Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2010 “6 aprile 2010” di Debora Boccaccini

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2010

NELL’ALTO DEI CIELI.

Vagava a piedi nudi nel prato ed era molto pensieroso.

Più che pensieroso, sembrava turbato. Profondamente.

La sua concentrazione mentale era così intensa che neppure la perfezione del giardino lo sfiorava, con i suoi accostamenti armoniosi di colori, suoni e vegetazione dai profumi inebrianti e delicatissimi, in grado di soddisfare il bisogno di tutti i sensi e arrivare dritti in fondo all’anima e placarla.

Non gioiva di nulla e di nulla si compiaceva.

Eppure tutto ciò era opera sua ma non pareva ricordarlo. Anzi, pareva non vedere nulla attorno a sé. Ed, infatti, non guardava che in terra, ora accovacciato sulle ginocchia a fissare intensamente un filo d’erba, immerso e perso nel labirinto dei pensieri.

Lui sapeva a cosa sarebbe andato incontro. Lo sapeva, perché conosceva la sua creatura, ne conosceva l’imperfezione del cuore e delle azioni. Sapeva che, lasciandogli la Libertà, non avrebbe saputo fare bene, e questo avrebbe procurato sofferenze immani, perfino a sé stessa. Nel contrasto tra le sue perfette intenzioni e i suoi istinti primordiali, l’essere umano avrebbe agito confuso e in preda ora al desiderio di raggiungere le prime ed ora a quello di appagare i secondi, senza coerenza, senza ragione, senza senso.

Lo sapeva, lo aveva sempre saputo, fin dal principio.

E se la sua scelta restava la stessa, e per lui l’uomo doveva essere libero, dentro di sé, però, era inquieto, e nella sua determinazione, vacillava.

La libertà dell’uomo faceva parte del piano: egli avrebbe imparato dagli errori migliorandosi nel tempo, fino a raggiungere la perfezione. Ed ogni volta che sbagliava, il fatto di essere libero gli avrebbe consentito di riscegliere sempre, tutte le volte che voleva, e di riavvolgere il nastro, superando gli errori e puntando ancora, ancora e sempre, verso l’alto. La libertà sarebbe stata la via che gli avrebbe restituito l’uomo, ogni volta. Quindi, non era messa in discussione. In alcun modo. Ma……

Ogni giorno i suoi sensi avvertivano la sofferenza, sempre più acuta, sempre più atroce, delle sue creature preferite, quelle che Lui amava al dì sopra di tutto, e cioè i bambini. Li sentiva piangere e urlare, vittime di quell’uomo che pure amava ancora, ma…… I soprusi, le violenze, le umiliazioni, erano ormai al culmine. Era giunto il momento di intervenire. E se l’uomo doveva restare libero, per proteggere i bambini occorreva qualcosa di speciale e, mentre i suoi pensieri presero a seguire un filo preciso, Lui chiuse gli occhi, per non perderlo.

Dopo un lungo, interminabile istante, uscì con determinazione dal giardino e guardando in giù, posò il suo sguardo sul pianeta; si concentrò, con gli occhi chiusi e il respiro lento e ritmato, e mosse le mani nell’aria, tutto attorno alla Terra, compiendo dei movimenti circolari, avvolgenti e mentre faceva questo, pronunciò delle parole solenni, ma non con il tono appropriato, piuttosto bisbigliando, come se cantasse una ninna nanna o come se recitasse una preghiera…. Infine, riaprì gli occhi e, voltandosi, rientrò nel giardino, con le spalle meno curve, più sollevato di prima, vedendo di nuovo tutto, attorno a sé.

E sorrise. 

IN TERRA.

In Italia c’è sempre il sole, o almeno così credono i turisti stranieri e vengono, poveri sprovveduti!, con le loro t-shirt più leggere, con i calzoncini corti, le scarpette di tela sopra agli incomprensibili calzettoni bianchi.

