Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti per Corti 2010 “Donna di picche” di Alessandro Musella

Categoria: Premio Racconti per Corti 2010

Si udì lo stridere delle ruote sull’asfalto, il rumore lungo dell’inchiodata e poi lo scontro.

 

Serena mollò la presa della sua bici e cadde per terra. Per fortuna non si era nemmeno sbucciata le ginocchia, l’auto era quasi ferma quando la urtò. Lei rialzò la bicicletta, montò di nuovo in sella, chiuse il marsupio che aveva indosso e tornò a pedalare.

Dopo poco arrivò davanti al cancello della villetta. Serrò il lucchetto attorno alla ruota posteriore della sua bici, si passò le mani attorno alle orecchie, tirò un sospiro trattenendo il fiato per qualche secondo, poi espirò e premette il pulsante del citofono.

C’erano assenza di rumore, quiete e pace surreali. Dopo alcuni istanti di attesa e di silenzio, Serena citofonò nuovamente. Indugiò ancora qualche istante, poi si voltò per tornare indietro quando il silenzio fu bruscamente interrotto dal rumore dell’apertura elettrica del cancelletto.

Entrò riaccostando il portoncino e prese a camminare sulla stradina che attraversava il giardino.

Un uomo un po’ grasso sulla quarantina, di media statura, con capelli leggermente lunghi, grigiastri e visibilmente unti, aprì la porta della villa e salutò Serena :

          Piacere, Osvaldo. Scusa sai, ma sono rientrato dal retro proprio in quest’istante. Mi sono tolto le scarpe per non far rumore, di sopra c’è mia moglie che sta riposando. Stavo per salire su quando ho sentito il campanello e son venuto ad aprirti.

Serena sorrise, poi entrò fermandosi all’ingresso.

Davanti a lei una sala cupa, arredata con mobili antichi e scuri e due poltrone di pelle nera logorate dall’usura. Lui la fece accomodare sulla sedia che si trovava accanto al tavolo della sala. La luce bassa della sera veniva ulteriormente oscurata dalla presenza di una grossa pianta situata in giardino la cui ombra attraversava la finestra rabbuiando il tavolo.

Serena si sedette. Era pervasa da un leggero senso di angoscia dovuto a quell’ambiente tetro e silenzioso. Osvaldo sedette accanto a lei scusandosi per la scarsa luce dovuta all’ombra dell’arbusto, aggiungendo che a quella pianta lui teneva molto, mentre sua moglie la odiava e la voleva tagliare a tutti i costi.

          Mi ha promesso che un giorno rincasando, me la farà trovare fatta a pezzi.  Ti fai male, le ho detto, non sai nemmeno potare una rosa …

Cominciarono a parlare dell’argomento della tesi che lei voleva portare. Lui parlava a bassa voce, il che rendeva il clima ancora più inquietante, ricordando di tanto in tanto anche a lei di mantenere il tono di voce basso perché la moglie dormiva nella stanza da letto sopra.

Le risposte di Serena erano spesso precedute da imbarazzanti pause di silenzio e il suo sguardo pareva talvolta assente. Lei chiese di andare in bagno e lui le indicò di andare sopra, la seconda porta a sinistra, sempre facendo attenzione a non svegliare la moglie.

Serena prese il marsupio, si alzò dalla sedia e si diresse verso le scale. Salì i gradini sbirciando Osvaldo con la coda dell’occhio. Arrivata su c’erano tre porte : due socchiuse sulla sinistra ed una aperta sul lato destro che dava su di una grande stanza vuota affacciata su di un piccolo terrazzino. Passò diritta davanti alla prima porta a sinistra, aprì la seconda ed entrò in bagno.

Le pareti erano rivestite di piastrelle color verde acceso e la luce riflettendo creava un riverbero smeraldo.

Dopo aver terminato tirò l’acqua, poi aprì il marsupio ed estrasse un pacchetto di fazzoletti di carta.

Osvaldo di sotto andò in cucina, aprì il frigo, prese  una bottiglia di acqua aperta e quasi vuota dall’apposito scomparto, la aprì e la tracannò tutta. Poi si passò il dorso della mano sulla bocca, chiuse la porta del frigo, riavvitò il tappo e gettò la bottiglia nella spazzatura.

Serena in bagno si asciugò il viso coprendolo e tamponandolo con un asciugamano. Poi chiuse il rubinetto, ripose la salvietta piegata sull’appendino e uscì dal bagno.

Nel tornare si avvicinò alla porta della camera da letto rimasta leggermente socchiusa. Si accostò lentamente alla porta e pose l’orecchio vicino alla fessura per avvertire qualche rumore, ma non sentì nulla. Dubbiosa, iniziò ad aprire molto lentamente la porta, ma man mano che la visuale si ampliava, intuiva che la stanza da letto era vuota, il letto era rifatto e non c’era nessuna moglie.

