Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2019 “Un’amicizia molto particolare” di Luisa Rosa Barolo

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2019

Verso la fine di settembre giunsi alla destinazione finale del mio primo viaggio alla scoperta delle isole greche: Anafi, la più meridionale e sperduta isoletta delle Cicladi.

Appena sbarcata dal traghetto trovai Nikos ad attendermi, il proprietario della casetta che avevo prenotato. Era situata a breve distanza dal porticciolo, in una zona piuttosto isolata e tranquilla, affacciata su una graziosa baia sabbiosa. Una stradina sterrata, costeggiata da un filare di tamerici, la separava dalla spiaggia.

Fin dal primo giorno notai un fatto piuttosto strano: ogni pomeriggio un cane sfrecciava davanti a casa, correndo a perdifiato verso il vecchio pontile situato alla fine della baia. Ciò accadeva sempre più o meno alla stessa ora e, ogni volta, ritornava trotterellando con il pelo bagnato.

Dopo qualche giorno in cui vidi ripetersi l’identica scena, spinta dalla curiosità, decisi di seguirlo. Mi tenni quindi pronta all’ora prevista, nascosta dietro un muretto. Non riuscivo a immaginare quale fosse lo scopo di quella corsa ed ero ansiosa di scoprirne il segreto…

Ed eccolo che arrivò finalmente!

Mi superò veloce, con la lingua a penzoloni. Io scattai in piedi e lo seguii di corsa. Dovetti impegnarmi al massimo per evitare di perdere le sue tracce. Una volta arrivati in prossimità del pontile, lo percorse fino in punta e si sedette immobile a scrutare il mare aperto. A quel punto mi fermai anch’io per osservare la scena da lontano, timorosa di interferire in qualcosa di misterioso che sentivo imminente…

Dopo qualche minuto, notai al largo delle increspature anomale sul pelo dell’acqua. Era impossibile capirne la causa da quella distanza. Strizzai gli occhi, riparandomi con la mano dai raggi del sole ormai bassi all’orizzonte. Gli spruzzi si avvicinavano sempre più al molo, a forte velocità. In quello stesso istante, il cane si tuffò e nuotò in direzione di quello strano fenomeno.

Tutt’a un tratto, scorsi una pinna affiorare dall’acqua e, subito dopo, ammirai uno spettacolare salto in aria seguito da un tuffo fra le onde: un delfino!

Rimasi stupita ed emozionata a contemplare quella scena incredibile: il cane nuotava formando piccoli cerchi e il delfino, guizzando agile intorno a lui, spiccava salti acrobatici fuori dall’acqua per poi ricadere con una capriola o su un fianco, sollevando alti schizzi tutt’intorno. Sembravano divertirsi un mondo! Ogni tanto il delfino rallentava, si avvicinava al muso del cane come per fiutarlo, e quindi ricominciava felice la sua danza tra i flutti.

Non credo di aver mai provato tanta commozione di fronte a uno stupefacente spettacolo della natura come quella volta. Avvertii crescere in me due sentimenti forti e contrapposti: da un lato, la gioia per quel dono meraviglioso che il destino mi aveva regalato e, dall’altro, la rabbia nel constatare che due specie animali così diverse fra loro – addirittura una terrestre e una marina – potessero convivere in pace e in armonia, mentre noi umani, con la nostra intelligenza superiore, non ne eravamo in grado e, probabilmente, non lo saremmo stati mai.

L’allegro gioco acquatico durò ancora per una decina di minuti dopo di che il cane, stremato dalla fatica, nuotò verso riva. Il delfino lo scortò finché glielo consentì l’altezza del fondale, sparendo poi veloce verso il largo. Raggiunta la spiaggia, il cane si scrollò un paio di volte, fissò il mare aperto ancora per qualche istante e quindi si allontanò trotterellando.

Quando fui in grado di osservarlo da vicino, notai che si trattava di un giovane cane di grossa taglia, un incrocio fra un lupo e un husky. Il suo manto era scuro, con una curiosa striscia di pelo bianco tra gli occhi che proseguiva fino alla gola e sul petto. Le sue orecchie erano piccole e diritte, ed era piuttosto magro. Non indossava alcun collare, e pertanto mi domandai a chi potesse appartenere un animale di una razza così anomala per quelle zone del Mediterraneo.

