Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2010 “I lineamenti del nulla” di Giovanna Astori

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2010

Si svegliò una mattina qualunque, in un letto disfatto.

Accanto, una donna nuda, avvolta in parte in un lenzuolo grigio azzurro.

In bocca un lieve sapore metallico e schiumoso, nessuna idea di cosa avrebbe visto specchiandosi. Una luce indefinita filtrava da fuori; si guardò le dita della mano e realizzò che non sapeva nulla. Non ricordava nulla di sé, della persona che si ritrovava nel letto (sarà il mio letto?), della casa che gli si allargava attorno.

Indugiò, in dubbio se alzarsi o aspettare (e se si sveglia, cosa le dico?)

Sedette sul bordo, i piedi toccavano il legno fresco e liscio. Forse, pensò, è meglio provare a cercare qualche indizio a tentoni, prima che questa donna pretenda qualcosa.

Esplorò lo spazio fino alla cucina, aprendo armadi, il frigo; trovò quel che cercava e preparò un caffè. Punto primo: era in grado di compiere delle azioni. Sapeva fare. Ma del resto, nulla. Nella sua memoria c’era solo una parola: Taurus. Né un nome, né un luogo, un mestiere, nulla.

Mentre l’aroma pungente si spargeva nelle stanze, avvertì un mugolio.

(Eccola, dev’essersi svegliata. Cosa faccio ora? Calma, lasciamo fare a lei…)

In un attimo se la trovò al fianco, vestaglia di raso blu.

«Buongiorno. Hai fatto il caffè!»

«Sì, vieni, prendine una tazza. Dormito bene?»

Lei lo guardò interrogativa.

«Hai voglia di scherzare?»

(Andiamo bene… chissà che ho detto.) «Zucchero?»

«Ah ah ah! Sì, grazie, due. Tu invece amaro.»

(Grazie per l’indizio, ma chissà perché lo dà per scontato. Sembra che mi conosca bene. Forse è mia moglie? No, impossibile, né io né lei portiamo le fede).

Gli si avvicinò sinuosa, fece scorrere il raso della vestaglia e prendendogli le mani si lasciò accarezzare a lungo su tutto il corpo latteo increspato dai brividi. Poi bevvero il caffè mescolandolo labbra a labbra, amaro e dolce.

«Ehi, bello, chi l’avrebbe mai detto?»

(Chi avrebbe detto cosa? Aiuto, chi sono, chi è questa bella gattina? Panico. Devo farmi guidare da lei, per capire).

«Già. Chi l’avrebbe detto» e la baciò ancora. Baciarla gli dava una scossa animale, ma aveva l’impressione di non conoscere poi tanto quella donna. Forse era solo una sensazione dovuta all’amnesia. Si staccò da lei, guardando l’orologio si accorse che erano le dieci passate. Pensò che forse avevano qualche impegno insieme.

«Che si fa?» mentre lo diceva si rese conto che non aveva neanche aperto le serrande e non aveva idea di dove si trovassero. In città? Al mare? Era inverno? Estate? Lasciò parlare lei.

«Beh, questo devi dirmelo tu. Sei tu la mia guida.»

Brivido freddo. (Qui ci vuole un’idea. Quindi non è un giorno lavorativo, lei forse è mia ospite. Questa, dunque, potrebbe essere casa mia…)

«Hai ragione, cara (potrò chiamarla cara?). Ma vorrei accontentarti.»

«Ti piace tanto giocare, eh? Ovvio, sì. Bene, come vuoi. Esprimo un desiderio, ma sei tu quello che sa come muoversi.» Altro brivido. «Andiamo alla scoperta della città!»

Dunque cominciava ad avere qualche elemento, ma più ne aggiungeva più sembrava che il quadro fosse sfocato. Lei lo conosceva abbastanza, ma allo stesso tempo pareva quasi estranea. Si trovavano in città, probabilmente la sua città o forse no, comunque per quella donna doveva essere un luogo sconosciuto. Si rese conto improvvisamente di non conoscere il nome di lei. Problema trascurabile: bastava non chiamarla.

«Facciamo prima una doccia?»

Senza rispondere lo prese per mano guidandolo verso il bagno, un’ampia stanza di mosaico azzurro.

«Preferirei questa…» gli indicò la grande vasca circolare nella penombra. «Preparo tutto, torna qui fra un minuto.» sussurrò, spingendolo dolcemente verso la porta.

Decise di fare un giro per la casa, alla ricerca di frammenti noti o di indizi. Le note di un jazz freddo cominciarono a salire dal bagno.

Se lei non lo avesse avvolto in quel languore sarebbe già entrato nel panico. Invece si sentiva ovattato, come sospeso nel nulla.

La libreria era piena di volumi di valore, soprattutto cataloghi di design e arte. Una sezione era completamente dedicata alla letteratura. Classici, attuali. Sfogliò alcuni volumi, li riconobbe vagamente.

