Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2019 “Antonio ( la gatta, la finestra, il campo di concentramento)” di Massimiliano Piantini

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2019

Come accadeva spesso, anche quella mattina ero di fretta e mi stavo recando al bar di paese per una colazione frugale. Attraverso la vetrata  lo vidi con il giornale aperto che declamava alla barista e ad un avventore il contenuto  un articolo. Per la verità chi ascoltava non appariva così interessato.

Mi maledissi  pensando che si fosse ancora una volta nel pieno di una discussione politica: gli immigrati,i furti nelle case ,gli scippi tutte cose che nel’ 30, col buon Benito…etc…

Una volta entrato constatai invece che l’argomento questa volta era un altro. A quanto pare la  gattina Fuffi (o qualcosa del genere) era rimasta tanto turbata dalla morte del padrone e tanto erano l’ affetto e la fedeltà nei suoi confronti, che ogni giorno Ella si recava sulla tomba dell’estinto e invano ne attendeva il ritorno. Insomma una di quelle notiziole, verosimilmente inventate per vendere qualche copia in più a dei deficienti o per riempire qualche buco nel palinsesto: tipo cuccioli di foca rimasti orfani in uno zoo del Michigan , mamma leopardo che allatta l’ultimo cucciolo di rinoceronte albino inappetente , un coro di delfini che canta il Nabucco. Subito pensai qualcosa come:” ma in una società in piena decadenza, sull’orlo di un medioevo digitale c’è della gente che si appassiona a simili stronzate !”

Ma pareva proprio che per Antonio, l’oratore, la questione fosse di cruciale importanza e continuava a leggere ad alta voce cercando di conferire alla vicenda tutto il pathos che secondo lui meritava, incespicando qua e là sulle parole come un bambino di fronte al pensierino, non so se per il turbamento emotivo,  la disabitudine al leggere o una marcata presbitemia. Difatti teneva il giornale lontano da sè e strizzava gli occhi. Cazzo! A novant’anni sonati comunque leggeva senza occhiali, lavorava dalle sei di mattina alle sette di sera e, se avesse avuto tra le mani una ventenne, probabilmente non avrebbe fatto una figuraccia! Si manteneva bene , su questo niente da eccepire.

Finita l’orazione chiuse il giornale e si guardò un attimo intorno per vedere l’effetto sortito sugli ascoltatori. Probabilmente si aspettava lacrime sincere o  segni evidenti d’approvazione. Invece: indifferenza totale camuffata da  interesse di circostanza. Così esordì:

<<è incredibile! A volte gli animali….Meglio dei Cristiani…>>

” Ci vuol poco ! ” pensai.

<<…anche io c’ho tre gatti in casa  e una secondo me…>> e disse il nome << lo farebbe anco lè di venì al camposanto  a trovammi!>>.

Dissi qualcosa rimarcando il fatto che sembrava un accadimento insolito, proprio più di un canide che di un felino, mi smarcai abilmente, trangugiai il caffè, pagai, salutai e scappai come uno che ha una gran fretta.

 

Antonio ebbi modo di conoscerlo qualche anno prima, poco dopo che comprammo casa proprio nel centro del piccolo borgo. Dovevamo togliere la carta da parati, imbiancare e trasferirci . In realtà finimmo per demolire e ricostruire la casa una volta constatato che la tappezzeria in vari punti aveva la funzione di struttura portante… Ma questa è un’altra storia. Vi basti sapere che la casa era devastata, c’erano calcinacci  ovunque ed  io avevo iniziato dapprima a fare da manovale per i muratori che avevamo  reclutato e poi decisi  di portare avanti da solo quasi tutti i lavori.

Avevo da poco finito di tirar sù, non senza difficoltà e qualche sagrato, il mio primo muro: una parete secondaria con una larga finestra interna che separava quello che sarebbe stato il bagno dall’ingresso. Era quindi la prima cosa che si vedeva una volta varcata la soglia. Ero piuttosto soddisfatto: il risultato non era perfetto, ma del tutto accettabile e sopratutto l’avevo spuntata nella lotta con quegli attrezzi e quella materia per me del tutto sconosciuti fino al mese prima.

Che agli anziani piaccia girare per i cantieri è cosa banale e risaputa,  ma  soprattutto non è solo uno stereotipo campato in aria, per lo meno secondo la mia esperienza.

