Premio Racconti nella Rete 2010 “Il sogno segreto dei corvi di Orvieto” di Luana Colaci
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2010“Inspiegabilmente, da qualche giorno, si verifica una sistematica carneficina dei corvi di Orte, i quali vengono trovati impiccati, squartati, mutilati, anche nei più oscuri recessi del paese. La stranezza è, però, che tutti, nessuno escluso, presentano un segno comune: un filo di lana rossa, legato alla zampetta destra. Si pensa a un macabro rito, ma non si sa ancora nulla. Le autorità competenti se ne stanno già occupando.”
Luana è in aula insegnanti, non c’è nessuno, così esclama ad alta voce: “Ma questa è una notizia? Con tutti i problemi che ci sono in Italia, una testata paga qualcuno per dare una notizia come questa? A ‘ste condizioni la faccio io, la giornalista. Chi è il cane che ha scritto l’articolo? Giovanni Testa. Ma complimentoni, Giovanni Testa di…!” A quel punto entra il bidello che l’ha sentita inveire contro il giornale, la guarda come se fosse una matta e le dice che c’è una mamma che chiede di lei; così la poveretta, umiliata, prende il registro, scende le scale e fa accomodare la mamma. La signora parla, ma a Luana le parole arrivano filtrate, nella sua testa ci sono solo i corvi di Orte, tutti legati da un filo di lana rossa.
Il colloquio si conclude dopo qualche minuto, tutto sommato è riuscita a pronunciare frasi coerenti e coese, adeguate al contesto. Ah ah,che ridere! Adeguata al contesto non è mai stata, lei, e men che meno ora che pensa, sempre più ossessiva, ai corvi di Orte. Perchè i corvi di Orte le ricordano qualcosa, qualcosa che proviene da lontani recessi della memoria. Una frase divisa in due, della quale i corvi di Orte sono la seconda parte. Cosa le ricordano i corvi di Orte? Or-te / Or-te, Or-te – Mor-te…Sì, ce l’ha quasi fatta, Orte- morte, sì, sì, non è poi così mentecatta come crede Gino il bidello malupino!
Ora la seconda parte, c’erano degli altri corvi, poi la parola “segreto”, sogno, sogno segreto, Orte, morte, corvi di un’altra citta…E, d’improvviso, come un lampo, l’illuminazione!
IL SOGNO SEGRETO DEI CORVI DI ORVIETO E’ METTERE A MORTE I CORVI DI ORTE!
Ma certo! Come nella poesia di Scialoja, esattamente: “Il sogno segreto dei corvi di Orvieto è mettere a morte i corvi di Orte”.
I giorni successivi alla scoperta sono forsennati: consigli di classe, ricevimento genitori, compiti con relative correzioni, divertenti come il carcere a vita, ma lì, in lontananza c’è un ponte, il ponte dell’Immacolata che Luana ha deciso di passare fra Orte e Orvieto, per scoprire chi uccide i corvi di Orte e se possano mai essere stati quelli di Orvieto.
Nel frattempo legge appassionatamente i versi di Scialoja che sono, onestamente, esilaranti, ride come una matta, anche durante le lezioni, ormai, pensando a “La mucca di Lucca | che gira in parrucca | in mezzo alla vigna | e allunga la lingua | ammicca o pilucca?”. Gli alunni la guardano sconcertati, ma tanto cosa cambia? Che ne sanno, loro, di quello che succede nella sua vita? Non capirebbero mai che si possa anche essere incuriositi da un mistero, nato magari in dei versi, e che per due giorni si possa andare a cercare l’assassino di corvi, innocenti o forse colpevoli, perché si è fiutata una pista, sepolta in uno stranissimo libro di poesia, formalmente privo di senso.
