Premio Racconti nella Rete 2019 “Zifa, il cavaliere delle onde” di Patrizia Fistesmaire (sezione racconti per bambini)
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2019Zifa aveva quattordici anni quando decise di partire.
Voleva diventare un cavaliere delle onde.
Ma gli occorrevano una barca e il mare.
Anche il sole e il vento.
Pure una riserva di tô, meglio se con salsa di foglie di baobab.
Ma, soprattutto, serviva una tanica di the alla menta. La sete è più cattiva della fame.
Zifa pensò che occorreva anche un pò di fortuna.
Si guardò intorno.
C’era sabbia. Pochi alberi per ricavarne dei tronchi.
Avrebbe costruito una piroga, come quella dei pescatori Bozo. Ne incontrava molti sulla riva del Niger. Sventolavano le reti nell’acqua fangosa. Erano sempre felici perché il fiume regalava pesci e crostacei appetitosi. Li mettevano a seccare nelle calebasse, le ceste di paglia, così erano pronti per essere affumicati.
Come il pesce gatto, il suo preferito.
La carne era morbida e fritto nella farina di miglio diventava croccante.
Suo padre, il vecchio Babu, non voleva che lo mangiasse. Allora Zifa si nascondeva. Le donne del villaggio lo proteggevano. Un’antica leggenda dice che chi mangia il pesce gatto, beve latte fresco e dorme al chiaro di luna contrae la lebbra.
A Zifa non accadeva.
Forse perché il latte non lo aveva mai assaggiato.
Non c’erano mucche a Gao, nella zona sud del Mali.
Sulle rive del Niger, placido e grande, nessuno arriva dal cielo nè dal mare.
Zifa pensò al futuro.
Se non si fosse aiutato da solo, nessuno lo avrebbe fatto.
Aveva fiducia nello spirito del vento.
Sperava che l’harmattan lo potesse spingere insieme alla polvere rossa della sua terra.
Sarebbe risalito dal Niger e sboccato nel mare.
Già gli mancava la polvere da cui era nato. Nel mare non c’erano le foglie degli alberi, nè la patina farinosa. Tantomeno sulle onde.
Una nostalgia sconosciuta lo morse alla pancia.
Nel diventare cavaliere delle onde, qualcosa avrebbe perso.
Ma lo aveva messo in conto.
Accarezzò la sabbia lasciandola scivolare tra le dita.
Poi si mise al lavoro.
Per costruire una piroga ci voleva del legno. Ma Zifa non sapeva come fare. Suo padre gli diceva che tagliare un albero è un sacrilegio
“L’albero è vita, è il luogo della parola, protegge dagli spiriti maligni”.
Zifa sentì la paura e un formicolio nelle gambe.
Non poteva mettersi contro gli spiriti maligni.
Decise dunque di rubare una piroga di qualche pescatore.
Ce n’erano così tante, che forse non si sarebbero accorti.
Era la notte l’occasione propizia.
Prima di farlo andò a pregare alla Tomba di Askia, il grande mausoleo di terra cruda.
Non aveva mai rubato.
Decise di prendere in prestito la piroga di Dogon, il pescatore Bozo con l’ascia più forte. Era di sicuro la più solida, capace di cavalcare le onde.
Gliela avrebbe riportata.
In Italia sarebbe diventato ricco e grande abbastanza per costruire una nave, allora sì che Dogon lo avrebbe addirittura ringraziato, al suo ritorno nelle terre di Gao.
Zifa bevve un infuso del Nim per depurare il sangue. Si inchinò all’albero re e staccò un rametto. Gli serviva sia a curare qualsiasi male sia a pulire i denti se ce ne fosse stato bisogno.
La notte prima della partenza dormì sul tetto terrazzo di Donna Dada per non destare sospetto. All’alba, quando il sole si incontra con il mare sarebbe partito.
La luce non cessava.
Da giallo cupo divenne un fuoco arancione, il tempo di bruciare l’azzurro e poi svanì.
Quella notte Zifa non chiuse occhio.
Quando sentì impallidire la luna indossò il Bogolan, bruno, come l’acqua nera, perché il Dio vivesse con lui. Il vecchio Babu aveva disegnato un simbolo che lo proteggesse.
Poi mise sopra dei pantaloni di stoffa e due maglie, nel caso che una si fosse bagnata.
Donna Dada aveva cucito la pagella di scuola tra le maglie del tessuto fluente.
Aveva insistito.
“Con questa capiranno subito chi sei”.
Zifa era il più bravo del villaggio, per questo mangiava tutto il pesce gatto di cui aveva voglia.
La spirito dell’acqua lo avrebbe assistito.
Il viaggio era appena iniziato.
I pescatori più arditi srotolavano le lenze e la sabbia era ancora infreddolita dal buio.
Zifa brillava di una luce colorata.
Le onde lo accompagnavano.
Gao era così distante che sembrava un punto di fuoco nel centro del mondo.
L’Italia lo attendeva curiosa. I cavalieri delle onde sono benedetti dal mare. Zifa, piccolo uomo dai colori del sole, che gli spiriti veglino sulla tua piroga.
Mi sono commossa leggendo questa storia. Zifa, piccolo uomo, spero anche io che gli spiriti veglino sulla tua piroga e questa storia finisca come le fiabe più belle.
Grazie Patrizia
Che bella prosa, molto poetica. Così come poetica è l’atmosfera, sia della natura fuori che del panorama interno di questo giovane sognatore. Crudo l’effetto dello stridore interno, quando si capisce di cosa si sta parlando. Effetto voluto, giustamente direi, e molto ben riuscito. Bello quando si riesce a parlare così delicatamente di tanto dolore. Brava Patrizia, bella penna, buon cuore.
Un piccolo uomo, con gli occhi pieni di bellezza, un sogno, un’avventura forse troppo grande.
Abbiamo molto bisogno di poesia, grazie Patrizia e grazie Zifa.
Molto bello. Mi ha emozionato capire a poco a poco a quale storia assomigliasse. Complimenti Patrizia
Complimenti, Patrizia, una storia molto bella, triste, dolorosa che preferirei pensare non sia ispirata ad un fatto realmente accaduto. Hai reso gli avvenimenti in modo splendido. Complimenti e che Zifa possa perdonarci.
Una storia scelta e presentata con delicatezza e attenzione, quasi protezione. Una bella prosa, tagliata sui pensieri, i gesti e i riti del piccolo uomo, semplice e un po’ magica, piena di attesa e di destino. Brava, molto.
Bellissimo.
Non commuoversi è impossibile. Da leggere tutto d’un fiato!