Premio Racconti nella Rete 2010 “La figlia di Sandokan” di Antonella Maria Schirru
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2010Davanti a me c’è un enorme gelato ma non ho proprio voglia di mangiarlo.
Mi è passata di colpo quando mamma ha detto che domani andrò in collegio.
Lei parla, sorride, ma questo non mi tranquillizza, sono ancora più preoccupata perché lei di solito non è così.
“Vedrai, è un posto bellissimo, ci sono tante altre bambine della tua età, e poi farai tante cose nuove. C’è il corso di ballo, quello di musica, studierai francese e potrai giocare nei prati ,vedessi che splendido parco !” Bla,bla,bla, “finisci il gelato, dai così poi torniamo a casa.”
Ma la gola è annodata, e il gelato non passa. Anche l’aria non passa.
“Lo sai che ci sono dei problemi, papà non sta bene.”
Ho solo sette anni e questa frase l’ho già sentita troppe volte .
Ho paura. Non voglio andare in collegio, non voglio stare con persone che non conosco, non voglio dormire in una stanza enorme con altri bambini. Voglio stare a casa mia , nella mia stanza, nel mio letto.
Apro gli occhi e domani è qui. Domani è oggi.
E’ mia madre ad accompagnarmi, mio padre non c’è, non so dove sia, forse di nuovo in ospedale ma in questo momento l’unico mio pensiero è il collegio. Non m’importa di nient’altro, riesco solo a pensare che dovrò trovare un modo per cavarmela da sola là dentro.
Durante il tragitto non parlo, quando arriviamo spero che mia madre cambi idea e mi riporti indietro.
Scendendo dalla macchina osservo la struttura dove abiterò: è un’enorme villa antica circondata da un immenso giardino che si intravede dal cancello.
Quando ci avviciniamo al portone principale alzo lo sguardo e vedo un grande stemma che lo sovrasta: Villa Gamba, la scritta è sbiadita ma ancora ben definita .
Viene ad aprire una suorina con un grande grembiule bianco da cuoca sopra alla classica veste nera e dal quale penzola un lungo rosario di legno. “Ciao, ben arrivata, ti chiami Antonella vero? Sei proprio in tempo per cenare con noi: stasera c’è la torta perché è il compleanno di una delle bimbe!”
Subito dietro ecco arrivare un piccolo gruppo di suore sorridenti che mi baciano, una mi prende in braccio, e in un attimo mi ritrovo circondata da una cinquantina di bambine gioiose in un lungo corridoio pieno di giocattoli: bambole, palle ,birilli , un cavallo a dondolo, c’è persino il biliardino!
La tensione si dissolve mentre vengo coinvolta in un festoso serpentone alla testa del quale c’è una suora corpulenta ma agilissima che saltella imbracciando una chitarra seguita da una trentina di bambine urlanti .
“Allora vado,Antonella? Se hai bisogno di qualcosa mi fai telefonare dalla direttrice, altrimenti ci rivediamo fra pochi giorni,ciao”.
Inizia per me un periodo gioioso fatto di giornate scandite da momenti di gioco, studio, divertimento, preghiera, mai imposta ma suggerita.
Nulla è come avevo immaginato: qui regna serenità e allegria. Si respira felicità. Ci sono regole da rispettare, certo, ma con molta tolleranza . Non c’è intransigenza ma richiesta di collaborazione. E dialogo. Più qui che a casa. Sto bene, molto più di quanto avessi mai osato sperare.
Solo una nuvola offusca questo scenario: un gruppo di bambine grandi che tiranneggia un po’ noi piccole, me in particolare forse perché sono l’ultima arrivata.
Un giorno però la situazione, inaspettatamente, cambia.
Una delle suore mi chiama: “Antonella, vai in parlatorio, una persona è venuta a trovarti.”
L’orario è insolito, non sono permesse visite nel primo pomeriggio ma solo dopo le cinque quando si suppone siano già stati svolti i compiti.
