Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2019 “Io, il cucciolo Alfredo e quelli di sotto” di Paolo Puliti

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2019

Non ho mai avuto un cane, nemmeno da piccolo. Anche quando avevamo il giardino nessuno della mia famiglia ha mai espresso il desiderio di possederne uno e forse è stato meglio così; ho sempre pensato ai cani come animali degni del massimo rispetto e quindi della giusta e doverosa attenzione, cosa che nessuno di noi era evidentemente in grado di dare. Adesso però ne vorrei uno, subito. Non per dargli il mio affetto, sia chiaro, e nemmeno per riempire quel vuoto ormai incolmabile di tutti questi anni in cui ho vissuto senza un animale, ma semplicemente perché ho una missione da compiere e da solo non ce la posso fare. Mi ci vorrebbe proprio un cane.

Sono in camera, seduto alla scrivania di fronte alla finestra, il computer è acceso e sto provando, come sempre durante il fine settimana, a scrivere qualcosa di decente, ma “quelli di sotto” non fanno altro che gridare, litigare e mandarsi a quel paese, spazzando via dalla mia mente anche il più piccolo pensiero, la più banale costruzione grammaticale: soggetto-verbo-complemento; niente da fare, proprio non mi viene. Ci tengo a specificare, anche se credo non ce ne sia bisogno, che “quelli di sotto” sono i miei vicini di casa che di sicuro avranno anche un nome, ma io non ne sono al corrente e comunque non m’interessa, non lo voglio sapere, per me saranno sempre e solo “quelli di sotto”. Ricapitoliamo: nell’appartamento sotto al mio, abitato da questi strani esseri dalle sembianze antropomorfe, già da questa mattina si sta consumando una tragedia infinita in cui la figlia, un metro cubo di bambina di circa dieci anni, non ne vuole sapere di vestirsi come la madre le sta dicendo ormai da ore. La piccola ribelle sembrerebbe molto più attratta da quello che passa in televisione, tenuta ovviamente a volume altissimo, mentre la mamma è perennemente impegnata a pulire casa con un’aspirapolvere industriale, uno di quelli che vengono usati di solito per ripulire le strade dopo la sfilata dei carri al carnevale di Viareggio e per superare il rumore del motore, innalza la voce fino a raggiungere i decibel di un jet supersonico in fase di decollo. La figlia, dal canto suo, non la considera per niente e qualunque sia la richiesta della madre, le risponde sempre gridando: “dooo-pooo!!”. Ed è così per tutta la mattina e probabilmente proseguirà alla stessa maniera anche nel pomeriggio. Devo assolutamente fare qualcosa per sbloccare la situazione ma per riuscirci ho bisogno di un cane e così ho deciso, me ne invento uno come mi pare e piace.

Mi giro verso l’armadio e lui adesso è lì, un bastardino di taglia media, colore bianco sporco con la classica macchia nera sull’occhio che ispira tanta tenerezza. È proprio bellino, mi piace, ho deciso: sarà lui il mio cane. Anche il cagnolino sembra contento di me e muove la coda felice del suo nuovo padrone, forse si aspetta una carezza ma non posso farlo, sarebbe ridicolo, è un cane immaginario, anche se un po’ mi dispiace. Per il nome ho già deciso, non ho voglia di stare qui ad arrovellarmi il cervello per trovare quello adatto, così ne prendo uno già fatto. Lo chiamerò Alfredo, sarà lui il mio cucciolo Alfredo quello “avvilito e appuntito, con i denti da lupo tradito” proprio come nella vecchia canzone di Lucio Dalla. Adesso ho proprio tutto, ho il mio cane immaginario, che ovviamente posso vedere solo io e che ora ha anche un bellissimo nome e poi, cosa fondamentale, ho un piano, un piano infallibile che forse non risolverà tutti i problemi di convivenza ma almeno mi darà una piccola soddisfazione e perché no, anche un giusto senso di vendetta. Il piano d’azione è già deciso e non ho bisogno di ripeterlo, Alfredo non è mica un cane addestrato è solo il frutto della mia fantasia, per cui non c’è da spiegargli niente, se è chiaro per me sarà già tutto chiarissimo anche per lui. Mi alzo dalla sedia e lui mi segue; è molto bello avere un cane che ti viene dietro, ti fa sentire importante, ma ti dà anche un grande senso di responsabilità. Stiamo proprio bene insieme noi due. Siamo come Ulisse e Argo, come Rocky e Birillo, come Gianni e il magico Alvermann, insomma: siamo la coppia più bella del mondo.

