Premio Racconti nella Rete 2018 “La clessidra” di Pietro Garuccio
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2018Foderò la cassetta di legno con la carta montagna e la pose, poggiata sul lato più lungo, sopra un rialzo a ridosso dell’angolo. Lo sguardo di sua madre lo seguiva con discrezione dalla cucina. Suo padre lo assisteva seduto davanti a due scatoloni di cartone pieni di addobbi e di cianfrusaglie. Volle subito piazzare il bue e l’asinello, Maria e Giuseppe, la mangiatoia. Aveva fretta, Salvo. Il tempo per lui non era un concetto astratto. Lo percepiva dentro la sua testa, lo sentiva scorrere via inesorabile come la sabbia che precipita giù nella clessidra. Suo padre tirò fuori dallo scatolone il bambinello, ma lui lo rifiutò.
“Passami il soldato col casco blu.” Lo adagiò sulla mangiatoia e lo coprì col batuffolo di cotone. Mise altri sei soldatini in mimetica dentro la grotta, tanti quanti erano con lui quel maledetto giorno.
Sua madre trepidava a vederlo, a pancia in giù sul tappeto del soggiorno, muoversi a fatica per creare il suo personale presepe. Da bambino era il suo passatempo preferito. Lo montava e lo smontava in qualsiasi periodo dell’anno, sempre diverso e sempre fantasioso. Il tavolo non bastava mai e allora ricorreva a prolunghe improvvisate. Ma adesso non aveva più le forze per stare in piedi a lungo ed era ricorso, per la base, a una pedana addossata a due pareti.
Guardò e riguardò la composizione della grotta, con movimenti sempre lenti spostò e rispostò i soldatini, infine piazzò l’angelo, che reggeva la fascia con la scritta Gloria, penzolone sulla parte superiore della cassetta.
Poi acconsentì a farsi accompagnare a letto. Era affaticato. Le terapie lo fiaccavano. Doveva recuperare energie: alle quattro veniva Angela.
L’aveva chiesto alla madre con grande imbarazzo, ma meglio a lei che al padre. Superato un breve periodo di sbigottimento, lei si attivò per soddisfare la richiesta del figlio. Si rivolse a due cooperative che assistevano disabili, ma non ottenne alcuna indicazione. Non si scoraggiò. Si consultò allora con una sua cugina, mamma di un giovane sulla sedia a rotelle, e questa la indirizzò da Angela.
Salvo non aveva appetito e non se la sentì di alzarsi. I genitori pranzarono presto perché il padre aveva il turno pomeridiano in ospedale. Era un uomo provato dalla malattia di suo figlio; aveva deciso di portare barba e capelli lunghi incolti, divenuti sempre più grigi, fino a quando l’Esercito non avesse riconosciuto la causa di servizio per la leucemia del ragazzo.
Salvo si alzò soltanto per prepararsi all’incontro e si sedette sul divano del soggiorno con le cuffiette per ascoltare un po’ di musica e attenuare la tensione dell’attesa.
Angela arrivò puntuale. Si presentò a madre e figlio affabilmente, tolse il giaccone e mostrò un abbigliamento sobrio sopra un corpo giovane e avvenente.
Presero il caffè parlando del presepe e di poco altro, tanto per scacciare la cappa d’imbarazzo che incombeva sulle loro teste.
La ragazza prese per mano Salvo e si fece accompagnare a vedere il presepe. Si piegò sulle ginocchia per osservare meglio la grotta. Le sue gambe si divaricarono e la gonna si sollevò, spalancando a Salvo la visione della sua biancheria, distogliendogli lo sguardo dalla camicetta generosamente sbottonata.
La madre di Salvo, in punta di piedi, tolse il disturbo chiudendosi in cucina a nascondere gli occhi umidi.
Il ragazzo prese coraggio e invitò Angela in camera. Lei invece lo dirottò nel bagno.
Si tolse subito la gonna e la camicetta, sotto lo sguardo compiaciuto del ragazzo, rimanendo con gli slip neri e uno striminzito reggiseno rosso, che esaltava le sue forme.
Salvo era rimasto immobile. Lei lo aiutò a togliersi la tuta e a infilarsi nella vasca. Il ragazzo, rimasto in slip, aveva provato a lasciare il cappellino, ma lei tolse anche quello, scoprendo la testa completamente pelata.
Angela indossò i guanti bianchi da cameriera che aveva nella tasca della gonna e cominciò a passare un leggero strato di bagnoschiuma su tutto il corpo del ragazzo. Bagnando e massaggiando, creava una soffice schiuma dove passavano le mani. Il ragazzo teneva gli occhi chiusi per proteggerli dal sapone e per fantasticare meglio; sentì risvegliare il desiderio dalle carezze sulla testa, sulle spalle, sul petto, sui capezzoli, sulla pancia, sulla schiena, sulle gambe, sull’interno delle cosce, sotto gli slip.
Angela andò via poco dopo le cinque, lasciando madre e figlio in silenzio con gli occhi che non s’incrociavano mai.
Il giorno seguente a Salvo, che si sentiva svuotato e irrequieto, venne la frenesia di completare il presepe, contando sull’aiuto fattivo del padre. Piazzò un ponte sopra un ruscello di carta stagnola, una fontanella con l’acqua che zampillava, formò un viottolo con la ghiaia fine, un paio di colline con le scatole delle scarpe, sistemò qualche casetta e mise pastori, pecore, animali, e tutto il variegato mondo dei personaggi del presepe. Le statuine raffiguranti le ragazze le pose abbattute o a testa in giù, ricordandosi delle testimonianze delle donne vittime di violenze in Kosovo. Per ultimo prese un camion di latta e lo pose capovolto davanti alla grotta. Stette qualche minuto a guardare, con i lacrimoni che scendevano inesorabili, il presepe finito e poi ritornò con grande fatica a letto.