Lia li osserva curiosa da dietro il vetro della finestra, star lì sotto alla pioggia battente, tutti in gruppo al centro della piazza, accanto alla fontana, a guardare, naso per aria, i palazzi ottocenteschi tutti attorno, scattando persino qualche fotografia. Sono l’unica cosa divertente di questa giornata, pensa la bimba, annoiatissima per via della pioggia, che oggi a Macerata non ha smesso un attimo e il vento è soffiato così forte tutto il giorno da spazzar via ogni traccia della favolosa gita fuori porta pensata dai suoi genitori, delusi e annoiati quanto lei. Un lunedì di Pasqua decisamente nero per tutti! Ma alle cinque del pomeriggio, ecco avverarsi il miracolo tanto sperato: la pioggia cessa, come per magia e compare persino il classico raggio di sole tra le nuvole, ad ovest. Dunque, nulla è perduto! E per una bambina come Lia, non è mai troppo tardi per trasformare una brutta giornata in qualcosa di meglio: uscire a fare un giro in bicicletta è quello che ci vuole. Sì, si può fare!

Così Lia, divorando le scale a due a due per la frenesia di uscire fuori, è scesa in cortile ed ha inforcato la sua bici ed ora sta girando attorno alla fontana in piazza, fingendo di gareggiare con gli invisibili avversari di una fantastica corsa, tutti meno in gamba e più lenti di lei, destinati perciò ad essere miseramente battuti. La gonnellina della festa svolazza, ad ogni colpo d’aria, più felice della bambina stessa, che ride, da sola, anche con gli occhi….

E’ una bambina bellissima, pensa il ragazzo, nella macchina posteggiata sul bordo della piazza. Mi piacerebbe tanto toccarla, sentirne l’odore… Uno sguardo furtivo in giro, nessuno in vista, con questo tempo matto. Si!, si può fare. E’ abbastanza piccola da farsi ingannare (avrà 6, 7 anni forse) e troppo piccola per poter raccontare e riconoscere una faccia mai vista prima… e poi farò subito, l’ho fatto altre volte… d’altronde non sono un maniaco omicida, mi piace solo accarezzare e farmi accarezzare, non faccio niente di grave!

Il ragazzo esce, sicuro di sé e con fare deciso, dalla macchina e punta dritto verso la piccola, ferma ora a bordo fontana per un problema col pedale, che non gira come dovrebbe.

“Hai qualche problema con la bici? – chiede lui premuroso, fermandosi ad un paio di passi dalla bambina. Lia alza gli occhi e lo guarda, senza rispondere, perplessa. Non lo conosce, non l’ha mai visto prima. “Sai- la incalza lui, avvicinandosi- io sono un meccanico.”

“Davvero? – dice la bambina speranzosa – allora puoi aggiustarmi la bicicletta?”

E’ fatta!, pensa lui tra sé, con un senso di compiacimento. Il primo approccio è sempre un dilemma, non sai mai come reagirà. Ci sono bambini timidi che scappano via appena li guardi, altri più socievoli e fiduciosi, come questa qui…..

“Come ti chiami?- chiede lui.

“Lia – risponde la piccola- ma tu sai riparare una bici?” chiede, ancora un po’ sospettosa. La bambina pensa che la sua bici sia tanto speciale, ma così tanto speciale! da meritarsi solo la riparazione migliore del mondo!

“Certamente -dice lui rassicurante- e in macchina ho proprio il kit completo di chiavi, viti e dadi per aggiustare una bicicletta di questo tipo.” E si gira, incamminandosi verso la macchina, invitando Lia a seguirlo con un gesto della mano.

La bambina, spingendo la sua bicicletta, si avvicina all’uomo, che con un sorriso le appoggia una mano sopra la testa ma…….

Una specie di scossa elettrica gli attraversa il cervello. L’uomo prova una fitta dolorosa in mezzo al cranio, come se qualcuno ci avesse piantato un chiodo. Per un istante, rimane impietrito dal dolore. “Non farlo!!!”, gli grida una voce nella testa “Non devi assolutamente farlo! O ne morirai!”.

Il ragazzo, occhi sbarrati, bocca leggermente aperta in una specie di grido soffocato, le braccia e le gambe tese, come immobilizzate, non riesce a capire ed ha paura. La voce, vagamente familiare eppure terrificante, viene da dentro, ma non e’ la sua. Il tono è perentorio, è un ordine preciso, si tratta di Lia; l’uomo è lì lì per cedere alla voce ma, dopo qualche istante, il dolore svanisce e la voce si allontana.