Difatti eccolo che si presenta con un “permesso?” di circostanza, scavalca un mucchio di detriti e entra. C’ero  abituato,  non era certo l’unico vecchio del paese. Si può dire che lo stavo aspettando. Io ero con le spalle alla porta che rimiravo l’opera . Lo sentii e sicuramente alzai gli occhi al cielo sapendo che avrei perso un altra mezz’ora, quindi mi voltai e dissimulando dissi:

<<Salve,avanti!>>

<<Lo sai che questa casa la conosco come le mì tasche! C’è nata anco la mì moglie…>>, disse credendo così di aver in tal modo completamente giustificato la propria presenza sul cantiere.

“Ti pareva…” pensai.

<<Questa porta l’ho fatta io e là mi ci rimpiattavo con la mì moglie a fare le cosaccie! >>

<<Ma davvero?>>  ribattei quasi interessato.

Poi si fermò sulla porta e fissò lo sguardo sulla finestra appena costruita, quasi come un santone in trance. Dopo un pò che se la guardava e riguardava, ormai sicuro di ciò che stava per dire, mi fece notare che una spalletta, “a voler essere precisi!”, non era proprio così ortogonale ( naturalmente usò un altra accezione) con la base. Ribattei che a me non pareva e, già alquanto seccato, che,  se fosse stata perfettamente diritta, forse sarebbe stata l’unica cosa ortogonale di tutta la casa.

<< Sì, ma l’ingresso è un pò la presentazione di tutta la casa…>> e così via , ribatté, ma sempre con la massima educazione.

A un certo punto si congedò e  mi rimisi al lavoro non senza una punta di nervosismo.

Dopo un quarto d’ora eccolo che si ripresenta armato di metro e livella.

Si mise subito all’opera.

Mantenni la calma fra il divertito e l’esasperato.

<<Vedi? Qui c’è quasi un centimeto, 0.8mm in più!>>

Mi avvicinai e constatai la veridicità dell’asserzione.

<< Spero che i miei ospiti si presentino con una bottiglia di vino e non con compasso e livella a trovarmi ! >> cercai di cavarmela con tono scherzoso e mal celando insofferenza.

Alla fine parlammo anche d’altro, ci salutammo e quindi se ne andò e per quel giorno non si ripresentò, lasciandomi con la mia finestra e i miei pensieri.

Tornò diverse volte a  dispensare consigli e a constatare (livella alla mano!) l’avanzamento e la decente riuscita dell’ opera e voglio anche dire che mi presi qualche soddisfazione su strutture che a lui parevano storte ma si rivelarono belle diritte , visto che , conoscendo i tipi che mi giravano in casa in quel periodo, mi ero ben premurato di controllare e ricontrollare con la massima attenzione.

Alla fine avevo  quasi superato la diffidenza  e l’astio verso di lui e altri simili personaggi. Mi ero reso conto che la mentalità e il modo di porsi della gente del paese e soprattutto degli anziani, potevano apparire distanti e talvolta anche  deprecabili per uno abituato a farsi gli affari suoi in periferia. Ma non ci si poteva trasferire in un paesino di campagna  e dall’ oggi al domani fare la guerra a tutti. La mia compagna ed io optammo così per la linea morbida: cordialità ma circospezione, in attesa di discernere nel tempo chi meritava stima e amicizia, coloro che andavano educatamente evitati, quelli davvero troppo “particolari” o invadenti da tenere il più possibile alla larga.

 

Era un periodo che Antonio mi cominciava a stare simpatico, sennonché la finestra era diventata un vero tarlo per lui e probabilmente non ci dormiva la notte… Me lo vedo mentre delira madido di sudore: <<noo!…la livella!..la livella! qualcuno mi passi una livella!>>, ma la livella in realtà si affloscia come un orologio di Dalì… Poi la livella è un serpente… Vorrebbe gridare ma ora è in laboratorio che pialla un pezzo di legno… Si affanna e dalla pialla non escono trucioli ma panna montata… O forse cotone?… Si sveglia sconvolto.

Non so se fu proprio un sogno rivelatore che gli indicò la strada per raddrizzare quella maledetta finestra, fatto sta che un giorno mi disse: <<lo sai che io ero falegname! Se vuoi posso farti il telaio e la cornice per quella>> ( ed entrambi sapevano quale ) << finestra?>>

Considerando che i soldi scarseggiavano , che Antonio poi alla fine si stava rivelando una brava persona e che si sarebbe potuto offendere davanti ad un diniego, esitai un attimo ma  accettai.

