Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2019 “Wesolych Swiat!” (Buon Natale) di Lukas Bernardini

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2019

C’è la neve tutto intorno. La slitta corre veloce nell’aria tagliente, fra gli alberi spogli e grigi, come grigia è la luna a cui cantano i lupi. Le nuvole nere hanno bordi argentati. Stride il metallo scivolando sul ghiaccio, le renne sbuffano. I colpi sordi dei loro zoccoli sulla neve battuta si susseguono a ritmo serrato.

Ha lo sguardo torvo il grande uomo vestito di rosso. La barba ispida nero-grigiastra incornicia labbra carnose, piegate all’ingiù in una smorfia severa. Le sopracciglia sono folte, unite al centro, una spessa linea nera che sovrasta gli occhi. Ma gli occhi si vedono appena. Sono piccoli fuochi in fondo a due caverne buie. Porta un cappello, questa specie di orco, di un rosso cupo bordato di bianco. Fa schioccare la frusta e le renne spingono, attraverso la calma ovattata del bosco. Accanto all’uomo, sul sedile della slitta, è appoggiato un grosso e paffuto sacco marrone, legato a un’estremità con un laccio.

La neve si fa morbida, fra salite e discese, e poi di nuovo dura, nel lungo tragitto. L’uomo si riscalda bevendo vodka da una fiaschetta di vetro. Di colpo tira con forza le redini e le renne frenano. La slitta si ferma davanti a una casetta isolata. Una rossa luce intermittente proviene dall’interno. L’uomo barbuto dà un ultimo sorso dalla fiaschetta, poi si accorge che è vuota e la getta con disappunto al suolo. Una delle sue renne scorreggia. L’uomo si limita a lanciarle un’occhiata, senza dire nulla. Dal suo lungo gabbano rosso estrae un vecchio libretto nero e controlla se l’indirizzo della casa è quello giusto. Afferra il grosso sacco marrone e si avvicina alla porta d’entrata. Fa per entrare, ma con sua grande sorpresa la porta è chiusa a chiave. Insiste per un po’, strattonando la maniglia con vigore, si arrabbia. Si mette a imprecare a voce alta, in una lingua che suona come il russo o il polacco. Torna deciso alla sua slitta e dalla parte posteriore estrae una sbarra di ferro, in tutto simile a un piede di porco, e si rifà sulla porta.  La apre con un colpo secco. Entra. Attraversa un corridoio ed arriva nel salotto.

È un salotto caldo, accogliente, con la brace ancora rovente nel camino e un grazioso albero di natale, folto di foglie e pieno di stelle, con delle grosse palle colorate attaccate ai rami, alcune delle quali si accendono e si spengono, ritmicamente, assieme ad altre lucette sparse. L’uomo apre il suo sacco marrone e tira fuori un paio di regali infiocchettati. Li depone sotto l’albero. Si guarda intorno e comincia ad aprire tutti gli sportelli dei mobili del salotto, febbrilmente, senza curarsi del tramestio nel silenzio della casa addormentata. All’improvviso il suo volto si illumina e gli sfugge un lungo sospiro profondo:

? Oooh…

Ha trovato il mobile degli alcolici. Prende una bottiglia e ne controlla l’etichetta avvicinandola alla fievole luce dell’albero. Vodka. La apre. Dà una lunga sorsata. È scosso da un brivido, fa schioccare la lingua. Afferrato il sacco, con aria soddisfatta esce dalla casa chiudendo malamente la porta sfasciata dietro di sé.

La slitta riparte, le renne tornano a correre sotto i colpi della frusta, mentre l’uomo accompagna il suo cammino alternando ai sorsi di vodka le parole confuse di una stonata nenia natalizia. Sullo sfondo si distinguono le luci di un vicino villaggio.

Di casa in casa, questo Babbo Natale alquanto insolito, ubriacone e dai modi rozzi, va ripartendo i suoi regali sotto gli alberi illuminati, lasciando ovunque pesanti tracce del suo passaggio e afferrando una bottiglia ogni volta che ha finito la precedente, mentre il suo canto si fa sempre più allegro e confuso.

La renna scorreggia nuovamente.

?Boze! ? esclama l’uomo, divertito. Poi le domanda qualcosa e, ridendo, riprende il cammino. Il villaggio sembra immerso in un sonno profondo, mentre la slitta attraversa la piazza deserta. L’orologio del campanile segna le tre. La finestra della vecchia taverna è illuminata, qualche ubriaco sta intonando un canto di soldati, fra le risa e gli strilli delle donne.