Senza dolore, la paura passa; senza dolore, la voce perde di potenza rimanendo in un angolo e l’ego ignobile alza la sua, di voce, e torna a farsi obbedire dal cuore debole, dal cuore spento. La bocca si chiude e gli occhi stralunati riacquistano l’aspetto normale, ora le braccia e le gambe si muovono e guardando in basso, il ragazzo vede Lia scrutarlo con attenzione….

“Allora, la mia bici? – chiede la piccola un po’ spazientita.

L’uomo si riprende completamente e apre lo sportello della macchina. La voce e il suo monito sono ormai un’eco lontana, il pensiero miserabile rimbomba di nuovo nella testa e la riempie di sé. Sì, è proprio facile ingannare una bambina così.

“Vieni qua Lia -le dice, seduto sul sedile di guida, tutto sporto verso l’altro lato del veicolo, fingendo di cercare qualcosa. – Ecco i miei attrezzi! Lascia la bici e vieni qui, che te li mostro!”.

Lia appoggia la bici in terra e va verso l’uomo che, una volta arrivatagli a tiro la bimba, decide di fare in fretta. Allunga le mani per abbracciarla e caricarla in macchina. Ha cambiato idea, perché la piccola potrebbe gridare e attirare qualcuno; invece, l’avrebbe fatta salire e sarebbe partito e l’avrebbe portata in un posto più appartato, solo per toccarla un po’, oppure, forse….

E già pregustava il brivido della sua azione efferata, il piacere di un corpicino così fresco, pulito, il gusto di farla franca ancora una volta, nessuno avrebbe mai scoperto, mai saputo, e Lia non avrebbe saputo dire, descrivere, raccontare bene e con coerenza: era in una botte di ferro!

Ma…..

Appena tocca la bambina, ecco di nuovo la scossa nel cervello!, e questa volta più forte e più lancinante di prima. Un grido di dolore, e Lia si spaventa, cominciando a correre via, incontro ad una coppia che in quel mentre sta sopraggiungendo nella piazza da un vicoletto laterale.

Vedendo la piccola correre, la donna le va incontro più spedita e prendendola per le braccia le chiede cos’è successo. Lia, spaventata, dice che c’è un signore nella macchina che sta male, così mentre la donna tranquillizza la piccola stringendola, il suo amico corre verso la macchina e quando vi arriva non può fare più nulla: l’uomo è morto, stecchito! Riverso sopra al cambio, con gli occhi sbarrati e la bocca spalancata, che conferiscono al viso un’espressione di paura mista a stupore. Forse un ictus, poverino. Non resta che chiamare il 118.

Intanto la donna aveva consolato Lia e, dopo averle recuperato la bicicletta, la accompagna a casa, sana e salva. Per lei, solo un po’ di spavento, niente di grave!

 

UN GIORNO D’AMORE VERO.

Dunque, quel giorno, era uscito dal giardino e aveva posato gli occhi e le mani sul pianeta: quanto si sentiva stanco!, stanco e offeso da tanta protervia; nulla lo offendeva di più della superbia umana, di quel sentirsi superiore, diverso e migliore, persino di Dio! E nulla, nulla!, era più orribile della sofferenza inferta ai piccoli! Occorreva qualcosa di speciale, una misura forte, efficace, senza mezzi termini, per proteggere i piccoli e insegnare ai grandi che la superbia uccide.

Allora la sua mente formulò un pensiero importante, che non era né di vendetta né di odio bensì d’amore e di giustizia.

Ad occhi chiusi, aveva pronunciato questa frase:

 “Ecco i miei bambini: – e lui poteva vederli col suo cuore, uno ad uno, tutti i milioni che erano – dall’alba al tramonto, per un giorno intero, Dio sarà il vostro scudo. Nessuno potrà levare la mano su di voi, per farvi del male, senza trovare la morte. Per un giorno intero, dall’alba al tramonto, voi sarete al sicuro, nella mia fortezza.”

………………………………………………………………………………………………………… Ora li stava aspettando, lì nel giardino. Sarebbero arrivati tutti insieme da un momento all’altro, in catene, con i ceppi al collo, sopra carri che li avrebbero portati all’inferno di lì a poco.

