Premio Racconti nella Rete 2010 “Cesare, Lori e la lavatrice” di Luana Colaci
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2010Lori si alza dal letto, i piedi prensili cercano le ciabatte che Michele, suo figlio, le avrà nascosto, sistemato nel forno o nel frigo, oppure usato come garage per il suo modellino di Pantera della polizia, Alfa 164. Si diverte come un folle, è vivace, o forse troppo vivo, ma è l’amore della sua vita, su questo non c’è dubbio. Miracolosamente, oggi i bambini non ci sono, sono dai nonni con il papà; la loro assenza è strana, non ci è abituata, ma ha bisogno di qualche ora per fare la lavatrice e anche per correggere il pacco di compiti di latino della Prima, la versione presa da Cesare. Che tipo, Cesare. Pare fosse un grande amatore, ma anche che fosse variamente amato,vale a dire da vari generi di amanti.
Lori mette la pentola sul fuoco, poi prende la scatola delle bustine del the e pensa a quella che sceglierà per quel giorno. Bergamotto, vaniglia, the nero, bianco o verde? Vada per il verde, che drena e fa sparire la cellulite; il tempo passa, mentre, ad intervalli regolari, la bustina viene immersa nella tazza, l’acqua è sempre più scura. Il sentore le entra nelle narici seguendo la spirale del fumo.
Ma com’era Cesare? Il grande condottiero. Beh, sicuramente era un uomo dalle grandi risorse, sì, sì, ma lui, lui com’era come uomo? Era spiritoso? Era permaloso? Era dolce e romantico? Forse, tutto sommato romantico no, il romanticismo è un’invenzione dell’Ottocento. Come sarebbe stato Cesare, nell’Ottocento? Forse sarebbe stato come Napoleone, o forse è stato Napoleone, reincarnato in lui, sia l’uno che l’altro hanno dovuto ringraziare la Francia, in qualche senso.
Anche Cesare non era un’altezza, poi anche la faccenda dei capelli, un po’ fissati entrambi.
Lori si accomoda sulla sedia come un’alunna e riflette con attenzione su Cesare. E’ vero, ha dato centinaia di volte ai ragazzi di Prima la versione sulla Gallia, Omnia Gallia divisa est in partes tres, ma ha perso da tanto tempo l’emozione di collegare le parole alla persona che le ha scritte. E’ fatale, è routine anche quella. Allora, ragazzi, Cesare, valoroso condottiero, è stato anche un grande scrittore, le sue opere e la sua vita coincidono miracolosamente, ma Mirco, al primo banco, trattiene a stento uno sbadiglio che gli parte dal diaframma, Chiara spedisce un messaggio a Danilo della Terza, Giuseppe copia gli esercizi di greco, Elisa fa il gatto ed è convinta che non si senta nulla, Veronica, l’unica che segue la lezione ed annuisce ad ogni parola, è forse la più insopportabile di tutti. Ad un tratto tutto si perde in un bla bla bla. Cesare, in questo frangente, grida pietà, pietà per la propria opera, la vita, l’onore forse non definitivamente perduto, gli sforzi profusi, ma, improvvisamente anche lui sente la propria voce risuonare falsa alle sue stesse orecchie, una sinistra pena per se stesso lo vince, come una morsa allo sterno, si sente mancare e cade, con la faccia quasi a terra, come una bestia. Cosa gli resta? Quanto ha costruito è crollato, sgretolandosi, nell’ aula di un liceo. Ha combattuto tutta la vita, per finire in pasto a quegli ingrati? E fosse anche morto nel suo letto, nel sonno, cullato dalle braccia dell’ennesimo schiavo, o dell’ancella che la moglie gli ha ceduto…No, l’hanno pure accoltellato a tradimento! Ma tutte quelle coltellate gli hanno fatto meno male…Fossero servite a qualcosa…
Lori si ricorda di dover caricare la lavatrice, deve stare attenta alle mutande del marito, l’ultima volta sono venute fuori dal cestello striate di rosa e lui ha fatto un sacco di storie, alla fine è esploso, gridando: “Ma insomma, se mi sento male e mi portano all’ospedale, pensano che sono dell’altra sponda, non posso neanche provarci con le infermiere, dillo che lo hai fatto apposta”, al che lei, trattenendo le risate: “Gigi, e non la smetti? Comunque non sono rosa, sono striate, è diverso.” “Ma che diverso e diverso? Io sembro diverso co’ ‘ste mutande!”
