Premio Racconti nella Rete 2019 “Il sogno di Betta” di Carlo Bardelli
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2019Lago Maggiore, novembre 2007.
Un cielo grigio foriero di pioggia accende le prime luci di Intra. L’imbarcazione dei Vigili del Fuoco è ferma a 300 metri da Punta Castagnola, il Nucleo Sommozzatori è impegnato in un’esercitazione con l’utilizzo di sofisticate apparecchiature, obiettivo è trovare il relitto del battello MILANO affondato nel ’44.
L’atmosfera a bordo è tranquilla, Luca l’operatore sonar, sfoglia distratto le pagine di Tuttosport, all’improvviso il bip bip dello strumento accelera la sua cadenza.
Getta il giornale dietro di sé:
– Comandante, il sonar rileva!
Sul monitor appaiono le prime immagini dal Prometeo, un robot sottomarino per l’esplorazione in acque profonde. Nel buio dell’abisso, 238 metri sotto la chiglia, il faro illumina minuscoli detriti che brillano come piccole stelle in un cielo nero.
– Tienilo più alto – mormora l’ufficiale – non voglio materiale in sospensione.
Luca, col joystick, muove il mezzo con destrezza. Anche gli altri in plancia accorrono, l’ansia cresce.
Nello schermo si materializza una contorta struttura metallica, poi degli oblò, piccole e inquietanti orbite nere, una battagliola, delle catene.
– Vai così, bravo… ecco, ora avvicinalo un po’.
Quando la telecamera inquadra le lettere sulla prua del relitto il dubbio diventa certezza e un urlo squassa il silenzio:
– Eccolo, trovato!
In plancia la tensione si scioglie in gioia, solo Luca rimane immobile. Tutti conoscono la storia dello sfortunato battello, lui più degli altri e trova fuori luogo questa esultanza, il MILANO aveva portato giù con sé molte vite, un attimo di rispetto per loro.
I media danno grande risalto alla notizia, il Comune di Verbania e i Vigili del Fuoco organizzano una conferenza stampa.
La signora Adele accetta l’invito del nipote, non può mancare. Luca è il primo nipote avuto dalla figlia Clara, al quale fin da piccolo, aveva raccontato di quel battello perduto in fondo al lago.
– Nonna, da grande farò il palombaro, te lo troverò io.
Fu buon profeta, era proprio lui ai comandi del “Prometeo”.
La sala consiliare del Municipio di Verbania è affollata, appese a dei pannelli molte fotografie e documenti riguardanti il piroscafo MILANO.
Adele, a braccetto del nipote, rivede in quelle sbiadite immagini lo scafo bianco e nero, i posti a sedere sul ponte, il salone vetrato, la timoneria, l’alto fumaiolo e a poppa il grande tricolore al vento.
Nelle giornate di sole era bello star fuori e farsi spettinare dalla brezza, quasi dimenticavi che c’era la guerra.
– L’era propi bell, lo chiamavano el casciavitt – dice Adele, poi indica una foto dove una densa colonna di fumo si alza dal battello – ecco, io, la Mina e la Betta eravamo sedute proprio lì!
La fissa immobile, la mano appoggiata sulla guancia. Gli occhi vedono oltre la parete, il pensiero oltrepassa il tempo, le parole escono piano.
– All’imbarcadero di Laveno erano le otto e dieci, dovevamo andare al lavoro. Io, la Mina Lischetti e la Betta lasciamo giù le biciclette, in più dei soliti gh’era una quarantina de suldà. Uno di loro disse che tornavano da un corso a Varese, erano legionari del battaglione Venezia Giulia.
Alle nove meno un quarto non eravamo ancora partiti. Betta era nervosa, non stava ferma un attimo.
“Ecco” ripeteva “se lui esce non lo vedo più fino a domani.”
Betta era innamorata persa di un ragazzo di Intra, lui aveva la barca ormeggiata a fianco del pontile dove arrivava il MILANO. Per questo lei voleva stare sempre sulla destra del battello, così quando si attraccava poteva vedere il suo giovanotto.