La mattina successiva decisi di recarmi presto in paese per indagare su quell’animale. Interrogai un paio di paesani con i quali avevo fatto conoscenza, i quali però non seppero fornirmi informazioni utili. Soltanto un anziano signore, seduto a un tavolino del kafeneìo nella piazzetta, mi riferì di aver notato più volte un grosso cane randagio aggirarsi di notte per le vie del paese in cerca di cibo. Mi avvertì di stare attenta perché sembrava un lupo selvatico affamato che, probabilmente, durante il giorno si nascondeva nelle campagne. La gente del posto ne aveva paura e lo teneva alla larga dalle case, soprattutto dai bambini. Loro non potevano di certo immaginare la scena a cui io avevo assistito e che non raccontai a nessuno. Era evidente che il cane correva un grande pericolo perché, prima o poi, gli abitanti gli avrebbero dato la caccia per sopprimerlo.

Pervasa da questi foschi pensieri, ritornai a casa prima del solito, dopo aver acquistato in paese della carne con l’osso. Quel pomeriggio, dopo averlo visto passare come un fulmine in direzione del pontile, uscii in fretta nella via e posizionai i prelibati bocconi su una pietra, proprio davanti all’ingresso di casa. Mi rimisi a sedere sotto la pergola di buganvillea, in attesa di assistere alla sua reazione.

Dopo il bagno con il delfino, trotterellando come sempre,  giunse in prossimità del cibo. Qui si bloccò di colpo, avvicinandosi guardingo fiutando l’aria. Quando scoprì la carne, la divorò con voracità in pochi istanti, riprendendo poi, indifferente, la via del ritorno.

Trascorsero i giorni, e il cane si abituò in fretta al suo pasto di fronte a casa e alla mia presenza a pochi passi da lui. Non tentai mai di avvicinarlo, ma attesi paziente un suo segnale che non tardò ad arrivare. Difatti un giorno, dopo aver trangugiato la carne e rosicchiato l’osso, si avvicinò con circospezione, basso sulle zampe e con la coda tra le gambe. Mi fiutò un piede, diffidente, mentre io rimanevo immobile per non impaurirlo. Poi, all’improvviso, si voltò di scatto e corse via.

A poco a poco riuscii a conquistare la sua fiducia al punto che, dopo il pasto, entrava scodinzolando nella mia veranda, si faceva accarezzare e restava accucciato ai miei piedi a sonnecchiare. A volte, mentre leggevo, appoggiava il muso sulle mie ginocchia in cerca di attenzione, fissandomi intensamente con quegli occhioni scuri e profondi che esprimevano molto più di mille parole. Ogni volta mi chiedevo con ansia se lo avrei rivisto il giorno successivo…

Un pomeriggio, mentre lo osservavo nuotare senza alcun timore tra le onde, mi sovvenne un pensiero divertente: il mio nuovo amico era un vero… lupo di mare! E, da quel momento, lo appellai con quel termine. In effetti non gli diedi mai un vero e proprio nome, inconsciamente timorosa dell’inevitabile addio che prima o poi avremmo dovuto affrontare. E purtroppo quel giorno arrivò…

Il mio soggiorno sull’isola giunse infatti inesorabilmente al termine. Il traghetto di ritorno al porto del Pireo salpava all’alba, e mi consolai all’idea che a quell’ora non lo avrei incontrato.

Non appena scorsi il traghetto apparire all’orizzonte, mi sedetti malinconica sul trolley. Ogni tanto volgevo lo sguardo verso la mia ex-casa e il vecchio pontile in fondo alla baia. La luce rosata del primo mattino si stava lentamente dissolvendo e, piano piano, timide pennellate di azzurro comparivano in un cielo senza nuvole. Immaginai di vederlo arrivare di corsa, con la lingua a penzoloni, a salutarmi per l’ultima volta.

Chissà se l’avrei mai più rivisto…

L’assordante sirena del traghetto mi destò di colpo dai miei pensieri. L’enorme portellone si abbassò sulla banchina e la fila dei passeggeri carichi di bagagli procedette lentamente verso l’imbarco. Una volta a bordo, salii subito sul ponte superiore, all’aperto. Mi sedetti sulla lunga panca di legno fissata al parapetto della nave. Da quella posizione ero ancora in grado di gettare l’ultimo sguardo sulla spiaggia nella speranza di scorgere il mio amico a quattro zampe, pur rendendomi perfettamente conto di quanto ciò fosse improbabile.