Prende il cesto e si sforza, questa volta, di dividere i bianchi dai colorati, tolleranza zero nei confronti di qualunque calzino rosso che voglia infilarsi fra la biancheria che deve restare bianca, cosa gli faccio se lo becco che si è infilato? Lo metto alla gogna, gli tiro le uova marce, lo umilio di fronte agli altri calzini obbedienti, lo lascio solo, senza l’altro calzino, per il resto della sua vita, faccio accoppiare l’altro calzino con uno di un altro colore che non c’entra niente, ecco, lo faccio, questa volta.
Lori pensa alla sua maternità, alla follia di quelle che, quando diventano mamme, diventano immediatamente e misteriosamente sante e perfette: niente più funzioni vitali, niente più disordine, niente pranzi rabberciati da mamma o suocera, niente spesa non fatta prima di un ponte lungo, niente mutande zebrate, niente di tutto quello che riempie la vita e la rende, ancora, nonostante l’età e la famiglia, un parco giochi. Lori sa di avere questo, una solida, potente, indistruttibile luce nel cuore che continuerà a splendere dentro, nonostante tutto.
Si piega davanti all’oblò della lavatrice, lo apre e ci infila tutti i bianchi: slip, canottiere, lenzuola, federe. Punta l’indice contro i buchi centrali del cestello e li ammonisce: “Non mi tradite, sennò Gigi chiede il divorzio a ‘sto giro!”
L’oblò viene chiuso, il detersivo versato, la temperatura e il programma impostati, 60 gradi.
Lori rimane accovacciata davanti all’oblò, la sua immagine deformata nel riflesso, eppure i tratti sono quelli: capelli corti e bruni, occhiali, occhi scuri, carnagione chiara. Chissà se sarei piaciuta a Cesare, pensa, con una risata a sbuffo. Precisamente in quel momento l’oblò della lavatrice smette di restituirle la sua immagine: i contorni della figura sono più sottili, i capelli diminuiti, o meglio sembrano volatili, sinistramente disancorati dal cuoio capelluto, distribuiti in un altro modo, uno strano ciuffo attraversa tutto il cranio. Il naso è più lungo, aquilino, le labbra più carnose e la bocca più larga della sua, ma, soprattutto, l’immagine non è quella di una donna, ma quella di un uomo. Per la miseria! E’ Cesare in persona! Nella lavatrice!
Cesare la guarda maestoso nella sua dignità, eppure, nel punto di fuga dello sguardo, c’è un cedimento; Lori sente una supplica, un lamento, un pigolio impercettibile. Cesare che pigola? Impossibile! Eppure, ad un tratto, il pigolio si fa sentire, eccome: aiutami, aiutami.
Cesare le tende una mano, all’inizio rimane sospesa in mezzo al turbinio del bucato, poi, in un lampo, la mano è presa ed entrambi iniziano a volteggiare come farfalle, senza un suono, un colore, nel bianco. Si tengono per mano, come in un sogno perduto; parole di un altro mondo, un altro tempo, danzano con loro: desinenze, casi, perifrastiche. Morituri te salutant, Non omnis mihi moriar, passer mortus est, parva sed apta mihi, tutto gira insieme a loro, rosa rosae, alius alia aliud, amo amas amat…..tutto gioisce con loro, riportando la polvere alla vita.
I due al centro vengono avvolti dai versi, che li incartano in un involto colorato fatto di lettere, come un cartone delle patatine, ma nel quale si percepiscono, insieme, i suoni delle parole. Ecco, precisamente in quel momento, la girandola si ferma , il cartone si apre e li lascia, confusi, in una radura.
Cesare ha i capelli miseramente centrifugati, ci vorranno giorni e giorni per riportarli alla loro foggia usuale. La tunica corta è inverecondamente sollevata e spiegazzata, ma viene anche immediatamente sistemata.
Lori, con il pigiama leggero verde e rosa, è quasi a posto, solo gli occhiali sono leggermente fuori asse, Cesare si avvicina e li prende fra le mani, ma Lori ha una fortissima miopia, quindi cerca a tentoni i propri occhiali, gridando “Ridammeli, non ci vedo, ridammeli!”
In un attimo gli occhiali tornano sul naso della legittima proprietaria, ovviamente al contrario, così lei li riaggiusta.
Si guarda intorno, non capisce bene dove si trovi: in lontananza si scorgono delle tende, cavalli, marcantoni con le armature scintillanti al sole, pentoloni fumanti ed uno strano odore misto di escrementi, cibo e sudore, ma non così insopportabile.