Ebbi  subito la sensazione di avere commesso un fatale errore. Mi prese infatti il sospetto che fosse una tattica per riuscire a  mettere le mani  sulla vituperata opera , ma prima ancora che potessi fermarlo se ne era già andato a raccogliere l’occorrente per prendere le misure.

Ero sulla soglia che lo guardavo allontanarsi e un brivido mi corse lungo la schiena. Guardai il cielo. Gli uccelli apparivano nervosi e volavano in modo caotico. Lo sguardo mi sgusciò in terra : sul pianerottolo uno scarabeo stercolaro si era capovolto e si agitava nervosamente mentre una mantide albina  gli si avvicinava con malvagie intenzioni.Rigirai lo scarabeo, allontanai il predatore, entrai e chiusi il portone. Non si preparava proprio nulla di buono…

Tornò il giorno successivo a prendere le misure, non mancò di farmi pesare nuovamente l’imperfezione  della spalletta e intanto raccontava di tutti quei lavori ben riusciti che aveva portato a termine e di quanto gli piacesse fare le cose per bene fin nei piccoli dettagli. Io, che già immaginavo dove volesse arrivare, facevo finta di ascoltare e chiosavo ogni vicenda con parole a caso badando a non contraddirlo per nessuna ragione. In realtà prestavo la massima attenzione ai suoi gesti, sbirciando poi sul taccuino per assicurarmi che le misure fossero corrette e non facesse scherzi. Tutto filò liscio, le misure erano esatte e  non vi nascondo che mi sentii pure in colpa per aver pensato male.

 

Intanto i lavori erano quasi terminati, avevo finito di intonacare , mio suocero aveva appena imbiancato  e stava ultimando l’impianto elettrico, l’idraulico stava posizionando i rubinetti nel bagno, accucciato sotto la famosa finestra.

Arriva Antonio con il telaio nuovo e luccicante. Entra. Ci salutiamo. Noto che vorrebbe dirmi qualcosa, ma ci ripensa, abbassa lo sguardo  e mi sorpassa accentuando la fatica provocata dal carico. Sto già sul “chi va’ là ‘”. Eccolo che posa il telaio e con disinvoltura mi informa :<< …Poi l’ho fatto bello diritto…>>.

L’ira  mi monta dai piedi fino ai denti che comincio già a digrignare. Mi trattengo. Forse stavo saltando a conclusioni affrettate dettate dal pregiudizio. Così indago meglio:

<< Ah!? l’hai fatta diritta sulla misura più piccola! Così con un po di stucco si può…>>

<<No,no!>> mi interrompe << l’ ho fatta diritta come deve essere, non mi riesce di fare i lavori imprecisi! >>.

Scacco matto!

Riesco a domarmi e con  educazione ma estrema fermezza gli faccio presente che in quel modo il telaio non ci sarebbe entrato…

Era già sgattaiolato in macchina e mi si ripresenta, lui piccolo e magrolino, con un grosso arnese chiamato mola che egli stesso sorreggeva a stento. Sembrava un bambino che imbraccia un Kalashnikov .

Dovete sapere che la mola è un attrezzo dotato di un disco rotante atto a tagliare o levigare il ferro o a dividere mattonelle, pietre e cemento. E’ noto che, nell’eseguire tali operazioni, non si può fare a meno di provocare una cospicua quantità di polvere (in questo caso mattone polverizzato) , la quale inevitabilmente si manifesterà sotto forma di nuvola demonica per poi depositarsi, con un velo uniforme , nella zona circostante. Una cosina divertente da fare in  un ambiente chiuso.

“Questo è un folle! ” pensai ” ma niente è perduto! Attraverso un sillogismo ben espresso, gli farò capire che l’idea (seppur  apprezzabile) è del tutto fuori luogo, viste le circostanze”.

Iniziò dunque una guerra di volontà che si scontravano secondo le regole della buona educazione.

<<Vedi Antonio… >> esordii << siamo  in dirittura d’arrivo, domani vengono i vigili a constatare la residenza, poi l’ impianto elettrico, i sanitari, l’imbiancatura…>> .

Niente!

<< Che voi che sii un pò di polvere, dopo spazzi!>> replicò.