Si spaventò. Scese le scale in silenzio. Cercò Osvaldo con lo sguardo e lo vide in cucina. Aprì allora senza far rumore la portafinestra che dava sul giardino e schizzò via con l’intento di scappare.

Appena fuori vide sulla stradina del giardino una donna, anch’ella sulla quarantina, rivolta verso di lei la quale notando Serena la salutò. A quel punto si tranquillizzò subito e ricambiò il saluto.

Fece per rientrare, ma nel voltarsi si scontrò fisicamente con Osvaldo che stava uscendo :

          Serena?! Che ci fai fuori?

          Ah, scusi non l’avevo vista in sala, pensavo fosse uscito …

poi tornò velocemente a sedere al tavolo.  Osvaldo la seguì con lo sguardo per qualche metro, poi le chiese di attenderlo un attimo ed uscì.

Serena ancora scossa sorrise tra sé e cercò di riprendere gli appunti da dove li aveva lasciati.

Poco dopo Osvaldo rientrò e, serrando bene la portafinestra, si scusò :

          Eccomi, perdona l’attesa.

          Si figuri. Deve essere questo caldo soffocante. Probabilmente sua moglie non riusciva a dormire ed è uscita, anche a me succede …

          Non era mia moglie. Era una sua amica che è venuta a cercarla. Era rimasto aperto ed è entrata, ma l’ho rimandata indietro perché mia moglie sta riposando di sopra.

A Serena gelò il sangue. Gettò uno sguardo verso la portafinestra : Osvaldo era troppo vicino all’uscita, non ce l’avrebbe mai fatta. Disse allora che aveva dimenticato un anello in bagno nel lavarsi le mani e doveva tornare un secondo su a recuperarlo. Osvaldo accennò un consenso, lei prese il marsupio e si diresse verso le scale. Le salì ed entrò velocemente in bagno chiudendosi dentro con due mandate.

Iniziò a piangere in silenzio per non farsi sentire. Estrasse dalla tasca il cellulare a conchiglia e lo aprì.: la batteria era completamente scarica. Lo scosse nervosamente e gli scivolò nel cesto dei panni sporchi.

Rovistò per recuperarlo e nel frugare vide sul fondo un brandello di maglietta macchiato di sangue fresco, rosso vivo. Rificcò tutto dentro alla rinfusa, mise il cellulare in tasca, si allacciò il marsupio alla vita ed uscì dal bagno aprendo le mandate molto lentamente senza farsi sentire.

Entrò nella stanza grande col terrazzo ed uscì fuori. Sul terrazzino vide un’accetta sul pavimento. Le mancò il respiro. Scavalcò la ringhiera, si calò dal terrazzino, ma cadde per terra. Si rialzò immediatamente e iniziò a correre verso il cancelletto. Osvaldo sentendo il tonfo guardò dal vetro della sala e, vedendola, iniziò a chiamarla dirigendosi verso la portafinestra. Lei cercò di prendere la bicicletta, ma la ruota era bloccata dal lucchetto. La lasciò cader per terra e fuggì a piedi. Osvaldo uscì in giardino e iniziò ad inseguirla.

Dopo una breve corsa trovò un varco e uscì in strada correndo. Vide passare un’auto, allora si mise in mezzo alla strada sbracciando e gridando. L’auto si fermò e si accesero le luci della retromarcia.

Raggiunta l’auto spalancò la portiera piangendo e si ficcò in auto chiudendo con forza. L’uomo alla guida cercò di tranquillizzarla, ma lei singhiozzando e piangendo urlava :

          Scappi, la prego! Scappi!!

Mentre l’uomo alla guida le ripeteva “Che sta succedendo?” guardò nello specchietto posto sull’aletta parasole e vide uscire Osvaldo e subito dopo spuntare dall’angolo della strada esterna una donna zoppicante che si dirigeva verso Osvaldo. La donna aveva una gamba dei pantaloni arrotolata e una vistosa fasciatura con uno straccio macchiato di sangue all’altezza della coscia. Osvaldo vide la donna e le corse incontro.

Serena era paralizzata. L’uomo alla guida guardò nello specchietto retrovisore e vide Osvaldo andare verso la donna ferita :

          Oh, Cristo!

esclamò schizzando fuori dall’auto.  Corse verso Osvaldo urlando

          Fermo, Polizia! Sono un agente, non ti muovere figlio di puttana!

ed estrasse dal giubbotto di jeans una beretta d’ordinanza puntandola verso Osvaldo.

Intanto a Serena, in auto, tornarono in mente come flash in bianco e nero le immagini e le frasi di Osvaldo : “sono rientrato dal retro proprio in quest’istante.…stavo per salire su…”, “…un giorno rincasando, me la farà trovare fatta a pezzi” e poi l’immagine dell’accetta. Poi ancora Osvaldo che dice “Ti fai male… non sai nemmeno potare una rosa …” quindi l’immagine del panno sporco di sangue. Poi quella dell’accetta.