Cesare le si avvicina e, nell’intensità dei suoi grandi occhi, Lori percepisce un brivido, ma è anche sicura che anche lui provi dell’interesse nei suoi confronti. La guarda, infatti, con sguardo acuto, ma non ostile. Chi non conosce lo sguardo di Cesare, capace di polverizzare i nemici, subitaneamente? Cosa dire del povero Vercingetorige, che in epoca moderna, probabilmente, avrebbe fatto il riparatore di ombrelli? Ma Cesare sarebbe stato sempre e solo Cesare, un destino immutabile omnia saecula saeculorum, e tutto, solo grazie a quegli occhi, profondi come un pozzo.
Lori l’ha sempre pensato, eppure non aveva mai formulato tale pensiero in una frase di senso compiuto, semplicemente perché non aveva mai guardato Cesare negli occhi.
In un eccesso di imbarazzo, abbassa lo sguardo di fronte all’uomo che ha conquistato il mondo e ne ha scritto, ma lui le si avvicina e le domanda, con semplicità:
– Cosa sei?-
– Come “cosa”? Ma cosa vuoi che sia?
– Ma, leggiadro essere della mia anima, se tu sia un fanciullo o una fanciulla non capisco… I morbidi capelli tagliati alla foggia germanica, ma poi io ti guardo e non mi sembra che propriamente un maschio tu sia. Per caso un essere mitologico, che viene ad annunciarmi la vittoria su questi pestiferi Galli? O un ermafrodito? Quell’ essere per mare e per terra da me cercato?
– Ma Cesare, come parli?
– Perché?
– Il verbo sempre alla fine della fra…se…Hai ragione, voi scrivete così, ma parlate anche così? Sempre il verbo alla fine?
– Io ti dico che il verbo è alla fine, o almeno, se ci riesci, è opzionale, io li metto alla fine solo per fare colpo.
– Opzionale? Fare colpo? Ma sei sicuro di essere Cesare?
– Bada a te, ermafrodito, non osare contraddirmi, se mi lascio guardare da te, è solo perché sono magnanimo. Tu, pulviscolo della terra…
Lori pensa a Gigi e a quando chiamava Michele “pulviscolo d’amore”, lo prendeva in braccio e lo faceva roteare nell’aria e il bambino rideva, rideva senza sosta. Come si permette, questo omuncolo, con quella specie di gatto in testa, di pronunciare la parola “pulviscolo” come se fosse un insulto? Ma io ti sputo in un occhio….anzi no, magari arrivano i marcantoni e mi scuoiano seduta stante…
A Lori viene in mente un pensiero molto semplice, vale a dire che Cesare è morto prima della venuta di Cristo, prima del Medioevo, della scoperta dell’America, dell’età moderna, della Rivoluzione francese e via discorrendo, quindi lei può difendersi con parole che lui non conosce.
– Cesare, grande Cesare, io non sono degna di partecipare alla tua mensa, ma di’ soltanto una parola ed io sarò salvato.
– Salvato? Allora sei un fanciullo!
– No, no, salvata, salvata.
– Sei una fanciulla, non un ermafrodito.- Dice Cesare, con evidente disappunto. Lori capisce la sua cocente delusione e risponde:
– No, no, sono ermafroditissimo, solo che mi sento un po’ donna e un po’ uomo, sai com’è, in effetti tu sai com’è…
Cesare la guarda come se lei sia a conoscenza di un gran segreto, le palpebre diventano due fessure, ma Lori regge il suo sguardo e, senza rendersi conto di quel che sta per fare, gli dice:
– Sai, grande Cesare, che omnia Gallia divisa est in partes tres?
Cesare la prende per un gomito e la trascina nella propria tenda, della quale chiude ermeticamente l’ingresso; poi, rivolgendosi a lei, le chiede bruscamente:
– Come fai a saperlo? Parla! Che gli Dei ti fulminino qui, da dove vieni? Sei stato mandato dal Senato, vero? Parla, maledetto!
– Ahia, mi fai male! Ma che Senato e Senato. Lo sanno tutti che è la versione n°45 del “De bello gallico”.
– Cosa? Pazzo! Cosa ne sai tu, del “De bello gallico” , torcendole il braccio destro dietro la schiena.
Con un filo di voce, Lori risponde: – E’ programma del Primo quadrimestre del Primo ginnasio….”