Scendiamo le scale, suono alla porta di “quelli di sotto”, dopo poco la bambina mi apre. La madre ovviamente non ha sentito il campanello perché intenta a togliere un microgrammo di polvere che si è impunemente depositato sul pavimento del bagno e per questo ha impostato la macchina infernale al massimo della potenza. La bimba si presenta con le scarpe tacco dodici della madre, una gonna di tulle che le arriva alle caviglie, una camicetta a fiori larghissima e le labbra mezze colorate da un rossetto nero tutto sbaffato. É orribile, sembra una vecchia battona di paese di cinquant’anni fa. Non ha il minimo gusto estetico, ora capisco la frustrazione della madre, allora non è proprio tutta colpa sua. Comunque adesso non posso distrarmi con dissertazioni sulla moda, il piano deve andare avanti e Alfredo sa benissimo qual è il suo ruolo in tutta questa faccenda e così, non appena entrato in casa, si dirige deciso verso la camera da letto. Ora la donna, chiamata da quel megafono della figlia, si accorge di me e mi dà il buongiorno dopo aver spento l’aspirapolvere, il cui tubo di aspirazione è ormai diventato un prolungamento artificiale del suo corpo. Io le chiedo se per caso le sto dando fastidio. Lei non capisce. É chiaro che non capisca. Ribadisco che sono lì per chiederle se per caso il mio battere insistente sulla tastiera del computer le sta dando qualche fastidio, anche perché sto scrivendo un pezzo quasi tutto in grassetto, con molte parole maiuscole e pieno di punti esclamativi, non vorrei disturbare più di tanto, tutto qui. Lei mi guarda con lo sguardo intelligente del visitatore medio a una mostra di avanguardia astrattista: sa bene che l’artista, io in questo caso, le sta dicendo qualcosa che va oltre quello che viene percepito dai suoi sensi, ma non ci ha capito una mazza. Nel frattempo Alfredo è già di ritorno e mi fa un cenno con il capo come per dire “missione compiuta” e allora la mia presenza in quella casa non è più necessaria. Saluto la signora farfugliando frasi senza senso piene di parole tipo: amministratore, pulizia scale, rate condominali…, lei continua a non capire. Esco sul pianerottolo insieme al mio cagnolino e sento che alle mie spalle la signora dice qualcosa alla figlia ma riesco solo a distinguere “il matto di sopra”. É così che mi chiamano loro: “il matto di sopra”, il che non mi dispiace poi più di tanto. Comunque la missione dovrebbe essere andata in porto, c’è soltanto da aspettare la reazione e poi valuteremo le conseguenze.

Io e Alfredo adesso siamo di nuovo in camera, lui si è accucciato accanto a me, socchiude gli occhi e respira regolarmente. È proprio bravo il mio cagnolino. Di sotto tutto tace, comincio a sospettare che Alfredo non abbia portato a termine il suo compito, ma anche se così fosse non gliene faccio una colpa, in fondo era la prima volta che lavoravamo insieme e come in tutte le cose, ci vuole un po’ di tempo per entrare in sintonia. “Sarà per la prossima volta, non fa niente amico mio, se la cosa non ha funzionato vorrà dire che ce ne andremo a fare un giro fuori, visto che qui ormai l’ispirazione se n’è andata” dico mentalmente al mio cane immaginario. Faccio per spengere il computer, quando dal piano di sotto sento un urlo tremendo. La bambina sta chiamando la madre e io immagino la donna che corre in camera e finalmente si accorge di tutto e grida: “Che hai fatto?! Ma che hai fatto?!”. Ora la figlia piange disperata e fugge dalla stanza gridando la sua innocenza mentre la madre la insegue a cavallo dell’aspirapolvere fino a che la raggiunge e le fa pelo e contropelo.

Una cagata. Una bella cagata sul copriletto che immagino tutto bianco e ricco di preziosi ricami. È questo che ha lasciato il buon Alfredo che, sebbene cane di pura invenzione, come nelle favole più belle, ha trasformato la fantasia in realtà e il mio desiderio di vendetta in qualcosa di reale, grosso e puzzolente.

L’immaginazione al potere, ora e sempre.

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9 commenti »

  1. Mi è piaciuto molto questo racconto. Fluido, accattivante, divertente e originale. Davvero bravo

  2. Piaciuti molto lo stile e la divertente cattiveria

  3. Complimenti Paolo! Fin dalle prime righe mi hai suscitato uno spontaneo sorriso, che poi si è allargato mano a mano che ho proseguito nella lettura. Scritto benissimo e originale. Mi piace il senso di soddisfazione che lascia la “cagata” immaginaria…Ecco, mentre lo scrivo sto ridendo! Missione compiuta Paolo!…. Bravo anche Alfredo 🙂

  4. Bentornato Paolo, bel ritmo, e fantastiche le immagini di questa orrenda famiglia: ”un metro cubo di bambina” non si dimentica.
    Volendo sintetizzare riciclando un vecchio slogan: “La fantasia distruggerà il potere e una [doppia sostituzione sillabica] vi seppellirà”!
    Bravo!

  5. Bravo, mi é piaciuta l’idea ed ho apprezzato anche lo stile.

  6. Grazie di cuore a tutti per i commenti.
    La cosa tragica di tutta la faccenda è che “Quelli di sotto” esistono veramente e che non ho poi tanto esagerato nel raccontarli.
    Io comunque non ho ancora perso le speranze di vedere materializzarsi presto il mio cucciolo Alfredo..

  7. Bravo Paolo, in poche battute mi hai portato a stare dalla tua parte e a far diventare Alfredo un piccolo grande eroe… Sapevo come sarebbe finita ma ho comunque riso e apprezzato la tua scrittura scorrevole, sagace e con le giuste citazioni. Bello il tuo descrivere l’umanità di ‘ quelli di sotto’ e ‘del matto di sopra’ . La tua scrittura li fa diventare comunque simpatici, umani appunto. Bravo

  8. Bello tutto il racconto ma, in modo particolare Alfredo. La fantasia vince sempre. Complimenti Paolo.

  9. A “Quelli di sotto” preferisco nettamente “il matto di sopra”. Una lettura fluida e divertente..

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