Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2019 “L’ultimo dei sette nani” di Michele Stellato (sezione racconti per bambini)

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2019

Quando passavo davanti alla casa del mio vicino, mi fermavo sempre un po’ a guardare i sette nani che tutti sporchi di terra, qualcuno scrostato, qualche altro crollato sopra un fianco, giacevano disseminati nel suo giardino.

Il mio vicino, anziano e malato, non li curava, a me facevano  pena. E mi chiedevo come mai e perché i personaggi di una favola fossero diventati così familiari da finire nei giardini delle case della gente. Sagome di gesso, manufatti di terracotta, d’accordo, ma non riuscivo a non pensare e a non vedere che quelle facce buffe, i corpi sgraziati da nani ubriachi, patissero per le sofferenze dell’abbandono in cui vivevano; che dolorosa doveva essere la nostalgia per il loro paese, e malinconica senza alcuna gioia la loro giornata per vivere in esilio in quel giardino.

Capitava spesso al nonno, Amilcare Candreva, preside di scuola media in pensione, di dover raccontare ai suoi quattro nipoti, Sara, Arianna, Lorenzo, Linda, la storia di quel nanerottolo in gesso, una statuetta tutta scheggiata, con la gobba e il pancione, che teneva in bella mostra sulla mensola del camino in soggiorno. Anche se l’avevano già sentita, ogni volta che venivano in casa del nonno sempre gli chiedevano di raccontarla. Amilcare Candreva non si faceva pregare.

Era una tappa obbligata, la più attesa nei miei giri che facevo lungo la strada di casa mia. Mi fermavo, li contavo, li chiamavo per nome, uno a uno. E quando andavo via, col pensiero dicevo ciao ragazzi, dispiaciuto di lasciarli da soli, perché il mio vicino che era malato oramai non se ne curava più. Addirittura vedevo nei oro occhi un rimprovero, che me ne andavo senza fare qualcosa per aiutarli.

Il mio vicino, che era anziano e malato, a un certo punto è morto. Il suo giardino è andato ancora di più in rovina, vi crebbero i rovi, erbacce che invasero i sette nani. C’era anche una pianta di cachi, era uno spettacolo tutta piena di cachi maturi, che poi cadevano a terra, in testa ai sette nani facendo marciume. Era una tristezza a vedere tutto in rovina. Ora quasi nei miei giri evitavo di passarci davanti per non vedere quel disastro. Oppure davo un’occhiata veloce e subito mi allontanavo.

Finché sulla cancellata del vicino comparve un cartello: un’impresa edile aveva comprato la casa, al suo posto sarebbe sorto un condominio di cinque piani con box sotterranei. Io mi sono chiesto che fine avrebbero fatto i sette nani, perché il giardino spariva, e quelle povere statuette innocenti sarebbero state fracassate dalle ruspe. Non c’è dubbio che per fare gli scavi delle fondamenta sarebbero arrivate le ruspe. E sentivo che dovevo impedirlo. Ero in grande apprensione, mi preoccupavo della fine che avrebbero fatto come se fossero in carne e ossa, cose che mi appartenevano, e sentivo nel mio petto le sofferenze di quei volti, lo sguardo implorante aiuto; e vorrei dire quasi –  se non fosse pazzesco –  i lamenti, le vocine, i pianticelli in cerca di aiuto. Avrei voluto rubarli e salvarli. Ma era un’esagerazione, non potevo comportarmi da mascalzone. Sul cartello però c’era un numero e ho telefonato. La ditta costruttrice era disponibile a farmeli recuperare, a loro non interessavano, sarebbero finiti tra le macerie; però dovevo essere sul cantiere prima dell’arrivo delle ruspe il giorno dell’inizio dei lavori; che avrebbero cominciato ben presto, alle cinque del mattino.

Per me è stato un sollievo, avrei salvato i sette nani, la ditta aveva acconsentito, che difficoltà avrei dovuto avere?