– Ginnasio? Il ginnasio è in Grecia, stupido!
– No, no, è pure in Italia! E lasciami! Se mi lasci ti spiego tutto.
– Non voglio ascoltare altro, io ti faccio a pezzi con le mie mani, insensato!
Ne nasce una colluttazione fra Lori e Cesare, a conclusione della quale la poveretta si trova immobilizzata, con le mani bloccate e solo la testa libera, a quel punto pensa che l’unica speranza sia causare un effetto sorpresa. Senza pensare, come d’altra parte ha fatto praticamente dall’inizio della faccenda, gli fa una pernacchia, carica di tutta la saliva contenuta nel suo cavo orale e, in un attimo, Cesare è grondante, ma, sorprendentemente, mollando la presa, scoppia in una risata fragorosa.
– Ermafrodito, puoi ben dire di aver battuto il divino Cesare, ma che la notizia non esca da qui. Hai inteso?
– A questo punto Lori è indecisa sul da farsi, allora sceglie l’adulazione, che funziona sempre, in certi frangenti.
– Si, grande Cesare, Cesare il Divino. Tu sei umano, troppo umano, sei il superuomo, il poeta vate.
– Il poeta vate?
– Si, come D’Annunzio.
– E chi è? Un latino?
– Di Pescara.
– Ah. Ma qual è il tuo nome?
– Loredana.
– Lauretana?
– No, Loredana.
– Lauretana, come il Lauro poetico, no?
– Sì, sì, Cesare, Lauretana come il Lauro.
– Sei femmina allora?
Cosa fare? Distruggere il suo sogno? E se vorrà verificare? Cosa si fa? Ma forse, finché deciderà di verificare, lei sarà già tornata a casa. A proposito…come si può tornare a casa, quando si ha di fronte il mito di una vita? Quanti professori di greco e latino possono vantare un’avventura con Cesare? Nessuno. Allora Lori decide di assecondarlo e di parlare con lui il più possibile, ma tutto questo dovrà avere un tempo: il tempo di una lavatrice, ancora due ore.
-Lauretana, come mai un nome femminile?
-Beh, Cesare l’immenso, sai meglio di me che le piante in latino sono tutte femminili, poi io sono un po’ maschio, un po’ femmina.
– Ah, clarum. Una cosa non capisco, nonostante sia grande ed immenso. Come sei arrivato qui, all’accampamento? Io ho un vago ricordo di una strana danza, io e te per mano, giravamo…
– Cesare caro, non ricordi altro? Sei comparso improvvisamente davanti a me, implorando il mio aiuto, non ricordi?
– No, ermafrodito, nient’affatto. Non ho chiesto alcun aiuto. Ora ho solo un gran mal di testa.
In quel momento, però, Cesare ha un’esitazione, un arresto della volontà e Lori capisce chiaramente che sta mentendo, ha chiesto il suo aiuto perché sta perdendo la battaglia? Ha paura del Senato e delle sue spie? Vuole tornare a Roma, a casa sua? Forse sa perfettamente chi ha di fronte, ha trovato un varco per raggiungere il futuro e vuole capire se quanto dicono di lui i prof. di latino e storia corrisponde alla realtà? E’ entrato nei pensieri di Lori e la reputa incapace di correggere la versione del “De bello Gallico? O, piuttosto, vuole sapere se l’umanità ha dimenticato il suo coraggio e la sua grandezza? Non riesce a capire. Perchè mentire? Ecco il volto più vero del divino Cesare: la menzogna. E’ così che conquisterai mezzo mondo? Mettendo sopra gli occhi una membrana opaca, per velare le tue vere intenzioni? Bugiardo! Ma non mi freghi…
– Grande Cesare, la battaglia ha fiaccato forse le tue forze…Riposa, chiamerò lo schiavo di fiducia, veglierà su di te.
– No, Lauretana, non ti dare pensiero per me, mi affido a te, veglia tu stesso su di me, ma raccontami qualcosa, per conciliarmi il sonno.
A questo punto, Lori si pente di aver pensato male di Cesare, che si fida di lei, nonostante sia uscita da una lavatrice e lui lo sappia perfettamente.
– Grande Cesare, tu hai amici? Perché io sì, e le mie amiche, che io chiamo “Trippe D’assalto” sono le migliori del mondo. Prima di tutte c’è mia sorella minore Lucia.