Era contrito e dispiaciuto. Li aveva amati, nonostante tutto. Aveva dato loro un avvertimento che avevano ignorato. Liberamente, come lui aveva sempre voluto, avevano scelto, ma non ciò che lui si augurava. 

Presuntuose, sciocche, povere creature!!!

E ora, Lui cosa avrebbe dovuto dire? Li avrebbe guardati negli occhi uno ad uno ed avrebbe detto loro addio. Null’altro poteva, a questo punto, se non abbandonarli al destino che avevano scelto. Liberamente.

In compenso, l’angoscia per questi figli persi era lenita dal piacere di non aver sentito il dolore dei bambini per un giorno intero. Un giorno lunghissimo, bellissimo, fatto solo di genitori premurosi, di sguardi ammirati e benevoli, di mani posate su loro per accarezzarli con tenerezza e amore e rispetto. Un giorno di risate cristalline, di giochi infantili, di sonni sereni, di fiabe e filastrocche, di voli della fantasia.

Un giorno d’amore vero.

Sì, il suo cuore era di nuovo pieno di speranza. E chissà se in futuro, non sapeva quando e come, avrebbe potuto ripetere di nuovo questa esperienza meravigliosa, di vedere e sentire i bambini di tutto il mondo felici, senza però dover ricorrere a rimedi così speciali… Ma si sentiva pronto, prontissimo a rifarlo, se fosse servito ancora.

Ed in cuor suo sapeva qual’era la verità….

Il ragazzo, nel carro, piangeva. Vomitava, e piangeva, incatenato ad altri dannati al par suo. Se Lia fosse stata lì, stavolta non avrebbe osato neppure guardarla, indegno e miserabile qual’era..… Come aveva potuto? Come aveva potuto ridursi così? Quella voce era LA VOCE: l’aveva riconosciuta. Ora sapeva e capiva.

Ma….

Ora era troppo tardi.

                                                            UN GIORNO TERRIBILE.

Quel 6 aprile 2010 era un bel rompicapo!

A Tucson, nell’Università dell’Arizona, la D.ssa Ricci, ricercatrice di origini italiane, ci lavorava da un anno, ormai, e non era riuscita a cavare un ragno dal buco. Per i suoi studi, la dottoressa raccoglieva le informazioni sui decessi avvenuti in tutto il mondo, da un decennio ormai, incrociando i dati al fine di rilevare le cause di morte più frequenti fra gli esseri umani, creando le statistiche più varie, alla ricerca di elementi particolari e ricorrenti che potessero svelare un qualche segreto della natura, celato dietro ai fatti più disparati e apparentemente incoerenti. Quel 6 aprile era accaduta una cosa inspiegabile: un picco di decessi improvvisi, in ogni parte del mondo, apparentemente senza motivo. Uomini di ogni età, etnia, religione, in tutti e cinque i continenti, erano morti , fulminati da un morbo sconosciuto. Un malore, diceva il referto medico di tutti. Non era un ictus né un infarto né altro evento conosciuto dalla medicina ma un malore: semplicemente, il loro cervello era scoppiato e il cuore aveva cessato di battere, di punto in bianco. Erano soprattutto uomini, ma c’erano anche delle donne tra loro, senza nessun legame, nessun elemento fisico, psicologico, sociale, biologico, ambientale comune. Era un fatto anomalo, senza base logico-statistica, senza precedenti.

Era un mistero.

Ora, ad un anno di distanza, la dottoressa tentava ancora di elaborare i dati. Erano morti quasi mezzo milione di esseri umani nello stesso giorno senza una spiegazione apparente: ma doveva esserci un perché!

“Livia, hai saputo cos’è successo in città? – Felix, l’assistente della dottoressa entrò nello studio, con il giornale aperto tra le mani, leggendo l’articolo e camminando, tra le attrezzature di laboratorio.

La dottoressa alzo’ gli occhi per un istante dal videoterminale e guardandolo avanzare a zig zag tra i sofisticati strumenti di lavoro, gli fece cenno di no, col capo, non appena lui le rivolse lo sguardo.

“Una donna è stata aggredita nel vicolo, accanto al McDonald’s in pieno giorno!”

“Chi è? La conosciamo?”