Tant’è. Il 5 dicembre, alle quattro e mezza, Luana prende il treno che la porterà a Bologna, da lì a Orte e, in venti minuti, volendo, a Orvieto. Il viaggio non è infinito, in effetti pensava peggio: lo trascorre leggendo gli ultimi tre articoli di Giovanni Testa, l’unico in Italia, probabilmente appassionatosi al caso, escludendo ovviamente lei stessa. Dopo il primo articolo, apparso su una testata nazionale, gli altri li ha dovuti cercare su internet, perché nessuno era più interessato alla faccenda.
Arrivata a Orte andrà in cerca di informazioni riguardanti il caso, si augura di imbattersi nell’esimio giornalista, ma neanche tanto, in fin dei conti. E’ una faccenda che riguarda lei e i corvi di Orte e quelli di Orvieto. Un’idea ce l’ha già: qualcuno, non si capisce per quale oscura ragione, vuole realizzare il sogno dei corvi di Orvieto, forse perché nascondono qualche segreto, sono una metafora, un simbolo, un’analogia, un’allegoria.
Il treno si ferma, è ormai sera, l’aria è frizzante, ma non c’è vento. Il paese è deserto, così si avvia verso il centro, alla ricerca del proprio albergo, che si chiama “Montreal”, nome comicamente
internazionale, visto che si è a Orte.
Chiede ad un passante, che glielo indica, è in una traversa della piazza principale: un’accozzaglia di ultramoderno, antico e kitch, con luce fosforescente, tavolini laccati di vernice dorata, lampade Artemide, copie di urne greche nere, tende bianche a pacchetto, tovaglie con bordi di pizzo Sangallo, ma anche copie del quadro di Marylin di Warhol, con la faccia del proprietario, però, in verità un po’ inquietante. Insomma c’è di tutto, manca solo il buon gusto.
Dopo essere stata registrata, chiede ed ottiene una guida telefonica, cerca e trova il numero del giornale di Orvieto per il quale scrive il Testa, per tentare di estorcere delle informazioni, credendosi molto più intelligente di chi è all’altro capo del telefono. Le viene passato il Testa in persona e il dialogo fra i due raggiunge prende strade inattese.
“Pronto. Testa? Di…?”
“Sì, sono Testa di “La gazzetta di Orvieto” . Chi parla?”
“Salve, sono Luana Colaci e credo di avere delle notizie interessanti sulla storia dei corvi di…”
“Ah. E a che titolo?”
“Beh, in che senso? Credo di avere delle informazioni interessanti, o meglio una pista”
“Pista? In che senso? Pista di cosa? di coca?”
“Coca ? Ma che dice? “
A voce bassissima, il Testa: “Sa, coi tempi che corrono… non che mi interessi, ovviamente.”
“Sì, ovviamente. No, che coca e coca? Credo di aver capito qualcosa della storia dei corvi, ma meglio non parlarne al telefono.”
“Sì, meglio, allora ci troviamo alle dieci nel pub che sta in piazza, il Vancouver, ok?”
“Vancouver? Vabbè, senta, avrò un maglione viola, una sciarpa viola e un cerchietto viola,a dopo.”
“Ah, bene, io avrò gli occhiali, a dopo.”
Luana è incredula. Tanto per cominciare, ha a che fare con un idiota, poi come ha potuto essere così cretina da dirgli che ha delle informazioni? La vera idiota è lei, ma all’appuntamento dovrà essere una sfinge, non dovrà dirgli niente. Infine sospetta che lui sia un cocainomane, magari la polizia li ha intercettati per la storia della pista.
Alle dieci Luana è nel pub, seduta al banco, tutta in viola. Guarda gli avventori, la metà dei quali porta gli occhiali, conferma il proprio giudizio sul Testa.
Il Testa è già nel pub, ma non si è ancora fatto notare, la guarda leggermente nascosto dietro una colonna e pensa che, in caso di guerra, la tipa sia persino passabile, nonostante una gattara sia più elegante di lei.
Finalmente si avvicina. Le porge la mano, dice: “Piacere, Giovanni Testa. Lei è Ivana?”
“No. Sono Luana.”
“Ah, Luana, che nome…”
“Sì, lo so, da pornodiva, fa niente. Ognuno ha la sua croce.”