– Ah, soror minor…
– Sì, sì, soror minor, è quasi sposata con Gianluca
– Con chi? Gianluca? Che nome è?
– Germanico, Cesare, Germanico.
– Ah, clarum, clarum.
Lucia è ricciolina, alta, fa la fisarmonica, un po’ ingrassa, un po’ dimagrisce, fa l’architetto.
– Cosa fa?
– Costruisce palazzi.
– Impossibile.
– Perché?
– Perché è femmina.
– Invece sì, ma ti spiegherò dopo come fa. Lucia sembra Betty Boop, anche se non sai chi sia, fidati, è bella. E’ un fumetto.
– Fumetto?
– Sì, un personaggio inventato, come in un libro.
– Ah…
Lori pensa che Cesare la conosca già o che, in un modo o nell’altro, finiranno per incontrarsi, in questa strana storia.
– C’è poi Giorgia, una delle mie amiche di più vecchia data, Giorgia ha il carattere di un uomo nel corpo di una donna, E’ una roccia, va avanti come un carrarmato, ma accanto a lei ti senti sicura, anche nei momenti peggiori. Giorgia è intelligente, spiritosa, ironica, forse a volte cinica, ma ha un grande cuore. C’è poi Alessandra, l’ arbiter elegantiarum: se vuoi comprare un vestito, un maglione, un mobile, qualunque cosa, lei è paziente, dà buoni consigli, è sobria e misurata, conosce la vita, il mondo, non si lascia trascinare nel suo turbinio, è l’equilibrio in persona. Io penso, però, che ogni tanto vorrebbe liberarsi e fare delle follie, ma so che non le farà mai ed è forse per questo che le voglio bene. C’è poi Monia, la sanguigna, la combattente, la pasionaria. Fa solo ciò che ritiene giusto, senza badare all’opinione altrui, ma solo ai propri principi morali. Insegna filosofia e, per i propri ideali, si farebbe ammazzare, ma a me piace il suo lato nascosto, quello gioviale, che esce fuori solo con noi. La penultima è Claudia, la più piccola, la più sfuggente. E’ cresciuta con noi, in mezzo ai nostri discorsi, d’estate, dentro l’acqua, per ore ed ore, o sotto il sole, o alle sagre di paese, la sera, quando il caldo cala. Claudia diventerà una persona importante, ma io spero che non si scordi mai delle sue amiche, ovunque si trovi a vivere, nel mondo. L’ultima è Luana e di lei non so cosa dirti perché ogni cosa che sia sua, porta il segno. E’ forse la persona più viva che conosca, protegge i suoi sogni e fa una fatica così grande a rimanere sempre la persona che era, quand’era una ragazza. Cerca di non dimenticare mai quello che sperava di essere e io sono sicura che, un giorno o l’altro, chi le sta vicino capirà cosa c’è nel suo cuore.
A Lori spunta una lacrima, pensando alle sue amiche che vivono sparse per l’Italia, ma che continuano, tenacemente, a volersi bene, a cercare di vedersi, a raccontarsi le storie d’amore, come se non si fossero mai separate, come se gli anni di lontananza non esistessero.
Cesare si è addormentato, presto la battaglia ricomincerà, pensa Lori. Sul viso del grande condottiero è comparso un sorriso, forse sta sognando di essere incoronato vincitore, o forse sogna proprio di lei, chissà…Le viene in mente che Cesare ha l’epilessia e, guardandolo, pensa che potrebbe avere una crisi, ripassa quanto sa sulla malattia, veramente poco, ma sembra tranquillo, sereno.
Da un momento all’altro si volta verso di lei, con gli occhi aperti, sembra non vederla, ma poi la mette a fuoco e le sorride.
-Lauretana, devi spiegarmi delle cose.
– Se posso, immenso Cesare…
– Basta con questi “grande, immenso, divino, intenso”! Chiamami Cesare e facciamola finita.
-Lauretana…
– Beh, allora Cesare, facciamola finita pure con “Lauretana”, io mi chiamo Loredana.
