Premio Racconti nella Rete 2010 “Quello strano ospite nel mio water” di Raul Alvarez
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2010
Quanto sto per raccontarvi mi imbarazza. E non poco. Ma devo cominciare proprio da lì, da tutte quelle sedute strazianti, quelle energie spese a vuoto per approdare a un nulla di fatto.
Espletare le funzioni intestinali era diventata la mia ossessione, il mio incubo quotidiano sin da quando, bambino, la mamma mi spiava da dietro la porta mentre la facevo nel vasetto. Poi, a missione compiuta, chiamava a raccolta i membri della famiglia per mostrare a tutti quanto fossi stato bravo. Come non bastasse ci si metteva pure il cane, Isidoro, ad annusarmi con insistenza mentre ero ancora sul water. Un assedio, insomma. Ma il colpo di grazia arrivò qualche tempo dopo. Una zingara cui avevo rifiutata l’elemosina mi disse:
– Va’ a cagare.
Da allora iniziarono i miei problemi. Un blocco intestinale mandò in avaria tutte le operazioni di drenaggio. Mal di pancia, giramenti di testa. Finché una notte tracollai sul water.
– Morirò cacando – annunciai rassegnato. E svenni.
All’ospedale mi operarono d’urgenza. Dicono che quando fu estratto dal mio corpo quell’ospite ingombrante rimasero tutti intontiti a guardarlo: era enorme e di una forma mai vista, sembrava persino avesse gli occhi. Uscendo emise un lieve sibilo, puf, e si disintegrò di colpo come un alieno.
Questo è il flashback. Mi è tornato in mente stamattina, mentre ero impegnato in una di quelle mie sedute laboriose e insolventi. Quando sembrava che qualcosa stesse finalmente per muoversi, avvertii un tremolio salire dal water e crescere di colpo. Tremò il pavimento, tremò il soffitto, tremarono le mie natiche, tremarono i pensieri.
– È un terremoto! – dissi mentre trotterellavo verso la porta con le braghe calate. Stavo per fuggire quando mi accorsi che quel trambusto veniva dal water. Un’ombra cominciò a disegnarsi sul soffitto. Ero confuso, terrorizzato. In un lampo di incoscienza mi affacciai sulla soglia: dentro la tazza vidi un cratere in eruzione. Poi, dal fondo, mi sembrò di scorgere una cosa oscura e massiccia. Avanzando prendeva forma. Finché quello che pareva un muso allungato si affacciò all’esterno.
Era verde, cosparso di scaglie squamose sulle cui punte erano appesi, come trofei, i resti delle fogne. Ribrezzo e paura m’inondarono. Saltai all’indietro e afferrato lo spazzolone glielo puntai contro. Lui mi guardò perplesso digrignando i denti. Poi ci fu una tregua. È allora che liberò quel suo fraseggio indecifrabile:
– Odnacac òrirom, Odnacac òrirom- ripeteva.
Quando il suo muso fu completamente fuori mi sembrò di riconoscerlo: era un coccodrillo o qualcosa del genere.
“Allora non è una leggenda metropolitana quella dell’alligatore stercoraro che vive nei water nutrendosi di escrementi e, ogni tanto, esce allo scoperto per uno spuntino più prelibato!”, pensai tremando. A valutare dalle sue proporzioni questo doveva essere ben nutrito. Era di un formato gigante. Fece vari sforzi per uscire del tutto. Alla fine ci riuscì. Io rimasi a guardarlo senza la forza di fuggire o di attaccare.
– Odnacac òrirom, Odnacac òrirom – ripeteva imperterrito.
Poi la sorpresa.
Osservandolo meglio da vicino notai nel suo aspetto qualcosa di stranamente familiare. Gli occhi, grandi come biglie, ricordavano quelli dello zio Olindo che era ipertiroideo e quando occhieggiava verso di me bambino, mi spaventava a morte. Lui naturalmente se ne accorgeva e si divertiva un mondo a dilatarli ancora di più, proprio come il mostro che ora avevo davanti.
Mi alitò in faccia e cominciò a fiutarmi, come mi avesse riconosciuto.
– Cosa hai da guardare? – urlai.
La sua risposta fu:
– Odnacac òrirom, Odnacac òrirom.
La pelle del muso era cosparsa di pustole, simili a quelle che mi torturarono nell’adolescenza, spegnendo i fuochi dei miei primi amori. Le ragazze mi chiamavano Pustolino e se la ridevano. Ridevo anch’io, ma di rabbia. E giù a grattarmi. Ora notavo anche che il suo muso era cosparso di peli, ispidi come fili di scopa, simili a quelli di nonna Matilda. Ogni volta che mi abbracciava li strofinava sulle mie guance imberbi. Ad ogni stretta un’infilzata. E guai a schivarla, si offendeva a morte. Poi però la mia pelle s’infuocava. Ed erano dolori.
Ma più di tutti mi sbalordirono i suoi genitali: aveva due grosse sfere venazzute con al centro una protuberanza da far invidia a King Kong. Ricordai la volta in cui un mio compagno di classe, ripetente, si calò le braghe per mostrarmi le sue virtù. Mentre vedevo quella cosa spaventosa lievitare fra le sue mani ebbi una terribile premonizione, e cominciai a correre. Non mi sbagliavo. Infatti prese a inseguirmi con quel coso irrequieto che agitava fra le mani senza sosta, intenzionato a farmelo conoscere più a fondo. Ma per fortunata inciampò su uno spigolo. E la sua virilità ricevette l’estrema unzione.
Quel mostro stava risvegliando tutte le mie ossessioni. Non era solo uno strano animale, era la quintessenza delle mie fobie. Ma cosa voleva da me e perché era riemerso dagli abissi della melma? Per dirmi cosa?
– Odnacac òrirom, Odnacac òrirom – ripeteva imperterrito.
– Chi sei veramente? – chiesi a quel punto.
Stava per dirmelo quando, puf, sparì di colpo. Non sapevo che pensare. Mentre ci riflettevo avvertii un alone vaporoso espandersi sullo specchio alle mie spalle. Mi voltai di scatto. Su quella superficie liscia e umida una frase cominciava ora a prendere forma. Incredibile! Era ancora quel maledetto ritornello “Odnacac òrirom”.
Ma stavolta allo specchio, si stava componendo al contrario. Solo allora potei decifrarlo. Stupore e sgomento mi tramortirono. Cominciai a tremare. Era il mio monito scritto al contrario:
“Morirò cacando”.
Rimasi senza parole. E fissai lo specchio. Il mio viso era mutato. Davanti a me ora c’era un enorme predatore che mi scrutava perplesso. Io ero lui e lui era me. Insieme formavamo un gigantesco alligatore stercoraro. Stavo per urlare ma dalla mia bocca non partì alcun suono. Solo un sibilo, puf. E di colpo sparii anch’io come l’ospite, in fondo al water.