Suor Maria Luigina mi da questa notizia mentre sono in cortile nel bel mezzo di un campionato di corsa sui trampoli. “Un momentooo, arrivoooo.” Sono in ottima posizione , procedo veloce senza tentennamenti, ho buone possibilità di tagliare il traguardo e salire sul podio. Il mio testa a testa con una delle veterane mi costa una fatica enorme ma sono sostenuta dalle grida gioiose delle mie compagne di camerata e da suor Ludovica che senza ritegno parteggia per me. Ce l’ho quasi fatta, sono prima, ma in dirittura d’arrivo Milena riesce ad allungare il passo e per un soffio infila uno dei suoi trampoli proprio pochi centimetri oltre la linea verde del traguardo un attimo prima che riesca a farlo io. Mi segue a ruota Margherita con sua sorella gemella Elisabetta che strilla” Marghe! Marghe! ” La distanza fra noi tre è minima ,giungiamo all’arrivo in rapida sequenza finendo per urtarci e ruzzolando a terra sui sanpietrini incuranti delle inevitabili sbucciature.
” Antonella, sbrigati ,incalza suor Maria Luigina ,altrimenti devo far andare via la persona che è venuta a farti visita perché si fa tardi”. Quasi l’avevo dimenticato, mi alzo di scatto e comincio a correre verso la salita che porta alla sala visite mossa da una bruciante curiosità : chi sarà? chi può avere il permesso di visita fuori dagli orari convenzionali? Sono le stesse domande che si pongono le mie compagne le quali mi seguono a pochi passi. Giungo trafelata sul piazzale di ghiaia bianca resa abbagliante dalla forte luce del sole e vedo da lontano una figura di spalle che non riesco a riconoscere.
E’ un uomo con lunghi capelli neri fin sotto la nuca, rallento intimorita, quando si volta mi accorgo che una folta barba incornicia il suo viso. Mi fermo, ha qualcosa di familiare nelle movenze ma mi è impossibile ricondurre il tutto a qualcuno di noto. Allarga le braccia appena mi vede e mi fa cenno di corrergli incontro. Non mi muovo. Allora mi chiama:” Pip, vieni Pip!” E’un soprannome che solo una persona può conoscere: mio padre. Sto per correre da lui ma una bambina mi trattiene per le spalle e urla : “ma è Sandokan! È Sandokan!” Improvvisamente viene circondato da una ventina di bimbe euforiche per l’inattesa sorpresa di incontrare il loro idolo. Quella ressa mi impedisce di avvicinarlo ma mi permette di notare che effettivamente con la barba e i capelli lunghi, la somiglianza con l’attore che impersona Sandokan è netta. Lui sorride divertito e continua a ripetere ” ma no, ma no, sono il papà di Antonella …” Solo l’intervento deciso delle suore mette fine al fuori programma e finalmente posso abbracciarlo.
Non lo incontro da parecchi mesi, è molto diverso da come lo ricordavo, è cambiato non solo nel fisico anche i discorsi che fa sono un po’ strani per me ma avverto comunque quel piacevole senso di protezione che caratterizza il nostro stare insieme. Mi regala un libro. L’avevamo sfogliato insieme mesi prima in una libreria di Chieri: mi era piaciuto tantissimo ma non avevo osato chiedergli di comprarlo. E un pacchetto di biscotti : i miei preferiti.” Cibo per la mente e non solo “, dice sorridendo .
Ci salutiamo con la promessa di rivederci presto. Lo saluto con la mano mentre si allontana sulla sua Vespa grigia.
Torno in refettorio, è quasi ora della merenda e appoggio i biscotti sul tavolo.
Dall’altro capo della sala la capetta delle bambine grandi mi guarda. Con aria spavalda viene verso di me seguita da tutto il suo gruppo.
Una sensazione di disagio mi pervade. Un mezzo sorriso taglia a metà la sua guancia come una cicatrice. “Hei Antonella”, mi circonda le spalle con un braccio, è più alta di me almeno di una spanna, “ma perché non l’hai detto subito che sei la figlia di Sandokan? ”
Kabir Bedi, avrai sempre un posto d’onore nel mio cuore.
Anche questo racconto è bello e …curioso.
ottimo, questo è quello che preferisco in assoluto!
da Elda:
vocabolario molto ricco, senso del realismo molto profondo padronanza perfetta dello stato d’animo che si riflette sugli altri profonda sensibilità che, per chi la conosce , mette in evidenza la sua malinconia
bello, bello, bello, sei riuscita a trsformare un momemnto molto triste e difficile della tua vita simile ad una dolce favola, nulla togliendo all’esperienza del vero vissuto,