Tra noi era la più giovane, aveva 19 anni e l’argento vivo addosso, una testona, voleva sempre avere ragione, su tutto.
Pensa, si metteva un foulard giallo e un cappellino dello stesso colore per farsi notare da lui. “Sennò come fa a vedermi?” Diceva.
E noi: tira via la camicetta che ti vede di sicuro.
Luca sorride.
– Non volevano farci partire perché il giorno prima degli aerei avevano affondato due battelli, il GENOVA e il TORINO.
“Dovete attendere il buio” dicevano dalla capitaneria.
Ma i militari avevano talmente insistito che, alla fine, ci imbarcarono. Verranno mica anche oggi.
Come sempre, Betta si mise a destra, indossò foulard e cappellino e pavoneggiandosi intonò la solita tiritera “Eh già, voi mi prendete in giro ma sarò io la prima ad avere il moroso e sarà lui, quel bel morettino di Intra, presto mi stringerà e mi abbraccerà forte”
Ma muchela scema, le dicevo io, non sai nemmeno il suo nome.
”Ah, perché tu lo sai?”
Certo che lo so, si chiama Glauco. L’avevo chiesto al caporeparto della filatura, era il figlio del suo amico Bianchi.
“Glauco, oh che bel nome… lui mi porterà con sé e nel sole mi bacerà, saremo per sempre insieme, vedrete se non ho ragione io”
Ma muchela…
Adele trema, premuroso Luca la fa accomodare in prima fila.
– Dai nonna vieni a sederti.
Dopo la presentazione al pubblico di come si è arrivati al ritrovamento del battello, il comandante dei Vigili del Fuoco invita il signore seduto accanto a lui ad alzarsi.
– Io vi ho raccontato la storia, lui, invece, l’ha vissuta. All’epoca dei fatti era un sommozzatore portuale ed era presente, ascoltiamolo.
Le parole di quell’uomo grande e grosso dai capelli bianchi non hanno bisogno del microfono, sono chiare, precise, spietate:
– Erano tre, Spitfire, venivano da Cannobio. Volavano alti, a trecento metri dal loro bersaglio il primo si abbassò e iniziò a sparare.
Sull’acqua vedevo gli spruzzi dei proiettili che si avvicinavano rapidamente alla fiancata destra del battello fino ad abbattersi sulla coperta e sulla timoneria.
Fu un attimo, non si era ancora alzato il primo che già aveva aperto il fuoco il secondo, poi toccò al terzo, si riunirono sopra Stresa e tornarono tempestando di nuovo i ponti del povero MILANO e poi ancora. Solo quando finirono le munizioni fecero rotta verso Baveno scomparendo dietro le colline.
Guardai col binocolo, a bordo del battello c’era l’inferno. L’imbarcazione era fuori controllo. Il comandante e il timoniere erano stati falciati dalla prima raffica, lo scafo sbandato a dritta. Poi la prua puntò verso di noi, qualcuno aveva preso il timone portando il battello ad arenarsi a Punta Castagnola. Accorsero subito molti civili e militari della Decima Mas, legarono la prua del MILANO agli alberi della riva, in modo da poter sbarcare più persone possibile. La poppa era semisommersa, io e altri due sommozzatori cercavamo di salvare chi fosse finito sotto lo scafo. Purtroppo portammo su solo corpi bruciati e irriconoscibili.
“Via, via tutti… le cime stanno cedendo!”
Il grido venne da un tenente della Decima, il peso della poppa che continuava ad imbarcare acqua, stava trascinando il battello verso il largo, le corde erano pericolosamente tese, anch’io mi allontanai. Avevo già le mani sulla barca per salire, quando successe una cosa che ricordo come fosse ieri. Due donne da riva mi urlano: là, là, dietro di te, guarda, dove c’è quel…
– Quel cappellino giallo, vai a vedere… lei dev’essere lì.
La voce arriva dal pubblico.
L’uomo toglie gli occhiali e fissa incredulo quella signora seduta in prima fila, chi è? Come può sapere? A giudicare dall’età doveva essere una ragazza allora.