– E sia, anche se a malincuore. Loredana, cos’è successo questa mattina? Perché ci siamo trovati? Ricordo di aver sentito prima un dolore insopportabile allo sterno, di essermi inginocchiato, poi ti ho visto, ho chiesto il tuo aiuto, ti ho teso la mano e tu mi hai guardato. Infine, hai risposto alla mia richiesta, mi hai dato la tua mano , abbiamo girato in mezzo al bianco e poi siamo arrivati qui
– Beh, più o meno è andata così. Prima di lavare il bucato, in un macchinario che noi chiamiamo lavatrice, ho pensato a te, alle tue imprese, alla tua fama, ai libri che hai scritto, che testimoniano del tuo coraggio, della tua grandezza. Io insegno latino e l’ultima lezione, mentre spiegavo il “De bello gallico”, i miei alunni erano distratti, non badavano a nulla, solo agli affari loro; mi è dispiaciuto non solo per me, ma anche per te, che magari li stavi guardando deluso, offeso dalla loro insensibilità. Poi sono andata in bagno e ho messo il bucato nella lavatrice e, riflesso nell’oblò, sei comparso tu che, prima mi hai guardato e poi mi hai chiesto aiuto.
– Lauretana, oh, scusa, Loredana…io non ricordo veramente nulla, ma solo un fortissimo dolore qui dentro.
Cesare si tocca il petto, in corrispondenza del cuore. Lori lo guarda, intenerita. L’uomo che sottometterà il mondo intero, che verrà tradito, ucciso perché troppo pericoloso, ingovernabile, l’uomo che il Senato non riuscirà a piegare in alcun modo, eccolo lì, quell’ uomo: steso sembra più piccolo, senza difese, solo una grande dolcezza profondono i suoi occhi, che a tratti sembrano trasparenti. Precisamente in quel momento capisce che nessuno pensa mai ai senatori che l’hanno fatto uccidere, ma tutti pensano a lui, che ha rifiutato di farsi incoronare imperatore, alla sua vita che è diventata la storia stessa. Pensa al dovere che ha nei confronti di quest’uomo coraggioso e il dovere è di non renderlo un fossile, ma farlo vivere ogni volta, della vita che merita questo nome. Capisce finalmente perché abbia chiesto proprio il suo aiuto.
– Cesare, io forse sto sbagliando tutto, ma è faticoso, con la famiglia, marito, figli, gli impegni, riuscire a restituirti ogni volta gli onori che meriti.
– Ma io non voglio gli onori, voglio solo non morire. Sai qual è la verità? Assisto ad ogni lezione di ogni insegnante di latino, di ogni insegnante di storia. A volte mi sento talmente vivo che mi sembra di prendere corpo nell’aula, altre volte mi riduco a un’ombra, fioca, trasparente come fumo…
– L’ultima volta, te lo confesso, ti ho liquidato in quattro parole, ma me ne sono pentita subito, te lo giuro!
– Sui Lari o sui Penati?
– Su chi vuoi tu!
Cesare si china in avanti e le sussurra all’orecchio:
– Ti credo, ma so che mi hai detto una bugia: non sei un ermafrodito.
– No, non lo sono, infatti ho due figli, ma tu ti eri fissato, avevo paura che mi facessi scuoiare, sembravi la furia Aletto.
– Sei una creatura leggiadra, Lauretana, ed io sono quasi un vecchio, ma la tua presenza allevierebbe le mie pene, cancellerebbe le mie paure. Perché non resti con me? Potresti aiutarmi a scrivere una grande opera, potremmo tornare a Roma insieme, tu, dolce, piccola creatura, il destino ti ha fatto giungere fino a me, un motivo deve pur esserci!
Nonostante l’assurda foggia dei capelli, il viso segnato dalle rughe, il corpo disfatto dalla stanchezza, forse una crisi imminente, è illuminato da una strana luce. Lori capisce, in un attimo di comprensione assoluta, che quello che ha reso grande quest’uomo, è la grazia che illumina il suo cuore, quel modo privo di vergogna che ha di dire le cose più impensate.
Ma, nello stesso istante, si rende conto di una cosa altrettanto certa. Si avvicina a Cesare e poggia le sue labbra, come in un soffio, su quelle di lui e, senza sentirne neppure il contatto, gli dice: – Vale – scappa via, verso la radura, lontana, senza voltarsi per paura di non riuscire più a lasciarlo. Immaginando la luce dei suoi occhi bagnati, scappa via, scossa dai singhiozzi, ma anche felice, con gli occhiali che nascondono le lacrime, il pigiama, leggero, ridicolo, le pantofole. Corre all’impazzata, mentre piove, l’acqua scende, piove che Dio la manda, lei raggiunge il centro della radura e vola via, incredula, verso casa.
Complimenti davvero! Capita anche a me di interagire con la lavatrice, sebbene non mi abbia mai procurato incontri così illustri…