I nipoti del preside in pensione erano attenti, non perdevano una virgola, né una pausa, né un ciglio aggrottato del racconto del nonno. Sapevano già la storia, ma stavano a bocca aperta in trepida attesa del seguito.

La notte prima dell’inizio dei lavori non ho quasi dormito, ero ansioso, temevo che qualche intoppo avrebbe potuto ostacolare il mio progetto. Io sono fatto così, quando ho una faccenda importante che mi aspetta, la notte vado in ansia e non dormo. Mi sono sempre sentito sicuro di me, ma basta un appuntamento, una scadenza, un incontro, e mi viene il cardiopalmo. Però a un certo punto mi sono addormentato, spossato com’ero, di un sonno inquieto ma profondo. Cosicché proprio la mattina dell’inizio dei lavori, quando dovevo essere sul posto prima delle ruspe, ho dormito invece fino a tardi e quando sono arrivato sul cantiere le ruspe erano già in azione, i sette nani erano spariti, il giardino del mio vicino era già un profondo fossato.

Ne ho intravisto uno, l’ultimo, già tra le macerie nella pala della scavatrice che stava svuotando il contenuto nel cassone di un camion. E ho gridato al manovratore con tutte le forze di fermarsi, agitando le braccia; e correndo verso la ruspa che intanto aveva fermato il motore e abbassato quella pala mostruosa, armata di zanne d’acciaio. Ed è questo, Brontolo, ecco, l’unico salvato di tutta quella bella famiglia che abitava il giardino del mio vicino.

Concluse il nonno, indicando la statuetta sulla mensola del camino, a cui mancava mezza testa ricostruita alla meglio, con scrostature qui e là che lasciavano vedere il bianco del gesso, i colori sbiaditi, un buco nel costato a destra; conseguenza, questo, della malagrazia con cui lo trattava la donna delle pulizie che non amava quella statuetta e non si risparmiava a dire che in quella bella casa quel coccio sottratto alla discarica ci stava

proprio male. Però in bella mostra, spolverato, campeggiava, con un centrino ricamato sotto la base.

«Ma nonno, erano statuette di gesso!» Intervenne Sara, la più grande, che voleva dimostrare che sapeva le cose.

«Però uno sguardo è sempre uno sguardo, anche su una statuetta di gesso.» Si difese il nonno.

«Io avrei scavalcato la staccionata per rubarli.»

«Anche io.» Lorenzo e Arianna ebbero entrambi una reazione più spregiudicata.

«Li vedevi camminare anche?» La più piccola, Linda, fece l’osservazione più ingenua, oppure tanto precoce e furba da prendere in giro il nonno.

«Non camminavano, però sentivo che s’arrabbiavano perché non riuscivano a scappare.»

I bambini rimasero senza fiatare, fissavano la statuetta di Brontolo con partecipazione muta, nessun dubbio che quelle disavventure si riferivano ad un manufatto di gesso; neppure avrebbero potuto dire che un torto vissuto sulla propria pelle poteva essere avvertito in modo differente.

E vi posso garantire – aggiunse Amilcare Candreva – che in quell’angolo ci sta bene, lo sento, me lo dice; certe volte è triste, questo sì, perché gli mancano gli altri fratelli e ricorda la fine che hanno fatto. Non è nemmeno imbronciato come di solito è descritto. Poi ancora, alla mia età, in questa grande casa, è l’unica presenza – quando non ci siete voi – che sento vicina e mi fa compagnia.

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2 commenti »

  1. Buon racconto a tratti malinconico e ben scritto. Non ritengo si possa considerare una fiaba per bambini, ma rimane una buona storia.

  2. Piacevolissima storia, che mi ha incuriosito fin dall’inizio, facendomi anche sentire bambina, capace di meravigliarsi e sperare, sperare per il destino di quei poveri nani. Lettura scorrevole, adatta si bambini, e trama originale. Complimenti Michele!

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