<<Ma ne verrà fuori un pò troppa forse? >>

<<Ma no! solo un pochino. Lì in terra!”.

Ero disperato e giocai l’ultima carta :

<< se lo faccio io viene fuori un polverone…>>

In questo modo rimanevo correttamente  modesto ma lasciavo intendere che conoscevo l’attrezzo. << …Se tu pensi di riuscire a farlo senza fare polvere fai pure!>> continuai.

In tal modo  lo sovraccaricavo di una tale responsabilità che non avrebbe mai e poi mai accettato. Geniale!

Macchè! Probabilmente la prese come una sfida. Ormai niente poteva fermarlo. Era sul fronte, ad un passo dall’obbiettivo. Gli occhi spiritati mi attraversavano e vedevano solo l’agognata finestra. Solo io adesso rappresentavo l’ultimo ostacolo fisico.

Temetti per la mia vita.

La mola per fortuna era scollegata, altrimenti forse mi avrebbe tagliato di netto la testa.

<< Ci penso io!>> disse con volto serio.

Arretrai vigliaccamente ( addio montagne Ticinesi! ) e  mi feci da parte.

Assistetti all’inserimento della presa come ad un funerale. Pensai  persino  di tramortirlo con una bottiglia di birra  alle spalle! Mi guardai intorno: nessun oggetto contundente.  Lo osservai mentre, come al rallentatore, si accingeva a sezionare la parete. Pensai anche : “e se dopotutto egli è provvisto di un abilità a me ignota? Alla fine è anziano, ne saprà più di me!” . Così aggrappandomi a quella flebile speranza persi l’ultima occasione per fermarlo.

Maledetta modestia! Maledetta correttezza concettuale! Maledetta considerazione paritetica dell’ interlocutore! Quante volte per colpa vostra ho assisto a degli scempi annunciati!

E così fu, anche in quell’occasione.

Una tempesta marziana si diffuse in tutta la casa: non si vedeva a un metro. Il Nulla infine aveva varcato le porte di Fantasia per entrare in casa mia! un disastro inenarrabile! Nel frattempo mi scordai di avvertire la gente in casa che prese a uscire tossendo e lacrimando dalla porta come in una evacuazione forzata con gas lacrimogeni.

La prima fu Rossana che usci fuori incredula con ancora in mano il cencino con cui stava pulendo gli angoli più difficili da raggiungere. Poi suo padre, urlando e poi l’ idraulico, tale Ciaccio, che sovrastava tutti offendendolo e  bestemmiando come un indemoniato.

Visto che la mamma di Rossana è catechista,  suo marito, uomo precisissimo e minuzioso nei lavori, si sarà ben  abituato a tenere un contegno verbale in tanti anni di convivenza ?! Ma quello che  uscì da quella bocca non mi è dato qui di ripetere. Tutti abbandonarono così le postazioni mentre il fumo rosso usciva dalla porta e si disperdeva nell’ atmosfera.

Ma Antonio no! Poteva dunque egli mollare? Giammai!  ” Se avanzo seguitemi! Se arretro uccidetemi!”. Era ancora alle prese con quella finestra, incurante della silicosi imminente quando io, in un eccesso d’ira, decisi di allontanarmi in macchina sgommando per non usare violenza su un innocuo ( si fa per dire!) vecchietto.

La batteria era però a terra e l’auto non ne voleva sapere! Così,  come una madre che compie uno sforzo sovrannaturale per liberare il figlioletto dalle macerie, aprii lo sportello, misi in folle, puntai il sinistro in terra e spinsi il volante con tutta la forza che avevo e anche con quella che non avevo. Funzionava! L’auto prese a muoversi e in breve guadagnai la discesa poco distante. Rientrai alla svelta ,chiusi la portiera, misi in seconda avendo cura di tenere premuta la frizione, acquistai velocità e quindi lasciai andare la frizione. La macchina si accese e mi allontanai rombando. Vidi poi Rossana nello specchietto retrovisore che mi faceva cenni e urlava qualcosa. Probabilmente temette che fosse un tentativo di suicidio e che volessi andare diritto al tornante lasciandomi precipitare giù dalla scarpata. La ignorai,  presi la curva e mi diressi al bar a bere.

Il mio onore era salvo!… e anche Antonio.

Lo stesso non può dirsi di casa nostra. Quando ritornai mi si presentò uno scenario post atomico.

