profondo dei mari affinché non giungessero mai a terra? Cosicché solo un marinaio senza dimora potesse capire. Un marinaio che osa negli oceani per sfidare quel sentimento che Matilde sente dentro. Cullandolo con la propria vela, facendolo crescere nel proprio stomaco come un papà sente il figlio nel grembo della propria moglie. Ma quell’emotività nascosta potrà mai essere un frutto maturo e prolifico? Per mettere al mondo la voglia di positività, tappando i fossi della carenza d’affetto?
E il marinaio avrebbe tremato difronte alla possibilità di incontrare anche solo una volta Matilde? Avrebbe immaginato il suo volto, il suo sorriso, il suo ventre luminoso? La sua candidezza di spirito e la sua purezza che rendono pulito anche il proibito? Le avrebbe suggerito di lasciarsi andare alle maree intimamente latrici di conchiglie da dove giunge l’eco dell’amore indiscusso? Anche se lei non lo sa. Forse non lo saprebbe comunque, neanche se avesse davanti lui, cieca nell’immenso, spaventata dal sentimento. Ogni cosa potrebbe essere, e potrebbe essere il contrario. Nell’indecisione non decidere: ed è una scelta, che diventa catalessi di vita, ma che può volgere altrove le proprie emozioni per tornare con il pensiero al tronco dell’albero della vita.
E, come se uccidesse un uomo, Matilde uccide la speranza di giocare con la felicità. Aggredita dalle sue debolezze richiude le voragini, i tumulti dello spirito in quella scatolina, e in altre meno preziose ripone sentimenti meno dolorosi. E a loro si vuole abbandonare, per sentirli appieno e poi distruggerli per un po’.
Quanto tempo? Quanto profondamente? Matilde non lo sa.
E a volte si può gridare con forza alla sparizione del dolore.
Ma quel segreto la fa sempre ripiombare in una voragine profonda.
Cosa può capire l’umanità più ricorrente di difficoltà che sembrano invisibili?
Quasi niente.
Difficoltà endemiche del relazionarsi con la comunità arrivano da un’ignoranza poco comprensiva che allerta ancor di più la paura di essere nel mistero.
A volte la girandola dell’emotività si conclama vincitrice, a volte è mortuaria. Ma, alla fine forse si allontanerà la mestizia irriverente?
Non c’è neanche la sicurezza di comprenderlo subito, ma ben presto anche gli occhi rideranno.
È come oltrepassare l’adolescenza, reiteratamente, ed ogni giorno succede di nuovo. Sarà la luce quando tinte tenui accompagneranno le passeggiate divenute serene in mezzo alla gente che noi guarderemo in maniera rinnovata nella verità più discreta.
Nel bene e nel male, Matilde va sempre alla ricerca di qualcuno che le tenga una mano mentre attraversa la strada dell’esistenza, perché forse non sarà mai adulta.
Quella mano è al femminile, quando la realtà porta alla ricerca di una figura materna.
E la madre è come il respiro, indispensabile alla vita, anche quando non c’è, ora e mai. Indelebilmente. Nella concatenazione di tutti i possibili eventi, il suo consiglio, magari sì, è essenziale.
Allontanata dalla madre per necessità, nasce il compiacimento di sbagliare per paura di ciò che sarà. Mai lusingarsi della paura, è contro la necessità, ma a volte il carattere cede e cade, come sempre, nell’errore.
Per paura di fallire si fallisce.
E lei si ritrova nell’isolamento forzato dalla vergogna di aver generato discrepanze emotive e di giudizio, ma a chi? Andando indietro con la memoria Matilde ricordava.
Ricordava il suo distacco pianificato dall’amicizia per non soffrire poi.
Così, negli anni, erano accaduti tanti distacchi, per non soffrire dopo.
2
Matilde era diventata adulta nel coacervo delle sue insicurezze. Amava l’arte sopra ogni altra cosa, forse anche sopra l’amore.
Rutilava sempre nella sua testa il suo non detto, ogni tanto cercava di aprire la scatolina ma non ci riusciva e la guardava. Forse il suo segreto era già in mezzo al mare.
Com’era possibile che lo avesse tenuto custodito tutto questo tempo senza spiegare mai a nessuno perché fosse così importante per lei?
Eppure era successo, senza sé e senza ma.
Era tanto invisibile quanto grave…
… difficile da capire…
Eppure c’era qualcosa che le premeva nel petto.
Qualcosa di imperscrutabile.
Si domandava dentro.
Forse doveva rinunciare a una parte di sé, o quantomeno ad una parte che era visibile agli altri in modo diverso da ciò che sarebbe stato in futuro, dopo la confessione.
Si arrovellava continuamente, anche se mano mano che andava avanti faceva meno fatica.
Ma era possibile che la visione del mondo sua e degli altri potesse essere influenzata in maniera così categorica da una rivelazione tanto sconvolgente? Tanto quanto ingenua?
Eppure era così, non poteva essere altrimenti: una volta che si fa una scelta non si può tornare indietro. E ciò faceva piombare Matilde in un dubbio profondo.
Così nelle decisioni… o gioia o dolore… e non si conosce il responso.
L’altro da sé… che mistero…
Avrebbero reagito o sarebbero rimasti indifferenti, che forse è anche peggio?
