Premio Racconti nella Rete 2019 “Questi fasci di luce” di Francesca Lucrezia Straziota
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2019E’ una bella giornata di novembre e il sole splende alto nel cielo. I suoi raggi colpiscono la vetrata antistante alla mia stanza, illuminando anche tutto ciò che c’è accanto a me. Come faccio a saperlo? Non serve soltanto vedere con gli occhi, quanto riuscire a sentire il calore delle cose.
“Cosa è cambiato dall’incidente, signorina Gaia?”
“Davvero tutto. La vista non è poi così scontata e quel bianco perennemente piantato dinanzi agli occhi dopo un po’ inizia a stufarti, ma se sei fortunata e ti trovi dell’umore giusto, può anche incuriosirti e portarti a vivere nuove esperienze”.
“Che tipo di esperienze?”
“Le interessa la mia completa sincerità? Le riferirei delle parole che, in un certo senso, lei potrebbe attribuire a uno stato mentale non del tutto in ordine”.
“Certo, mi dica pure, in totale libertà, non si senta giudicata”.
“Questi fasci di luce… Sono giorni che non mi lasciano per un solo secondo. Si rincorrono, si susseguono e spesso si divertono a ridisegnarmi il mondo, a scomporre ogni oggetto nelle sue minime parti e poi a ricomporlo in nuove forme. E’ tutto molto diverso quando vedi gli stessi oggetti attraverso un filtro, quando ti sembra di riuscire a guardare all’interno di un tubo di cui non riesci a delineare le dimensioni, lo spazio, la fine. Sai che c’è, la percepisci, la intuisci…magari non c’è, ma ci fantastichi su e staresti ore e ore a tentare di raggiungerla per tornare all’ambito premio: la luce”.
Solo dopo qualche minuto, mi rendo conto di essermi dimenticata di rifiatare durante il racconto. E’ strano tutto quello che mi sta accadendo, ricordo a malapena la dinamica dell’incidente: un’auto in corsa spunta all’improvviso tagliandomi la strada e vedo pezzi di lamiera schizzare in aria ovunque fino a che un qualcosa di molto più pesante colpisce dritto i miei occhi. In pochissimo tempo, sento l’auto pirata ripartire, dolori lancinanti agli occhi, poi avverto le sirene dell’ambulanza, le urla dei passanti, infine il nulla.
Saranno passati dei giorni e pian piano trovo la forza di alzarmi. Sono finalmente sola, spalanco la finestra. Mi è sempre piaciuto restare affacciata e sentire il vento che scompiglia dolcemente i capelli mentre il sole bacia teneramente la fronte. Sospiro. Non avrei mai immaginato nulla di tutto ciò, soprattutto non a me.
Un’orda di gente frequenta da un po’ la mia stanza di ospedale: lo psicologo, l’ispettore di polizia, i miei fratelli, il personale medico e paramedico, tutti che cercano di indagare sull’accaduto e di comprendere la dinamica dell’evento. Tutto completamente inutile. Non parlo così perché sono una cinica ingrata, bensì perché a nessuno di tutti questi grandi luminari viene in mente di sapere realmente come sto e non parlo dell’aspetto psico-fisico, ma di quello umano. Mi sento tremendamente sola, proprio perché sono circondata da tantissime persone che si preoccupano di tutto tranne che dell’essenziale per me. Camminano avanti e indietro, ma non mi vedono. E poi si ha il coraggio di dire che quella che non vede sono io! Quanta gente crede di essere qualcuno, di poterti aiutare senza saperti neppure guardare! Non ho bisogno di tanti spettatori indifferenti e spesso ipocriti, ma di una sola persona che si preoccupi di non posare lo sguardo distrattamente su di me come se fossi un numero, come se fossi solo quello che mi è capitato.
Tante volte mi è venuta voglia di urlare a squarciagola “Ehi? Ci sono, esisto!”, ma ogni volta ho mollato, consapevole del fatto che non avrei ottenuto alcun risultato e che quella vocina flebile sarebbe risultata ancora più debole, come una voce fuori campo.
Ho iniziato ad amare i momenti di solitudine, sicuramente i più veri, adesso. Prima dell’incidente, solo pochi giorni fa, ero una logopedista a tempo pieno che non si fermava neppure per un minuto e la vista, si sa, per una come me era fondamentale, anche se solo in questi giorni me ne sto rendendo conto. Quando un bene che abbiamo tra le mani lo consideriamo “ovvio”, non ne capiamo il valore ed io –effettivamente- l’ho dato per scontato per troppo tempo. Ad ogni modo, nel lavoro ero instancabile e i bambini, con la loro spontaneità e la voglia di vivere che li caratterizza, sono sempre stati il mio mondo. Proprio quando sono immersa nelle mie riflessioni, all’improvviso sento piccoli, leggeri passettini muoversi verso il mio letto e una mano carezzarmi con dolcezza: riconosco subito quel tocco.
“Charlotte!” urlo, radunando tutte le mie forze. Lei, proprio la bimba che avrei dovuto incontrare quel pomeriggio dell’incidente nel mio studio, mi abbraccia forte e mi posa un bacio sulla guancia. In men che non si dica, la stanza si popola di tanti bambini, di tanti ESSERI UMANI che mi guardano oltre quello che ho adesso, tante persone che riescono a non farmi sentire “mancante” di qualcosa, ma che mi coccolano e mi fanno sentire il loro affetto e la loro vicinanza senza alcuna presunzione di sapere cosa è giusto fare. Presto, Giulio, Marco, Jessica, Alessandra e tanti altri bambini, mi circondano e cantano in coro la canzoncina che avevo scritto tempo fa per loro, per aiutarli nella pronuncia di alcuni gruppi consonantici, mentre la piccola Charlotte guida la mia mano e assieme disegniamo un cuoricino nell’aria, all’interno del quale posizioniamo le nostre iniziali.
Sono davvero felice! Ho sempre creduto che la bellezza dei bambini risiede soprattutto nella loro capacità di non crearsi sovrastrutture (tipiche degli adulti), di guardare al di là di ogni problema e ripristinare sempre la gioia dello stare insieme e amare incondizionatamente; non serve soltanto la medicina, non servono soltanto le indagini, non serve solo scoprire le cause e identificare i responsabili di un misfatto. Certo, tutto questo è indispensabile, ma accanto a tutto questo e non con minore importanza, serve guardare ai bisogni della persona, a quelli che non si vedono, alle cose che non si dicono, alle piccole cose, in mancanza delle quali tutti noi uomini siamo nulla.
Grazie ai miei bambini, sono riuscita a dare un significato a quello che mi è accaduto e a capire che, vista o no, ho voglia di aprire gli occhi sul serio e di tracciare una linea precisa e ben definita sul da farsi avendo nel cuore la consapevolezza che la vita è una grande opportunità, che va vissuta in ogni suo attimo con gioia e con coraggio. Ho capito, inoltre, che solo chi ama riuscirà a comprendere il senso di ciò che ho detto e che molto probabilmente quel qualcuno leggerà, un giorno, il racconto della mia storia.
Una storia toccante, piena di umanità. A volte ci comportiamo da ciechi anche se vediamo perfettamente, A volte capita che sia il destiino che ci offre la possibilità di fermarci a riflettere e comprendere i veri valori pagandone comunque un caro prezzo. Brava, mi è piaciuto molto.