Iniziò a rallentare il pianto che lentamente cominciò a tramutarsi in una risata nervosa.  

Il poliziotto che nel frattempo aveva raggiunto Osvaldo lo immobilizzò e iniziò a malmenarlo

          Figlio di puttana che cazzo hai fatto!!? Che cazzo hai fatto!!? Stai zitto e metti le mani dietro la testa o t’uccido!

Osvaldo portò le mani dietro la nuca. Intanto Serena uscì dall’auto e li raggiunse di corsa piangendo e urlando

          Lo lasci stare! Lo lasci stare!

La donna ferita che assisteva alla scena appena vide Serena arrivare urlò indicandola

          Eccola, è lei, è lei!

L’agente rivolto alla donna ferita :

          Lei si allontani!

Ma la donna non curante dell’intimazione si rivolse di nuovo al poliziotto che teneva immobilizzato Osvaldo e strattonandolo dal giubbino gridò :

         E’ lei, mi ha accoltellata! Guardi nel suo marsupio, lasci stare mio marito e guardi in quel cazzo di marsupio!

         Io? Non ho fatto niente io, non ho fatto niente! – ripeteva Serena singhiozzando.

La scena era paradossale. Osvaldo aveva le mani dietro la nuca ed era immobilizzato,  la donna stringeva in mano il giubbotto del poliziotto agitandolo e lo osservava con uno sguardo a metà tra la supplica e l’attesa.  Serena piangeva immobile.

Trascorsero alcuni interminabili secondi in cui il poliziotto guardava alternativamente i tre personaggi.

Poi, deciso, intimò a Serena :

         Mi dia il suo marsupio.

Serena lo fissò attonita e immobile, senza dare alcun cenno di risposta.

         Mi dia quel marsupio le ho detto!

Serena lo guardò basita ancora per qualche secondo. Poi, singhiozzando, slacciò lentamente il marsupio e lo consegnò al poliziotto :

       Eccolo.

Si sedette per terra, schiena appoggiata al muro, gambe rannicchiate al petto e capo sulle ginocchia. Piangeva a dirotto. Il poliziotto mollò Osvaldo con uno strattone intimandogli :

         Tu stai là e non muoverti.

Poi aprì il marsupio ed estrasse lentamente e con stupore degli astanti un coltello a serramanico ancora sporco di sangue.  

I tre guardarono il coltello sbalorditi.

Osvaldo chiese :

         Cos’è quello Serena, cosa cazzo è ?

La donna ferita piangendo :

         Gliel’ho detto! Mi sono svegliata, mio marito non era in casa e… e…  sono uscita in auto… non l’ho vista , la bici è sbucata all’improvviso e io l’ho urtata….l’ho semplicemente urtata… 

Serena implorò piangendo

            Non è vero…

mentre con la fronte poggiata sulle ginocchia cinte dalle sue braccia piangeva singhiozzando.

La donna rivolta al poliziotto continuò :

         Sono…sono scesa per soccorrerla ma appena mi sono avvicinata mi ha infilato il coltello nella gamba …

Serena sempre con la fronte sulle ginocchia singhiozzando implorava :

         Non è vero…

L’agente le mostrò il coltello : 

        E questo coltello di chi è?

Serena lo guardò, poi in silenzio tornò a posare la fronte sulle braccia.  Il poliziotto insistette impietoso

        Signorina, mi risponda! Questo coltello è suo?

Nessuna risposta.

       Mi risponda, le ho chiesto se è suo! Cazzo vi porto tutti dentro!

Serena alzò il viso. Lo sguardo era truce. Cambiò improvvisamente voce diventando rude e aggressiva e disse :

          Mi poteva ammazzare quella troia. Dovevo darle una lezione.

I due uomini e la donna raggelarono.

          Prima l’ho colpita, poi mi sono pulita le mani dal suo lurido sangue… 

Con lo sguardo perso nel vuoto fece un ghigno.

          E poi…  e poi mi sono ritrovata di colpo in quel bagno verde col marsupio aperto, i fazzoletti in una mano e dentro quel brandello sporco del suo sudicio sangue rosso… proprio davanti agli occhi!

Non potevo vedere quello schifo e l’ho ficcato in fondo al cesto…e adesso mi ritrovo ancora davanti quel cazzo di coltello lercio….

 

Osvaldo e la donna rimasero paralizzati, mentre il poliziotto incredulo rivolto a Serena :

          Signorina non si muova lei è in arresto…e anche voi tutti non fate un passo cazzo, non fate un passo!

 

Serena con la voce tornata dolce e chiara

          Cosa fa? Mi lasci… mi lasci! Perché..?

 

E sullo sfondo si udivano le sirene arrivare.

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1 commento »

  1. Ehi, mi piace questo finale giallo con ribaltamento! Secondo me te la giochi bene per un corto.
    In bocca al lupo!

    Imma Di Nardo “Blocco creativo”

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