La slitta rallenta. Si arresta. Il grande sacco marrone è ormai quasi vuoto, e gli occhi profondi dell’uomo si soffermano sulla vecchia taverna. Li può vedere, là dentro, mentre brindano con i grossi boccali pieni di birra, le donnacce poco vestite e troppo truccate, le bottiglie di vodka rovesciate sui tavoli.

Guarda di nuovo l’orologio della chiesa. Apre il grande sacco e lo fruga con il braccio. Non rimane che un regalo. L’ultimo. L’uomo dice qualcosa alle renne e, sceso dalla slitta, si avvia verso la taverna.

Apre la porta con violenza. Sulla taverna scende il silenzio. I suoi passi pesanti risuonano nell’aria viziata ed asprigna. L’uomo tuona il suo ordine all’oste guercio e panciuto che lo guarda con sospetto. Questi con riluttanza gli serve un grosso boccale di birra.

Non passa molto tempo che nella taverna si è tornati a cantare e a brindare. Con la sua voce profonda e possente l’uomo racconta e racconta, un attimo ride e il successivo inveisce, si arrabbia, grida, scalcia, prende gli uomini per le orecchie, afferra le donne per la vita e le siede sulle sue forti ginocchia, poi le spinge via e si mette a cantare, in russo e in polacco, vecchie canzoni che lo commuovono.

Presto gli animi si surriscaldano e gli altri uomini della taverna, stanchi delle prepotenze di questo orco venuto dal bosco che vuole per sé tutta l’attenzione e sembra venuto apposta per rovinargli la festa, si mettono d’accordo e lo attaccano, tutti insieme, simultaneamente. E volano le botte. Le donne gridano spaventate.

È l’alba. I raggi di un pallido sole fanno capolino fra i tetti bianchi delle case del villaggio. L’uomo barbuto emette un lungo gemito. Apre gli occhi, con fatica. Il suo volto è arrossato, un po’ di sangue rappreso gli incrosta i baffi sotto le narici, ha qualche graffio e un occhio semichiuso bordato di viola. È sdraiato nella parte posteriore della sua slitta. Le due renne sono ancora attaccate. L’uomo si tira su con la schiena, facendo una smorfia di dolore e portandosi le mani sui reni. La piazza è sempre deserta. La taverna è chiusa e l’interno è buio.

L’uomo si guarda intorno.  L’orologio del campanile segna le sette e un quarto. Sgrana gli occhi, ha un sussulto. Afferra il sacco marrone, lo apre e infila dentro le mani. Il regalo è ancora lì.

Parte come un fulmine, frusta alla mano, imprecando a voce alta fra le vie del villaggio. Lo attraversa tutto fino alla zona più povera, dove le case sono fatte di legno e sulle finestre non ci sono vetri, per le vie ci sono i rottami di vecchie slitte, e qualche cane magro si aggira in cerca di un osso spolpato. L’uomo estrae dal gabbano il suo libretto e controlla l’indirizzo. Il nome della via è scritto a mano con vernice nera su due pezzi di legno inchiodati insieme.

La casa che cercava è una baracca, con il tetto di lamiera e i buchi nelle pareti, qualche vecchio straccio fa da tenda nei vani usati come finestre, la porta d’ingresso è tutta storta e sconquassata. L’uomo scende dalla slitta e si avvicina alla casa. Sposta leggermente uno degli stracci e dà una sbirciata all’interno. È il luogo più misero che si possa immaginare, non c’è nulla alle pareti e una sola candela illumina fievolmente l’ambiente. Un bambino, sui sette anni, magro e mal vestito, siede per terra abbracciandosi le ginocchia con aria triste e sconsolata, davanti a un sottile tronco spoglio conficcato in un vaso, con un ramo che spunta a un lato e a cui è appesa una vecchia pallina natalizia, tutta scolorita e con un buco. Ai piedi del suo povero albero nessun regalo.

All’uomo si stringe il cuore. Si porta una mano alla bocca e guarda in giro sgranando gli occhi. Poi torna a sbirciare dalla finestra.  È apparsa una donna nella stanza, la madre del piccolo, anch’essa vestita di stracci e segnata da anni di miseria. Si avvicina al bambino gli mette una mano sulla spalla, dice qualche parola, cercando di consolarlo, ma è tutto inutile. Allora afferra una specie di coperta e se la getta sulle spalle, quindi si avvia verso la porta. L’uomo corre a nascondersi dietro l’angolo, biascicando parole incomprensibili.