I due ordinano e si mettono subito a parlare. In verità gridano perché c’è la serata “revival anni ‘80” e ci sono gli Europe con “The final countdown”, rimessi per la quarta volta, da almeno venti minuti. Luana è sfatta dalla stanchezza e vorrebbe soltanto andarsene, tanto ha spiegato tutto all’uomo, senza tenersi per sé neppure un’informazione: lui, l’aquila, non aveva scoperto nulla, dopo aver fatto le prime indagini, aveva soltanto intervistato le persone nei giardini delle quali erano stati rinvenuti i corvi e, toccando inarrivabili vette di arguzia, aveva chiesto alla merciaia quanto costasse, a gomitolo, la lana rossa trovata intorno alle zampe degli animali.
La serata è conclusa, anche perchè il Testa ha intenzioni bellicose, ha notato una moracciona coscialunga e intende liquidare Luana a tutti i costi. La liquidata è ben contenta di andarsene, anche perché non ha ottenuto nulla dal giornalista più inutile d’Italia, quindi lo saluta e se ne torna in albergo.
Prima di andare in camera, rimane un po’ nella hall, dove chiacchiera con un cameriere, Antonio, che le dà molte informazioni utili, come ad esempio i nomi delle persone che hanno trovato i corvi i quali, in verità, sono stati quasi tutti rinvenuti in un giardino, quello della Signora Rita Santini.
Luana azzarda qualche domanda sui rapporti fra gli abitanti di Orte e quelli di Orvieto, ma Antonio non le risponde, millantando un’ordinazione da portare alla 17.
Dopo aver mangiato la foglia, Luana se ne va in camera e, appena nel letto, sprofonda in un sonno abissale, talmente profondo da non permetterle di ricordare nulla.
La mattina seguente, però, si sente riposata: è il 6 dicembre, ha ancora due giorni per scoprire qualcosa, si reca intanto dalla Signora Santini.
La donna non c’è, è fuori paese, come sono introvabili anche quelli che hanno trovato gli altri corvi: non le resta che andare ad Orvieto.
Prende il treno delle 10.07 e, in pochi minuti, arriva nel paese.
Pur vergognandosi come una ladra, fa qualche domanda in giro, chiedendo se qualche caso di corvo morto si sia verificato ad Orvieto. Nessuno sembra capire cosa voglia, i corvi di Orte sono a Orte, cosa dovrebbe interessare ai cittadini di Orvieto? Quando, poi, chiede quali siano i rapporti fra Orte e Orvieto, la faccenda si fa veramente strana: si va da “meglio morire che avere un genero di Orte” all’ “anche loro sono carne benedetta”.
E’ tutto confuso. Intanto sembra che a nessuno importi dei corvi, poi fra i due paesi sembra esserci un certo disprezzo, quasi che gli uni avessero orrore degli altri.
Si è fatto mezzogiorno e Luana ha fame, entra in una trattoria e, con sua grande sorpresa, vede Giovanni Testa. Si avvicina al suo tavolo e gli chiede, senza alcuna vergogna:
“Beh, com’è poi andata la tua serata?”
“Bene, grazie, come al solito. E le tue ricerche?”
A questo punto è ad un bivio: dire la verità o mentire e, anzi, depistarlo completamente, tanto è talmente imbecille che non se ne accorgerà?
“Ho scoperto cose interessanti.”
“Davvero? Cosa?”
“Ho scoperto che a Orvieto c’è una setta Satanica che si chiama “Il filo rosso” e fanno fuori i corvi di Orte perché sono della specie Ungulatus maculatus, che è quella che, pare, il Maligno usi come maggiordomo.”
Dopo questa raffica di cazzate, Luana si scusa con il Testa e se ne va in un’altra trattoria. Dopo pranzo, torna a Orte, dalla Signora Santini che, questa volta, è in casa. Il salotto è di velluto ocra e zeppo di libri che sbucano da ogni dove, impilati sul tappeto, sul termosifone, sulle sedie non occupate.