Tutto era cosparso di un sottile velo di polvere rossa che in parte si era depositato anche sui muri. Rossana, che aveva messo via il cencino e spazzava, con un canovaccio legato dietro il collo che le copriva la bocca, sembrava Calamity Jane in procinto di assaltare una diligenza. Mi informò che, incredibilmente, Antonio non si era reso conto del pandemonio che aveva suscitato e se ne era andato senza accorgersi degli improperi e delle offese dell’ idraulico  e del suocero, che nel frattempo si erano dileguati dal nervoso. Inoltre gli aveva inventato che io ero andato in ferramenta a comprare dei chiodini.  Anche le apparenze erano salve.

Devo dire che , ancora oggi, durante operazioni di pulizia particolarmente minuziose in certi angolini ben nascosti,  trovo dei residui di polvere rossa e mi torna in mente tutta la vicenda.

I giorni successivi furono quindi dedicati alla pulizia e al lavaggio dei muri, terminammo gli ultimi lavoretti e per fortuna i vigili si presentarono solo parecchi giorni dopo per il controllo della residenza.  Fu così che l’appartamento  tornò abitabile e ci trasferimmo definitivamente e se un giorno avrò il piacere di avervi come ospiti in casa nostra sono sicuro che la prima cosa che noterete varcando la soglia, sarà l’indiscussa e abbagliante  perfezione della nostra finestra.

 

Qualche mese dopo mi affacciai alla porta e vidi Rossana sulla curva in fondo alla discesa in compagnia di Antonio. Guardavano il panorama e chiacchieravano .  A un certo punto Rossana gli appoggiò la mano su una spalla, si congedò e prese la strada di casa. Io rientrai e l’aspettai incuriosito.

Entrò in casa sconvolta e con  gli occhi arrossati: <<Ma lo sai che qui c’era un campo di concentramento?>>

Scossi la testa: << Ma dove? >>

<< Giù!…alla Badia! >>

<<Sei sicura? >>

<< Me lo ha detto Antonio, lui ci deve essere stato! Mentre me ne parlava si è messo a piangere e non ce la faceva neanche a continuare.>>

Restammo un minuto a pensare, poi dissi per sdrammatizzare: <<Zingaro non è!>>

Rossana, adesso sorridendo: <<Neanche negro! >>

<< Sarà mica Ebreo>> proposi con poca convinzione.

Ci guardammo e scuotendo la testa : <<Nooo!>>

Il dialogo cominciava a divertirci: <<Finocchio non mi sembra!>>

<<Neanche storpio! >>

<< Avrà rifatto una finestra a qualche gerarca fascista? >>

Ridemmo, poi restammo qualche minuto a pensare. Che ci volessimo credere o meno, non restava che una possibilità:  Antonio era un partigiano o quantomeno un prigioniero politico!

Già lo vedevamo  sotto una luce del tutto nuova e si era conquistato un certo rispetto, così quando lui e sua moglie  ci invitarono a cena, accettammo di buon grado, se non altro per indagare meglio.

 

Appena entrammo in casa di Antonio capimmo che qualcosa non quadrava. Il salotto era costellato di foto, quadri e suppellettili riferiti al ventennio! Ci guardammo senza poter commentare. Beh, è possibile che fosse una maniera per non dimenticare la brutalità di quell’epoca: dopotutto si deve tener viva la memoria per evitare che uno scempio del genere si ripeta!

Cercavo disperatamente un indizio che  riconducesse al suo passato di partigiano o di attivista: una foto con la brigata, o che so , un manifesto del fronte di liberazione nazionale ( mi sarei accontentato anche di una foto di don Sturzo  o di una bandierina americana), quando ci chiamarono a tavola.

Lasciammo passare dieci minuti tra convenevoli e antipasti, ma solo una cosa ci tormentava: il desiderio di sapere. Rossana ruppe per prima gli indugi e con estrema naturalezza, quasi con disinteresse, come se chiedesse di passarle la maionese:<< Così Antonio come mai eri nel campo di concentramento?…eri partigiano?>>

Scattò in piedi con gli occhi spalancati e  menando in aria l’indice :

<< Io? Nel campo di concentramento? Partigiano?… il Campo di concentramento?! … L’ho costruito io!….”