Tutt’a un tratto, udii della confusione e delle urla giù sul molo. Mi sporsi dal bordo della nave ma non riuscii a capire il motivo di tanto scompiglio. Pochi istanti dopo vidi comparire sul ponte due marinai che correvano tra la gente, apparentemente inseguendo qualcuno. I passeggeri si guardavano attorno, curiosi di capire che cosa stesse succedendo.

«Vieni qui!» udii gridare in mezzo alla folla.

«È andato di là… Presto, prendetelo!» esclamarono indicando un punto con la mano.

Vidi delle persone scansarsi di lato, alcune donne strillare agitando le braccia, mentre gli addetti della nave correvano verso l’inizio della lunga panca su cui ero seduta tra gli altri passeggeri.

All’improvviso sentii una lingua rasposa leccarmi un tallone… Mi abbassai a guardare sotto il sedile e vidi due occhioni separati da una striscia bianca osservarmi con gioia: il mio lupo di mare! Se ne stava rannicchiato lì sotto, protetto dietro le mie gambe, impaurito dalla confusione e dalle grida.

«Signorina, è suo quel cane?» mi chiese in tono burbero un marinaio, piazzandosi di fronte a me. Intanto una piccola folla di curiosi si era assiepata alle sue spalle; tutti mi fissavano indiscreti in attesa della mia risposta.

«Beh… veramente io… non…» balbettai, non sapendo lì per lì cosa ribattere.

Senza attendere la mia reazione, il secondo addetto incalzò il primo: «Lo sa che non è consentito portare cani privi di guinzaglio a bordo della nave?» mi interrogò severo.

Dopo qualche istante di silenzio, la mia espressione smarrita lo convinse ad aggiungere: «Va bene signorina, passi per questa volta… ma stia attenta perché alla prossima dovrà pagare una multa salata!»

Il portellone si stava ormai richiudendo, e la nave era già in movimento. Mi resi conto che il destino aveva deciso per me quello che io non ebbi il coraggio di fare prima, ma che in realtà desideravo con tutto il cuore. E fu così che gli risposi tutto d’un fiato:

«Scusatemi… mi era scappato e l’avevo perso in mezzo alla confusione. Starò più attenta la prossima volta!» Dopo di che, con un largo sorriso innocente, congedai tutti quanti.

Mi inginocchiai ad accarezzarlo e gli strinsi al collo il lungo manico della mia borsa a mo’ di guinzaglio. Poi, avvicinandomi al suo muso sotto la panca, gli sussurrai piano in un orecchio: «Ma come diavolo hai fatto a fiutarmi in mezzo a tutta questa gente?»

Per tutta risposta, mi leccò la punta del naso scodinzolando felice. Di colpo, proprio in quell’istante, mi balenò in mente come l’avrei chiamato: Argo, il mio fedele cane greco!

E da quel giorno, per ben dodici indimenticabili, meravigliosi anni, lo fu davvero.

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4 commenti »

  1. Mi e’ piaciuta questa storia dal gusto semplice delle “cose buone” e la leggerezza di una vanza estiva.

  2. Ti ringrazio Monica, molto gentile. In effetti io amo la semplicità e l’armonia di una vita a contatto con la natura: hai colto perfettamente lo spirito del mio racconto.

  3. Ho sempre amato i cani, siamo spesso noi ad aver bisogno di loro. Anche se crediamo il contrario. Illuminano la nostra vita e ci insegnano ad amare. Leggendo il tuo racconto ho avuto paura che lo avessi lasciato solo..
    Se lui lo avesse permesso..avresti perso una grande gioia..spero ci sia ancora con te un angelo con la coda..lui continuera’ ad sspettarti sul PONTE.

  4. Anna, ti ringrazio per il gentile commento. No, non l’ho lasciato solo ma, purtroppo, lui ha lasciato me due mesi fa… Io non sono riuscita ad insegnargli molte cose, invece lui mi ha dimostrato durante tutti questi anni cosa significano la lealtà e l’amore incondizionato.

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