Tutti guardano l’anziana signora, l’uomo esita, con un cenno della mano tacita il mormorio in sala.
– Non so come, ma credo lei conosca bene la storia che sto raccontando – poi con un sorriso di assenso – sì è vero, fu proprio così. Mi girai e vidi il cappellino, prima non c’era, forse il battello muovendosi l’aveva fatto arrivare in superficie, così mi immersi. La luce della torcia scorreva lo scafo, a un tratto nell’acqua torbida vidi qualcosa di chiaro. Era un foulard giallo al collo di una giovane donna, aveva gli occhi aperti e le braccia protese verso l’alto, sembrava che mi aspettasse.
La tirai verso di me ma qualcosa faceva resistenza, un tubo le aveva trapassato il petto, così dovetti abbracciarla e stringerla forte, provai e riprovai fino a che, con l’aiuto di un altro scossone dello scafo, riuscii a liberarla e risalire.
Sulla riva ci accolse il sole. Cercai le due donne ma non c’erano più.
Deposi il suo corpo sull’erba. Non potevo lasciarla sola, restai lì con lei, era così giovane, le chiusi gli occhi. La morte l’aveva presa all’improvviso, senza darle il tempo di soffrire. In quel momento le cime si ruppero di schianto e il battello si staccò.
A 100 metri da riva, le caldaie esplosero spezzando lo scafo in due.
Con un lungo gemito il MILANO si inabissò insieme a molte persone.
L’uomo sospira – tu no – e portando una mano al cuore – tu sei rimasta qui.
La sala è di ghiaccio.
– Poi vennero per portarla via.
Un lungo applauso liberatorio riporta al presente, tutti sono in piedi.
L’uomo scende tra il pubblico, cerca l’anziana signora e quando sono di fronte le porge la mano:
– Scusi, ma come fa lei a sapere? Non ho mai raccontato a nessuno questa cosa e quel giorno, in quella confusione, non credo che qualcuno ci abbia fatto caso.
– So perché ero una delle due donne sulla riva. Mi chiamo Adele, l’altra era la Mina, che oggi non c’è più. Anche a nome suo ora posso ringraziarla per quello che ha fatto per la nostra amica Betta, grazie, grazie tanto ancora signor…
– Bianchi, Glauco Bianchi.
Rimasero abbracciati a lungo e quando si lasciarono la giacca di lui si aprì leggermente, un lampo di colore attrasse lo sguardo di Adele.
Accuratamente piegato, dal taschino interno faceva capolino un foulard giallo vivo.
Adele sorrise, pensò al sogno di Betta.
– Quando sarà il momento di riunirmi alle mie amiche mi toccherà sopportarla ancora, dirà… visto? Gh’avevi rasun mì, lo dicevo io che col giallo…
Era il 26 settembre 1944 quando aerei inglesi, decollati da una pista preparata dai partigiani di Domodossola, mitragliarono e affondarono il battello MILANO durante la traversata Laveno Intra.
Il 7 Novembre 2007, i Vigili del Fuoco di Verbania e il Nucleo Sommozzatori della Regione Lombardia, dopo lunghe ricerche localizzarono lo scafo sul fondo del lago.
Il 10 Maggio 2008, tre coraggiosi subacquei (2 italiani e 1 olandese) esperti in discese a grandi profondità, stabiliscono il record mondiale di immersione scendendo a -238 metri sul relitto del battello.
A bordo del MILANO, quel lontano giorno del ’44, molte storie di amicizia, amore e sogni di vita verranno spenti per sempre.
Una però, sopravvivrà anche alla morte.
Una bellissima storia che meritava di essere raccontata. Complimenti per averlo fatto così bene fra realtà e ricordo, presente e passato.
Ottima prova. Una storia che riemerge dalle acque e che valeva la pena di conoscere e ricordare. Scrivi davvero bene, complimenti.
grazie per aver commentato.
Bel racconto, teso, asciutto e senza retorica, con la commozione che arriva di sorpresa. Complimenti!
Mi ha molto coinvolto ed emozionato, complimenti!