Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2019 “Un sabato qualunque” di Andrea Polini

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2019

Stupido. Stronzo. Sfigato. Tre epiteti, neppure tra i peggiori, apparsi sui social riguardo Andrea. Non è che uno mette al mondo un figlio per vederlo trattare così. O, talvolta, per sentirgli dire che i cosiddetti bulli sono passati dalle parole alle vie di fatto dentro un’aula scolastica. Certo, vedo anch’io che Andrea non è bello, non è brillante, non va bene a scuola. Ma chi lo deride ha poi queste qualità? O non ha che la vecchia cattiveria che spinge l’uomo a rifarsela con chi è un po’ più debole per riscattarsi dalle proprie frustrazioni? Sono sicuro che riguardo Andrea le cose stiano così, ed internet e i suoi social non siano che strumenti al servizio di una rabbia atavica.

Ed oggi, in questo Occidente così decaduto nei beni e nei valori, non mancano i risentimenti e per converso le loro vittime sacrificali. E quando passo da qui, come quasi ogni sabato, davanti a questo palazzo più alto e più moderno delle case circostanti, palazzo che nella mia fantasia di bambino e di adolescente faceva tanto America, la mente corre all’undici settembre di diciassette anni fa, quando al momento del crollo delle torri simbolo di New York e dell’America stessa mi trovavo proprio in un appartamento di questo palazzo per aiutare mio padre nel suo lavoro di imbianchino. C’era da tinteggiare l’intero appartamento perché cambiava l’inquilino, e invece quel giorno cambiò la storia. Crollavano le torri simbolo di quell’America ricca e luccicante che faceva sognare, pure se il suo sfarzo non era certo per tutti.

E continuando a camminare in questo quartiere di periferia illuminato dalla modesta luce dei lampioni mi domando se l’inizio del crollo di quell’America ricca e luccicante e dell’Occidente che a lei faceva capo non sia iniziato invece due decenni prima, quando prendeva corpo l’era della cosiddetta globalizzazione, che poi altro non era che lavoro che se ne andava, il triste fenomeno che avremmo conosciuto più tardi col termine di delocalizzazioni.

Mi avvio verso la zona più trafficata del quartiere, ora incrocio anche più pedoni, come me incuranti del freddo, e soprattutto più macchine, specie nella vasta piazza vicino l’ospedale. Vetrine illuminate contornano i platani che sorgono al centro della piazza, in alcuni negozi scorgo da lontano un affollamento che sembra riaffiorare da altre epoche. Poco dopo l’incrocio tra la piazza e una delle strade principali della zona staziona il giovane senegalese che da qualche tempo lì vende accendini, fazzoletti di carta e pochissimo altro, proprio di fronte le vetrine della pasticceria. Mi saluta con un sorriso e un “come stai?”, d’altra parte ormai mi conosce, vengo qui quasi ogni sabato. In vetrina una morbida luce avvolge presepi di cioccolata arrampicati sulla sommità di panettoni dall’aspetto invitante. La porta a vetri automatica si apre ed entro nel negozio, subito prendo il numero e sento la commessa mora chiamare il settantacinque.

Guardo il mio bigliettino. Ho venti clienti davanti, e più o meno lo stimo anche ad occhio. Resto vicino la porta scorrevole, tra me e il banco un paio di file di uomini e donne di tutte le età. Qualcuno fa spese importanti, senz’altro regali per le feste imminenti. A mano a mano che i clienti sono serviti e sfollano riesco a vedere le leccornie disposte dietro il vetro del banco, e davanti ad esso la fila di panettoni, ricciarelli ed altri dolci di stagione confezionati con motivi natalizi.

Una commessa chiama il mio numero. <Giovanni, tre diplomatici, al solito?> fa, sapendo cosa di solito acquisto quando vengo qui il sabato.

<Sì, al solito,> faccio io con l’accenno di un sorriso, e lei svelta e ordinata dispone i diplomatici in un vassoietto di cartone color oro. Mi consegna una tessera magnetica col logo della pasticceria, vado a pagare alla cassa e torno al banco con lo scontrino.

<Grazie. Ciao, Giovanni, a sabato prossimo,> fa la solita commessa mentre mi porge le paste incartate in un foglio color crema punteggiato anch’esso dal logo della Casa.

<A sabato. Ciao,> rispondo io, e intanto che mi avvio verso la porta mi do un’occhiata attorno e mi sembra che nel negozio i clienti già serviti siano stati sostituiti già da almeno altrettanti avventori. Sul marciapiede passo di nuovo davanti la vetrina dove una decina di Gesù, Giuseppe e Maria di cioccolato osservano dal loro mondo di dolcezza il via vai sulla strada. Il ragazzo di colore è ancora lì con le sue poche cose che quasi nessuno compra. “Ciao, capo, come stai?” mi domanda, e intanto sorride. So che fa così per accattivarsi la mia simpatia, spera che gli compri qualcosa. Penso che nel mondo c’è sempre qualcuno che sta peggio di te. Io imbianchino mezzo disoccupato che compro tre paste a settimana, tre euro di spesa, per me, per mia moglie e per mio figlio, mi sento quasi un privilegiato.

Io che, figuriamoci, mi concedo questo piccolo lusso con i soldi di mia moglie, del suo lavoro interinale come donna delle pulizie. Non compro niente, ma prendo nel portafoglio cinquanta centesimi e li do al ragazzo. “Grazie, capo,” fa lui, e sorride. Non mi sembra invero buona cosa che qualcuno stia davanti i negozi quasi ad elemosinare, e a dirla tutta l’Italia ha offerto una vita dignitosa a ben poche persone venute da fuori, anche quando si cullava in una ricchezza che però aveva i piedi d’argilla, era soprattutto illusione. Mi tornano in mente gli epiteti offensivi rivolti a Andrea postati sui social. Stupido, stronzo, sfigato.

Non so come si sente chi scrive queste cose. A me invece quei miseri cinquanta centesimi dati a chi sta peggio mi fanno felice.

Loading

2 commenti »

  1. Una verità amara, decadente e terribilmente attuale. L’avrei intitolato 50 cent di felicità … la verità fa male, ma ben venga se fa riflettere sui valori importanti. Complimenti hai uno stile narrativo asciutto, che arriva dritto al punto.k

  2. Ci sono immagini, scorci di vita che ci fanno riflettere e ridimensionare i nostri problemi. Ci auguriamo che anche Andrea un giorno raggiunga la capacità di riflessione del padre, che si senta fortunato e non profondamente toccato da sciocchi commenti di sciocchi ragazzi. Mi piace come l’acquisto di tre paste sia diventato il pretesto per fare un viaggio nei problemi altrui, e anche come hai chiuso il cerchio con l’inizio del racconto. Bravo, complimenti!

Lascia un commento

Devi essere registrato per lasciare un commento.