La signora Rita la fa accomodare, le offre un caffè e le spiega che, a distanza di qualche giorno l’uno dall’altro, si sono verificati quegli strani ritrovamenti, che i corvi avevano tutti un filo legato intorno alla zampetta e che erano stati uccisi in vari modi.
“Poveretti! Mi facevano una gran pena. Anche se sono bestiacce, impiccarli, dico io!”
“Sul giornale diceva che alcuni erano stati squartati, altri mutilati.”
“No, no, i miei solo impiccati, caro.”
Caro? Caro chi? Luana rimane basita, ma non lo dà a vedere.
Alle spalle della Santini c’è una fotografia: una famiglia composta da tre persone. Rita si riconosce bene, è identica, poi ci sono un uomo adulto e un ragazzo con gli occhiali.
Accanto alla fotografia la pergamena di un certificato di laurea in Lettere Moderne, accanto il certificato di Dottorato in Letteratura Contemporanea.
Luana sorride, incredula. Sorride perché entrambi sono di Testa Giovanni, laureatosi con centodieci e lode, vincitore di una borsa di studio all’Università di Siena.
Ringrazia la signora e va via, ma prima di chiedere un ultimo appuntamento a Giovanni, passa da una Libreria e compra “Versi del senso perso” di Toti Scialoja.
Si incontrano davanti al “Vancouver”, entrano insieme, Giovanni ha la solita faccia da finto beota. Si accomodano, il pacchetto con il libro viene tirato fuori dalla borsa, con grande nonchalance.
“Per me?” chiede Giovanni.
“Sì, certamente, in fin dei conti mi hai aiutato a capire chi sia stato ad ammazzare tutti quei poveri corvi.”
“Ma non ho fatto nulla, cara!”
“Invece sì, hai fatto tanto, magari senza volerlo!Ma ora apri il pacchetto. Sono curiosa di sapere se conosci l’ autore.”
“Va bene, ma non dovevi!”
“Eccome se dovevo!”
Il Testa apre il pacchetto e rimane fermo per qualche istante. Il suo sorriso perde l’allegria, gli occhi si abbassano sulla copertina, per un momento si vergogna di quello che ha fatto.
“Leggi la dedica, è la cosa più importante”
Sulla prima pagina bianca c’è scritto: “Sei un farabutto e pure assassino, non ti sputtano solo perché mi dispiace per tua madre, ma ti meriteresti di essere radiato dall’ordine dei giornalisti.”
Giovanni sorride ora con mezza faccia, la trattiene per un braccio, sibilando: “Ma che ne sai, tu? Eh? Vivere in un buco, senza mai un riconoscimento, un’aspirazione, una notizia? Che cazzo ne sai tu?Per una volta che mi pubblicano sul Corriere, la dovrei pure pagare? Bada che se dici qualcosa…”
Luana si libera dalle dita di Giovanni, spaventata.
Poi recupera la calma: “Stai tranquillo,non dico niente. Solo… lascia stare. Tanti saluti.”
Agitata, esce dal pub, corre al Vancouver, fa le valigie e si precipita alla stazione.
Mentre il treno si allontana, vede una nuvola di corvi, che danzano nel cielo. Tutti insieme formano una freccia che si scompone e poi si ricompone.Volteggiano, nell’aria, ma presto si ricompattano: con la cuspide della freccia indicano, sinistri e neri, una casa, con un giardino, dove una vecchia signora stende i panni, mentre il figlio la aiuta.
Bello! :>
Trovo che i versi di Scialoja, oltre che divertenti, siano spesso intriganti. Tanto che ne hai tratto ispirazione.
Dopo la baggianata raccontata a Testa in trattoria, ho temuto un finale con l’articolo sulla setta satanica.
Complimenti.
“Metto avanti le mani
come un cieco di scena
quando sento lontani
i giorni della pena
i gorghi della piena
i gridi delle rondini di Siena”
T.S.