Sua madre avrebbe voluto rimboccargli le coperte, ma lui gridò che non voleva. La febbre lo divorava e bruciava la sua pelle.
I pensieri di Salvo giravano vorticosamente nella sua mente, quelli gioiosi e quelli dolorosi, i belli e i brutti, tutti confusi tra loro. Si sentiva seduto sulla sabbia della clessidra; man mano che le pareti della stessa si avvicinavano un brutto pensiero spariva. Via la guerra, via il camion fatto saltare in aria dai proiettili all’uranio impoverito, via la divisa, via l’ospedale, via la chemio, via gli avvocati, via i pianti di nascosto di tutta la famiglia. Fino a quando rimasero solo i ricordi più belli. Sempre più belli.
Afferrò le mani dei genitori e se le portò al petto.
Sentì che si avvicinava inesorabile il collo della clessidra e con l’ultimo fiato sospirò:
“Peccato!”
Davvero toccante e ben scritto!
Complimenti, Roberta
In un crescendo di sensazioni il racconto è molto piacevole e si legge con piacere.
complimenti Roberta, un racconto intenso e toccante e ancor di più per me che da sarda conosce gli esiti dell’uso dell’uranio impoverito in una terra che” in pace” viene venduta come campo di guerra.Brava
Ops,complimenti Pietro!
Poteva scriverlo solo un uomo.
Molto bello e molto giusto ricordare questa grande ingiustizia. Grazie!
Grazie Anna Rosa! Grazie Simona! C’è dentro anche il tema della sessualità nella disabilità e altro ancora.
Il tema della sessualità dei disabili è un tabù molto forte da rompere e di cui parlare, bel tema davvero.
Uno stile efficace e convincente. L’attualità del tema scelto rende il racconto veramente prezioso. Complimenti.
Ho dovuto rileggerlo più volte per trovarne la chiave (almeno la mia, ce ne sono sempre tante in un racconto). C’era sempre qualcosa che mi sfuggiva del protagonista, che mi sembrava indistinto, solo abbozzato, senza parole sue. Poi ho capito che il centro del discorso e la bellezza del racconto erano proprio li’: con il progressivo chiudersi del suo mondo, il protagonista e’ quasi esclusivamente descritto attraverso i personaggi che si occupano di lui e i loro gesti, che accompagnano, seguono e guidano le sue sempre più circoscritte attività. E il tuo stile quasi giornalistico senza scivolate passionali rende ancora più efficace lo svanire nel nulla del protagonista come persona, e più forte la denuncia. Molto molto bravo.
La drammatica storia di Salvo, vittima dell’uranio impoverito (del quale conosciamo, purtroppo, le devastanti conseguenze), si sviluppa tramite le azioni degli altri personaggi, la madre, il padre e Angela. Ma, a mio avviso, quello che più lo caratterizzano sono i ricordi che si materializzano nel presepe. Ho trovato terribile e agghiacciante il suo sostituire le statuine della natività con figure prestate alla guerra, soldatini, caschi blu e soprattutto “ragazze abbattute o a testa in giù” a dimostrazione delle violenze subite. Complimenti Pietro, sei stato bravissimo.
Grazie Pietro, in bocca al lupo e ancora complimenti!
Era un bellissimo ragazzo, il fratello del mio amico, la vittima 322 scrivevano i giornali… Tu mi ricordi il dolore della sua famiglia, tutt’oggi presente, ma con questo scritto mi fai anche immaginare il suo, rappresentato nel presepe: la ricerca di un ricordo d’infanzia, momento di serenità, inevitabilmente deformato dai ricordi più recenti, che vanno sostituendo le cose belle del passato… Statuine nuove e terribili che rimpiazzano le vecchie e rassicuranti. Denso e coinvolgente: fa sentire la sabbia irrecuperabilmente scivolare tra le dita. Bravo.
Brava anche tu, Silvia, che hai colto il dramma dei genitori. Io ho voluto anche fare un omaggio a Vincenzo Agostino..
Pietro,
una miscela di temi (guerra, disabilità, sessualità del disabile, disillusione, dramma familiare e via discorrendo) che rapisce ed ubriaca da quanto è ben amalgamata.
Le tematiche si susseguono leste e con linearità, disvelando a poco a poco l’anima di Salvo, che non può non conquistare il lettore, raccontata con maestria e personalità mediante uno stile diretto ed efficace..
Per gusto personale, ho apprezzato particolarmente l’antitesi “sacro/profano” (passami il termine) che deambula in equilibrio instabile tra le statuine del “presepe personale”: una prestesa santità che si disperde nei meandri di un destino ingrato ed inevitabile, che nulla concede e tutto divora.
Il finale dal retrogusto dolce (che non stucca) chiude una lettura che lascia interdetti e dona moltissimi spunti di riflessione.
Bellissimo.
Complimenti.
Incalzane ed essenziale, senza cadute di tono, senza retorica. Complimenti
Mi associo a quanto scritto da Lorenzo Garzarelli e raddoppio la dose di complimenti.
Una lettura molto riflessiva, in grado di coinvolgere e fare pensare.