Premio Racconti nella Rete 2018 “Prima degli esami” di Marianna Guida
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2018
C’è stato un tempo in cui, pur avendo rifiutato categoricamente ogni intrusione dei miei nei miei studi, perché in quell’ambito speravo di poter raddrizzare un’ autostima un po’ sbilenca, piaceva sia a me che a mio padre che io ripetessi a lui tutto il contenuto dell’esame universitario che avrei sostenuto l’indomani mattina. Non importava quale ne fosse il contenuto, i cui dettagli, nei quali io pur mi addentravo pedissequamente, poteva darsi che mio padre ignorasse, parzialmente o del tutto. I nostri studi, pur afferendo infatti a un’area comune, differivano per il fatto che io avessi lasciato Lettere per iscrivermi a Filosofia, in un guizzo di indipendenza e di preveggenza sugli sviluppi futuri che si era manifestato a solo un mese dall’inizio delle lezioni. Quando c’era l’esame in vista, e io analizzato e scomposto in una dissezione meticolosa tutti i contenuti, lui veniva da me, come guidato da un foedus implicito tra d noi e mi diceva : Me lo vuoi ripetere? Anche se non ne sapeva nulla degli argomenti dell’esame. Arrivata quasi in dirittura finale, quando i quaderni fitti fitti di annotazioni erano stati oggetto di scrupolosa analisi, quando i libri erano ormai tutti disseminati di noticine a piè di pagina, estratto estremamente liofilizzato di quanto avevo studiato, quando da ogni angolo spuntavano fogliettini pieni di grafemi comprensibili solo a me, solo a quel punto il flusso dell’intero percorso poteva convogliarsi nelle orecchie di mio padre. Tutto il sapore della fatica, tutte le asperità dello studio sciolti come i nodi che solo i marnai esperti sanno districare. Mio padre, allora, si metteva comodo, in una poltroncina che lo accoglieva, lui così restio ad assumere atteggiamenti rigidi. Tutta la sua postura rilassata tradiva una consuetudine intima e per niente cattedratica col sapere, nessun cipiglio nel suo sguardo che potesse prefigurare un rimprovero. E a me non serviva per fugare residui di incertezze, che pur dovevano esserci. Tale “recita” poteva infatti seguire uno studio di mesi o di giorni. Ma era in quel quarto d’ora che si giocava la credibilità delle conoscenze che andavo maturando. In quei pomeriggi papà sprofondava nella poltroncina manifestando un interesse autentico, privo di pregiudizio. Certo, lo sguardo presupponeva un autompiacimento appena accennato, ma lui provava sempre a dissimularlo dentro le pieghe di un sorriso sornione e ironico. Perché sì, questo poi l’ho imparato tempo dopo, si impara meglio quando si scherza, quando si vuol capire con gratuità. In questo modo in me si diluiva quell’ansia che pur doveva esserci, quella paura vorace come una bestia feroce che ti prende tutte le volte in cui devi mostrare che vali in un ambito che ti sta tanto, troppo a cuore. Ma nella narrazione le preoccupazioni si dissipavano, ed era come una nebbia che si diradava lasciando il posto a un quarto d’ora perfetto. Indipendente da come poi sarebbero andate le cose il giorno dopo.
Scritto davvero bene, brava. Hai un lessico ricercato che impreziosisce.
Grazie! Le parole sono un po’ il viatico che apre lo scrigno della memoria
Che meraviglioso racconto, che meraviglioso rapporto padre/figlia riassunto in poche righe. E poi del resto, prima di entrare in scena, occorre sempre fare le prove! Una narrazione piacevole e fresca.
Grazie!!! È una scrittura che nasce dalla necessità di ricomporre una storia e un senso!
Comlimenti ! Sembra di vederli, il tenero e assorto papà in poltrona che ascolta sommessamente ammirato e la figlia così piena di incertezze ma nello stesso tempo tanto amata e incoraggiata. E come in un incanto traspositivo, in quella poltrona ci vedo seduto il mio , che forse mi mostrava fiducia in modo diverso . Brava !
Grazie Elisa! Certi ricordi affiorano in punta di piedi, ma poi chiedono di essere raccontati
Cara Marianna, anch’io leggendo il tuo racconto sono andata un po’ indietro nel tempo, quando facevo un rito simile con mia madre. Perciò ti ringrazio e ti faccio i complimenti per la semplicità con cui hai raccontato le notti prima degli esami. Il finale arriva come un treno carico di amore, tanto che mi è venuto in mente un altro titolo – Un quarto d’ora perfetto – ma è sicuramente migliore il tuo! In bocca al lupo!
Grazie Lucia, il tuo titolo avrebbe funzionato alla meraviglia! Penso che molti di noi abbiano ricordi intensi e decisivi per la nostra identità. Bisogna solo provare a connettersi con quella persoba che siamo stati tanti anni fa
Uh! Anche a me, come a Lucia, hai fatto tornare in mente le ore di narrazioni incongrue delle mie materie d’esame (le mie così le ricordo) davanti a mia madre che fingeva di ascoltarmi mentre lavorava all’uncinetto, alla luce che le veniva da dietro la finestra. Il mio quarto d’ora perfetto era sempre quello del giorno dopo, perchè mia madre era un abbraccio largo che raccoglieva il mare.
Sono quei momenti in cui non si ha bisogno d’altro, perché sono quelli i momenti in cui capisci cosa significa accoglienza incondizionata. Momenti da custodire
Una storia che si incastra molto bene con lo stile narrativo. Complimenti.
Grazie!