Il dubbio l’attanagliava, ma la faceva avanzare spiritualmente, sentiva che, svelandosi, si sarebbe elevata di un po’.
Forse, parlando, si sarebbe sentita veramente accettata da se stessa, nella sua discrezione.
Vette irraggiungibili, incedere zoppo, claudicazione mentale, sospensione verbale, tutte interrogazioni surrogate.
Non sapeva proprio come districarsi in tutte queste peregrinazioni che si affastellavano e non la rendevano lucida e presente sulle cose che doveva fare. Era diventato un chiodo fisso, l’unica preoccupazione che le premeva, l’unica realtà veramente importante in quel momento.
Terrore, horror psicologico, scadenza emotiva e divagazione inconcludente. Spaesamento irreprensibile condotto sulle scie delle stelle inesistenti già diventate meteore che vanno a finire.
E il dilemma la corrodeva. Si stava consumando.
La confessione stava diventando imprescindibile.
Solo all’idea di affacciarsi al mare, con le sue increspature che accompagnano navi forestiere, tremava; aveva timore di trovarsi al cospetto del marinaio immaginario che la esortasse in pertugi ambivalenti e sostenuti nella sua voglia di dire. Irridere il prossimo, dominarlo da una posizione di svantaggio apparente nella profondità che il malessere amplifica, decuplica, lasciando indietro le piaghe da decubito. Sarebbe mai giunto? Lana sulla pelle pizzica, ma forse è il solo vestito che può portare un marinaio.
Fantasie languide e circoscritte, nella piccolezza di un corpo minuto dai colori neri, Matilde.
3
Forse doveva consultare la sua scatolina con la madonna dipinta sopra.
Finito di piangere l’aveva presa in mano e l’aveva guardata.
L’aveva interrogata: cosa devo fare?
Quel giorno aveva visto quel marinaio. Nella sua immaginazione? Riflesso in un sogno? Matilde si trovava nella piazza su cui si posava candida neve in una giornata nitida. Il marinaio molti anni prima aveva solcato i mari disseminati di ghiaccio dell’Antartide. Si era tuffato nell’acqua sotto uno di quei ghiacciai ed aveva trovato una scatolina con una madonnina disegnata sopra. Non l’aveva mai aperta, ne aveva paura. Ad un tratto aveva desiderato più di ogni altra cosa conoscere di chi fosse. All’improvviso aveva visto apparire un’epifania, il volto di Matilde. E lei lo aveva immaginato. Nessun gesto, nessun batter d’occhi, ma l’aria si era congiunta attraverso i mari. Di fronte allo sguardo del marinaio galleggiava l’epifania e aveva chiuso nel suo pugno la scatolina con la madonnina disegnata su: aveva allungato la mano per sfiorare quel volto, ma quel volto non esisteva già più.
Dopo i primi momenti di fragilità, Matilde un rossore.
Ora.
Si sentiva forte e consapevole, come fosse arrivato il momento di capire cosa succede nella realtà e con la giusta forza per dichiararsi.
Ed era sconvolgente.
Aveva ricominciato a non piangere. Puntellata nella sua caparbietà.
Aveva aspettato un altro po’ ed aveva deciso.
Era l’incompiuto che si svelava.
Era un’irrefrenabile cagionevole fortificato.
Un sì deciso armava guerriglie interne.
Ancora e ancora Betlemme candida.
Sognante di regalità povera.
E non sapeva se quel marinaio sarebbe arrivato. Sentiva la sua pelle arsa dal sole che remava verso il centro della sua città su di un galeone invisibile quanto lui sarebbe stato, forse, vero. Apparentemente irraggiungibili si sentivano vicini. Lei persa nello sguardo straniero di lui, altrettanto nero di carnagione. Coraggioso nei marosi della psiche quanto in onde di marosi da tempesta. Accogliente nella sua rozzezza che tace sulla sua vera nobiltà d’animo. Infinita. Enigmatica. Attenta. Goccia d’acqua che titilla nel vulcano in eruzione e ne spegne magicamente i flussi doloranti come una Pompei salvata.
Matilde voleva vivere tutta se stessa fino agli sgoccioli dei suoi limiti. Sperando nell’amore anche solitario e discontinuo; vedeva vagheggiare davanti a sé quella figura misteriosa che forse l’avrebbe salvata nell’intimità.
E attraverso l’arte esprimeva la sua capacità alla confidenza: il trovare un canale narrativo nel quale portare a consapevolezza il filo dei propri tormenti.
Più le accadeva di stare nel mondo, più viveva in bilico.
Poi un giorno di marzo aveva guardato dentro una pozzanghera e aveva visto il volto riflesso del marinaio. Il suo amore lontano e che giudicava impossibile. Era un riflesso, ma presente, concreto, da abbracciare, fisico. Era venuto a prenderla. Conosceva le sue fragilità perché aveva aperto quella scatolina. Ma l’amore era superiore.
La scatolina. Trovata nel mare. Scrigno di un sentimento ancora non consumato. Promessa di futuro. Portatrice di sensazioni assolute volute solo con lo scambio, intercontinentale.
Matilde e il marinaio si erano buttati nel mare alla ricerca di una barca e avevano trovato, nell’acqua, la pace: assoluta, innegabile, altera nella sua grazia, piena di sole e sale vitali, rinnovata ogni giorno, semplice.
VITA.