In pratica il bastardo aveva pianto , non per l’abominio compiuto dalle truppe nazifasciste, non per i morti,  lo sterminio,  gli anni di stenti e sofferenze dovuti alla guerra, la spietatezza del regime, no!

Il bastardo piangeva perchè il campo di concentramento gli ricordava i bei tempi andati, gli anni felici, la gioventù fuggita (giovinezza! Giovinezza! Primavera di bellezza!).

E così insieme a quella rivelazione apprendemmo  quanto erano educati e cordiali i soldati tedeschi e quanto vigliacchi e meschini i partigiani che provocavano le rappresaglie, come aveva piacere di lavorare per  gli invasori e di informarli per benino e tante altre belle cosette che ancora mi sale il vomito a riportarle tutte.

Adesso avevamo almeno tre possibilità: ribaltare la tavola e lanciarsi in un’anacronistica lotta tra fascisti e antifascisti, in cui una delle parti in causa era costituita da indifesi ottuagenari; ingaggiare un’aspra contesa verbale che si sarebbe conclusa con l’abbandono della mensa; glissare abilmente.

Tacitamente optammo per quest’ultima e fu Rossana a cavarci dall’ impiccio:

<< Antonio, ma tu quanti anni hai?… Ma li porti benissimo!… Buoni questi tortelli, sono fatti in casa? >> …

Così arrivammo al momento del caffè. Antonio cominciò a decantare la sua abilità nella preparazione di tale bevanda e a informarci di quanto fosse rinomato e forte il suo caffè, mentre io sperai sinceramente che non si trattasse di cicoria tostata.  Quindi prese il barattolo sopra lo scaffale, si diresse verso la macchina dell’espresso e cominciò a zeppare il gruppo di erogazione. Non so come ci sia  riuscito ma vi assicuro che ci infilò dentro tutto il barattolo. Ma d’altra parte cosa possono le leggi della fisica e la materia inerte davanti alla risolutezza dell’italico braccio? Ormai la quantità di materia accumulata nel filtro aveva raggiunto una densità inimmaginabile e si stava creando un piccolo buco nero all’interno della cucina. Già gli oggetti più leggeri della stanza erano sul punto di essere risucchiati  dalla forza gravitazionale del filtro e la linea spazio temporale stava per flettersi quando finalmente si decise a inserire il gruppo, che aveva assunto un peso specifico vicino a quello dell’uranio, nella macchinetta.  All’avvio il rumore che si manifestò fu straziante. Se potesse una macchina piangere lo farebbe con quelle frequenze! Tememmo per  la fusione del nocciolo, ma fummo risparmiati per quella volta. Fu uno stillicidio. Goccia su goccia in un silenzio trepidante. Dopo un quarto d’ora assaporammo il rinomato caffè…  Inevitabilmente freddo!

Non erano ancora le nove e un quarto che uscimmo a riveder le stelle. Eravamo stati molto abili nell’accampare scuse, solo che quel caffè ci insidiò il sonno per diverse notti successive.

 

Antonio morì qualche mese dopo che lo incontrai al bar col giornale e provai un sincero dispiacere. Posso dire  con una certa sicurezza che la sua gatta non andò mai a fargli visita al cimitero o per lo meno nessun quotidiano ne ha mai fatto menzione finora.

 

Da questo breve racconto si potrebbero ricavare alcuni consigli.

Primo: quando fate dei lavori in casa abbiate premura di chiudere bene la porta d’ingresso o quantomeno installate gli appositi cartelli che tengano alla larga gli estranei.

Secondo: se siete estremamente sicuri di qualcosa, non lasciate campo libero agli altri, nessuno vi ricorderà per la vostra modestia o per la vostra correttezza metodologica .

Terzo: semmai vi prendesse il malsano desiderio di aver vicino il vostro gatto una volta trapassati, vi faccio presente che si tratta di un’ambizione stupida e del tutto insensata e che  non è nella natura del felino la fedeltà e la dedizione verso il padrone.

Comunque, se proprio ci tenete  a volerlo vicino, vedete di farlo impagliare e posizionare sulla lapide oppure, se proprio non gli volete usare violenza, fatevi cremare e sistemare in un urnetta sopra il camino: vedrete che risparmierete del denaro e il gatto sarà ben lieto di tenervi compagnia nelle fredde notti d’inverno…soprattutto se il camino sarà acceso.