Non appena la donna si è allontanata l’uomo si affaccia alla finestra e vede che il bambino sta camminando mestamente verso un’altra stanza. In tutta fretta l’uomo si precipita alla slitta e afferra il sacco marrone poi, con cautela, apre la porta e s’infila dentro abbassandosi per non sbattere con la testa. Arrivato davanti all’albero infila silenziosamente il braccio nel sacco per estrarre il regalo. Ma in quell’istante una voce infuriata e squillante lo paralizza in quel gesto. L’uomo si gira lentamente con lo sguardo intimorito. Il bambino lo fissa con gli occhi lucidi e pieni di collera. Le mani chiuse a pugno sui fianchi.

? O Boze, Boze! Gdries ty bye? Czekam i czekam!

L’uomo cerca di giustificarsi, ma il bambino è furioso e non sente ragioni, continua a gridargli addosso. Allora estrae dal sacco il regalo e lo porge al bambino. Questi si zittisce all’improvviso e, come colpiti da un lampo, i suoi occhi si infiammano. Avvicina le manine al pacco, con esitazione, quindi lo afferra e lo porta a sé. Con lo sguardo pieno di meraviglia comincia a sciogliere il fiocco, senza fretta per prolungare il piacere. Intanto l’uomo raggiunge lentamente la porta ed esce con discrezione, sapendo che ormai l’attenzione del bambino è tutta concentrata sul regalo. Rimonta sulla sua slitta e con uno schiocco di frusta fa ripartire le renne, dopo aver concesso una dolce carezza ad entrambe.

Tolta la carta il bambino scopre una scatola. Colmo di emozione comincia ad aprirla, sempre con gesti lenti. Guarda dentro. Per un momento resta fulminato. Poi il suo volto si scioglie in un enorme sorriso di stupore. Infine, preso come da una strana frenesia, il bambino comincia a ridere incontrollatamente.

Mentre sulla slitta il grande uomo ha ripreso a cantare la sua nenia natalizia sfrecciando fra le ultime case del villaggio, la madre del bambino fa ritorno verso casa tristemente, a mani vuote. Ma poco dopo è anche lei nella misera stanza, insieme al figlio, scossa dai tremiti dello stesso delirio, incapace di smettere di ridere, con le lacrime agli occhi. I due si abbracciano ridendo.

Babbo Natale è ormai lontano, ma il suo canto non cessa di echeggiare fra gli alberi innevati del bosco. Il sole splende nel cielo terso.

 

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6 commenti »

  1. Bellissimo, sono contento di essere il primo a commentarlo. Lo spirito della festa e del regalo senza gli orpelli della retorica e dell’inutile buonismo. Ironia, capacità descrittiva, affetto, azione, atmosfera e il giusto pizzico di cattiveria in una prosa veloce, asciutta ed efficacissima. Un babbo natale che finalmente non è un pupazzo ma un uomo con i suoi difetti e vizi. Un bellissimo finale. Tutti i miei complimenti davvero.

  2. Mi sa che Marco mi ha preceduto , uff..io che amo tanto la Befana, mia cara amica, che dire, sentivo la mancanza di questo panzone ubriacone,smanettone ,giuggiolone di Natale. Non ho capito un tubo delgli sproloqui stranieri del bambino, ma non fa nulla , mi basta lo schiocco della lingua del vecchiardo ingurgitante vodka: meglio che un interprete parlamentare! Skol!

  3. Una fiaba per adulti dal gusto dolce amaro. Mi è piaciuta l’atmosfera, il ritmo narrativo e ho amato alcune descrizioni che hanno un tratto decisamente poetico. E’ una di quelle storie che “lasciano un sapore in bocca” e che si fanno leggere e rileggere per apprezzarne tutte le sfumature. Come la buona musica che non colpisce mai pienamente nel segno al primo ascolto, ma che sa insinuarsi nella testa e conquistarti sempre più ad ogni ascolto.

  4. Grazie di cuore per i vostri commenti. Wesolych Swiat vuol dire Buon Natale in polacco. E in effetti il bambino inveisce contro l’uomo in polacco. Il racconto è dedicato a due persone speciali, Nina e Cezary, scomparsi ormai da qualche anno, amici storici dei miei genitori, dai quali per anni abbiamo passato la sera di Natale, fra le campagne di Castellina in Chianti. Vodka, pirozky, e borscht, che bei ricordi…

  5. Questa è una storia vera.
    Incantevole!
    Weso?ych ?wi?t. a tutti!

  6. Una storia incantevole!

    Weso?ych ?wi?t. a tutti!

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