Aprì le finestre e un panorama cittadino gli si spalancò davanti: la casa doveva trovarsi in qualche luogo elevato, una collina forse. Tuttavia non gli sembrò di riconoscere nulla. Come avrebbe fatto a guidarla in giro senza destare sospetti? Pensò che forse, l’unica strategia possibile era di simulare, aspettando risposte da lei che potessero aiutarlo a delinearsi. A trovare i suoi confini. A darsi un colore. Avvertì un groppo alla gola, interrotto bruscamente da due mani che gli carezzavano la schiena.

«Vieni, è tutto pronto.»

La seguì. Sparirono insieme nella schiuma avvolgente.

 

***

 

Un coupé grigio metallizzato li attendeva nel cortile.

«Guido io?»

Lei sorrise sgranando gli occhi: «Certo, sono i patti.»

Mettendo in moto pensò che doveva avere una patente da qualche parte, e che lei ne era al corrente. Con naturalezza infilò la mano nella tasca interna estraendo un porta documenti, per un attimo pensò a un’ancora di salvezza, almeno un barlume. La patente c’era, ultima generazione: un tesserino blu; né un nome, né una foto, solo un chip. L’impronta della sua vita era lì, dentro quel rettangolo di plastica, ma non poteva leggerne un singolo indizio. Speranza vana. Rimise tutto a posto e partirono.

Scese la collina, un paesaggio dolce di campagna, poi seguì le indicazioni per il centro della grande città.

«Proseguiamo a piedi» le disse fingendo, nella speranza di un aiuto involontario da parte di lei. «Ti faccio una proposta: non ti racconto nulla della città, sarai tu a chiedermi notizie delle cose che incontreremo e che ti incuriosiscono.»

«Affare fatto» gli avvitò il braccio intorno al gomito come una fidanzata innamorata. «Per quel che ne so, dovresti avere delle belle storie da raccontare!»

(Per quel che ne sa! Allora è vero che non mi conosce poi così bene…)

«Cercherò di soddisfarti in tutti i modi.» (leggi: inventerò)

Fu una lunga passeggiata intervallata da racconti fantasiosi di una città per lui insignificante, ma di una bellezza notevole. Forse sono uno scrittore – si chiedeva – o uno studioso d’arte, chissà.

Sostarono a pranzo in un ristorante alla moda. Mentre esaminavano la carta sentì vibrare la giacca, e poi improvvisa la quinta di Beethoven. Il telefono! Squillava il suo telefono! Numero privato. Domanda inquietante: rispondere o no? Decise di sì.

«Pronto?»

«Pronto?»

«Sì?»

«Pronto? Pronto? Mi… tu tu tu tu tu»

(‘Mi…’ cosa avrà voluto dire? Michele? Mirko? Chissà, magari il mio nome. O forse solo ‘Mi senti?’. Una donna…)

«Allora? Noie? Perché non lo spegni?»

(meglio di no, non potrei riaccenderlo senza il pin)

«Lascia stare, meglio di no. Magari è importante e richiameranno.»

Aprì di nuovo la carta mettendosi al suo fianco con un gesto di intimità.

«Scegliamo. Pesce o…»

«Come, pesce? Scusa, ma tu non eri…»

(Sarò allergico? Avremo già parlato di qualcosa che riguarda il pesce? Non è che sono vegetariano?)

«Infatti. Pensavo per te. Io vorrei questo ‘speciale veg del giorno’» si riprese velocemente.

«Ottimo. Facciamo per due. E vino.»

Pensò che non poteva tirare avanti tanto a lungo così. Ora forse avrebbero cominciato a parlare di questioni più personali come spesso succede a tavola, e si sentiva già con l’acqua alla gola. Tornò a sentire in bocca quel retrogusto metallico con cui si era svegliato, mentre nella sua testa si faceva spazio un urlo disperato. Non riusciva a recuperare nemmeno un frammento della sua identità. Era un contenitore vuoto, o un vuoto che non riusciva a ricondurre a una forma. Un pesce guizzante in un gorgo buio.

Durante il pranzo lei raccontò a lungo di sé, lasciandogli la possibilità di tacere seguendo il cliché del maschio medio di poche parole. Per lo meno poté capire che si conoscevano da poco, magra consolazione. Ma allora perché sembrava sapere con certezza quei dettagli di lui?

Uscirono dal locale in silenzio. Lui decise in quel momento che non avrebbe più cercato risposte. Si sarebbe fatto trascinare dal flusso della corrente, plasmare dalle frasi di lei, diventando quel che era possibile diventare: una mezza immagine del vero sé stesso. Fu preso da una vertigine violenta.

«Passeggiamo ancora un po’?»