Quarto: se davvero volete esprimere un desiderio riguardo la vostra dipartita e l’ animaletto domestico, chiedete almeno di morire dopo il vostro gatto: guadagnerete qualche giorno e lascerete alla bestiola il beneficio del dubbio riguardo la sua devozione nei vostri confronti.

Da ultimo mi sento di dover delle scuse a Beppe Fenoglio, che  in “Una Questione Privata” ha scritto una  delle più belle pagine di letteratura antifascista.  Mi riferisco al punto in cui fa dire a un vecchio che parla con un partigiano :

“Con tutti voglio dire proprio tutti. Anche gli infermieri, i cucinieri, anche i cappellani. Ascoltami bene ragazzo. Io ti posso chiamare ragazzo. Io sono uno che mette le lacrime quando il macellaio viene a comprarmi gli agnelli. Eppure, io sono quel medesimo che ti dice: tutti, fino all’ultimo, li dovete ammazzare. E segna quel che ti dico ancora. Quando verrà quel giorno glorioso, se ne ammazzerete solo una parte, se vi lascerete prendere dalla pietà o dalla stessa nausea del sangue, farete peccato mortale, sarà un vero tradimento. Chi quel gran giorno non sarà sporco di sangue fino alle ascelle, non venitemi a dire che è un buon patriota.”             .

Sappiamo tutti come è andata a finire.

Bene, confesso che ho peccato: abbiamo familiarizzato con dei fascisti anche se all’inizio non lo sapevamo, ma sinceramente non so se questo avrebbe fatto qualche differenza.

Ecco, io non ce l’ho mica con nessuno… Ce l’ho con voi che non avete portato a termine il lavoro e adesso ci avete messo nella condizione di dover condividere il tempo e lo spazio con gente che ha responsabilità  più o meno gravi, anche solo per aver appoggiato  simili  atrocità e che ancora, come se niente fosse ,calpesta questo mondo, mangia, conversa, ride, prepara il caffè e magari te la ritrovi in casa a polverizzarti una finestra. Scusate, ma proprio non mi riesce di provare astio e rancore verso quelli che appaiono come innocui vecchietti, così, inevitabilmente, finisco anch’io col far finta che niente sia accaduto.  Per colpa vostra non riesco più a guardare un pensionato con la serenità o il rispetto che gli sarebbero dovuti e contemporaneamente mi appare fuori luogo odiare qualcuno a distanza di anni per vicende che neppure ho vissuto.

Ma guarda tu se si deve lasciare ai gatti l’ingrato compito di mantenere per noi una certa coerenza!

 

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4 commenti »

  1. Racconto che nasce molto leggero, con qualche elemento di sana ironia. Sul finale si fa più serio e spinge a riflettere sul fatto che ogni dittatura non sarebbe possibile se non si incontrasse con la partecipazione convinta di una parte della popolazione che la sostiene o anche semplicemente con il lassismo e l’indifferenza di larghe fette della società civile.

  2. Ho dovuto leggere più volte e con concentrazione e non riuscivo a spiegarmi il motivo perché la scrittura è ottima. Il titolo un po’ come (la strega il leone e l’armadio) è ben rappresentativo del contenuto. Una storia tutto sommato semplice, dove ci sono vari momenti di colori diversi. Nostalgia, malinconia, divertimento, rabbia, emozione, riflessione, contraddizione, amicizia, ricordi di famiglia, vita di paese, insomma una tavolozza complessa come è complesso l’animo umano. Mettere il focus in alcuni dettagli (peraltro con descrizioni efficaci) mi ha fatto perdere di vista l’insieme. Forse perché cercavo un filo conduttore che non è detto che ci fosse. Comunque complimenti, i limiti sono del lettore.

  3. Ciao Monica,
    il filo conduttore è il appunto Antonio, alla fine parlo solo di lui, seppur visto e giudicato dall’io narrante Semmai il titolo può generare un pò di confusione ed infatti la parentesi l’ho aggiunta solo per suscitare curiosità verso un racconto un pò più lungo rispetto agli altri in concorso e che ha un finale serio e inaspettato. Non è che volessi arrivare da qualche parte ma solo descrivere un personaggio realmente conosciuto (anche se in minima parte romanzato), i giudizi e ei sentimentii da lui suscitati…

  4. In questo ci sei riuscito perfettamente! Comunque molto bravo, complimenti.

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