“No, sembra sia una turista europea. Le hanno rubato la borsa e l’orologio e l’hanno picchiata; a calci, l’hanno presa…”

“Che bastardi! Li hanno arrestati?”

“No, la polizia li sta cercando. E la donna è salva per miracolo solo perché nel vicolo è passato un bambino che l’ha vista ed ha chiamato i soccorsi. In gamba, il pargoletto, vero?”

Le parole di Felix si allontanavano come lo scemare di un’eco…. “Un bambino ha chiamato i soccorsi…” quella frase fu come l’accensione di un faro nel buio; la dottoressa trasalì!

E mentre Felix, ignaro, continuava la sua disquisizione su come i ragazzini di oggi crescono più in fretta, sono più svegli ed in gamba di un tempo blablabla…, la dottoressa aveva aperto il file del 6 aprile e cominciò ad aprire qualche verbale a caso riguardante il ritrovamento dei corpi.

Non riusciva a credere ai suoi occhi: in tutti i verbali, c’era la presenza di un bambino, presente sul luogo del decesso per i motivi più disparati: in alcuni casi, molti in verità, era il bimbo ad aver attirato i soccorsi, in altri si trovava in casa con il deceduto, che era un parente o un genitore, in altri ancora si trovava sul posto, senza un motivo preciso perché il deceduto era un perfetto sconosciuto; in altri casi ancora, c’erano dei bambini piccolissimi, affidati alle cure del defunto.

I bambini erano l’anello mancante, quello che legava tutti, ma proprio tutti!, i fatti avvenuti il 6 aprile nel mondo.

E la dottoressa, freneticamente, continuava ad aprire i file e a trovarci sempre la stessa informazione.

Che scoperta straordinaria!!! Finalmente, aveva trovato quello che stava cercando da mesi……

All’improvviso, però, smise di digitare furiosamente alla tastiera e alzò gli occhi al cielo, fissa sul soffitto e pensierosa, così assorta che non si era accorta che Felix aveva smesso di parlare, né che l’aveva guardata stupito, né che aveva tentato di parlarle e soprattutto non si era accorta che, scossa la testa rassegnato, se n’era andato..….

Cosa aveva scoperto, in realtà?

Che significava quello che sapeva ora? Che c’entrano i bambini in una storia di morte, come questa? Cosa c’entrano i bambini? Eppure doveva essere così. Erano loro, la chiave di volta in tutta questa faccenda.

“Bambini assassini? – disse sottovoce.

In qualche modo, i bambini c’entravano con la morte di uomini e donne di ogni razza, età e professione, in ogni angolo del mondo, tutti nello stesso momento o quasi. In massima parte si trattava dei loro stessi genitori o di parenti, persone a cui erano affidati o che volevano loro bene, mentre altre volte erano dei perfetti sconosciuti, dei passanti, dei turisti.

La dottoressa cominciava a sentirsi inadeguata. Dentro di sé nutriva il dubbio che avrebbe fallito il suo obiettivo e pian piano stava maturando la seria e sgradevole convinzione di non riuscire, con la sua adorata statistica e tutta la sua affermata e stimata razionalità, a risolvere il caso. Era come se quella verità le sfuggisse volutamente, come se si fosse andata a sistemare al di là, appena appena al di là!, del raggio d’azione della ragione, e se ne facesse gioco…. E la matematica, la logica, il ragionamento fossero lì a girare in tondo, come trottole in uno spiazzale, senza poterla raggiungere e svelare.

Ma che cos’era accaduto quel terribile 6 aprile 2010 sulla Terra?

Eh già, “terribile”……L’essere umano difficilmente comprende le situazioni. Non discerne il bello dal brutto, l’utile dall’inutile e, tantomeno, il giusto dall’ingiusto.

Il 6 aprile 2010 sulla Terra è accaduto quello che doveva, da tanto tempo. Mai nulla di più giusto e di più equo si era verificato prima, nella storia dell’umanità: i piccoli, quel giorno, sono diventati grandi, divini, intoccabili, pur rimanendo piccoli. I grandi li hanno solo amati, solo rispettati, solo accuditi e solo protetti, diventando ancora più grandi.

E il pianeta Terra ha vissuto il giorno più bello dalla sua creazione: il giorno del RISPETTO.

 

 

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