«Come vuoi. Ma poi torniamo, dobbiamo prepararci per l’appuntamento.»

A quel punto la vertigine fu totale. Avevano un impegno prestabilito insieme. Ma dove, per far cosa? Cercò un indizio.

«Sai che sono un po’ distratto. Conto su di te per tutte le coordinate. A che ora è l’evento?»

«Alle otto. Anzi, dalle otto in poi. Ci saranno tutti, non sei emozionato?»

«Abbastanza. Abbiamo tutto pronto?»

«Io sono prontissima, porta te stesso e questo basta.»

Mai avrebbe potuto dargli risposta più sgradita.

«Infatti, me stesso.»

Si avviarono all’auto ascoltando solo la brezza che scuoteva i platani nella penombra del tramonto.

A casa fecero di nuovo l’amore. Lui stavolta non fu così coinvolto, aveva pensiero solo per il dopo. Visse quell’amplesso come uno scuotimento di corpi, in cui gli pareva di percepire il tintinnio di una monetina dispersa nella sua testa, nel vuoto. Solo per pochi istanti fu sopraffatto dal piacere, riuscendo così a scacciare quella fitta di disperazione e afasia totalizzante: la sensazione di essere nessuno, e allo stesso tempo di poter essere chiunque.

Poi si preparò, con un completo molto elegante che aveva trovato in un porta abiti nella stanza da letto. Si guardò a lungo nello specchio, gli occhi si appannarono per un momento. Forse, pensò, la serata poteva servirgli per recuperare la memoria. Ultima spiaggia.

Seguirono la mappa che lei aveva stampato. L’auto entrò nel viale della villa e percorse tutto il parco fino all’ingresso principale, svoltando appena prima per il parcheggio.

«Sei emozionato? Cosa dirai, cosa farai? Sarai a tuo agio?»

«Quante domande» non sapeva davvero cosa rispondere, e dopotutto ormai era pronto a qualsiasi situazione: non avendo più nemmeno sé stesso, non aveva davvero nulla da perdere «Farò quel che farò.»

«Entriamo insieme? O preferisci andare ognuno per conto suo? Non mi offendo.»

«Insieme va bene. Fa lo stesso.»

 

Aprì il portone un uomo alto in livrea, che li accompagnò all’ingresso.

«Prego signori, scegliete le vostre maschere» disse indicando un tavolo su cui erano allineate decine di mascherine dalle fogge più varie. «Permettete, voi siete i signori?»

«Keyra blue e Taurus, di Zucchero.net, grazie» si fece avanti lei.

Mentre sceglievano e indossavano le maschere l’uomo tornò con due segnanome, e li appuntò a entrambi sul vestito: KEYRA BLUE e TAURUS.

«Prego, accomodatevi e buona serata.»

Dall’atrio ampio occhieggiava un’insegna: ‘Primo raduno internazionale degli avatar’.

In quell’istante, entrando con lei al braccio nel salone gremito, ebbe la certezza che non si sarebbe mai più ritrovato.

 

 

 

 

 

 

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9 commenti »

  1. Bellissimo, molto avvincente fino all’ultima riga. Brava Giò!

  2. avvincente davvero. Particolare anche il titolo.

  3. L’ avevo letto già, anche se non commentato.

    Chi sono? Non mi riconosco più. Mi manca l’avatar (eheheh immagina una città abitata d’avatar).

  4. eccomi qui, complimenti, la fantasia è una grande forza!

  5. Bellissimo, avvincente fino in fondo.
    Scritto benissimo, vivace, con molta fantasia.

    Mi ci vedo anche un pò, a volte mi trovo in mezzo a tante persone e mi estraneo totalmente.
    Ma penso che succeda anche ad altri.

    Giovanna sei stata bravissima

  6. grazie a tutti per i commenti!
    Giovanna

  7. aggiungo un commento al mio racconto che mi è arrivato in altra sede. lo trovo particolarmente interessante, e se qualcuno passa di qui mi piacerebbe condividerlo!

    Gio

    “mi è sembrato di intuire un doppio significato: naturalmente il primo è quello più eclatante della dualità nick/persona e come per alcuni/molti possa esserci un sopravvento di uno sull’altro fino a mutuarsene, perdendocisi.
    ma il secondo è ancor più interessante: l’uomo, il genere maschile e la sua identità “storica” che traballa ma che si nega, facendosi scudo di piccole furbizie e spacconate “tradizionali”, troppo orgoglioso per chiedere aiuto e finendo per evidenziare una sua spersa dipendenza.”

  8. un articolo di oggi, in qualche modo ‘speculare’ al mio racconto:

    http://www.repubblica.it/scienze/2010/06/10/news/avatar_perfetto-4720732/?ref=HRERO-1

  9. Un racconto originale, moderno, a tratti misterioso, in ottimo stile. Brava Giovanna.

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