Premio Racconti nella Rete 2018 “Sara” di Anna Maria Fumarola
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2018Aveva deciso che il giorno appropriato per mettere in atto la sua intenzione sarebbe stato un venerdì. Di un giorno d’autunno, nella prima mattinata.
Si confidò con poche persone, consapevole della stravaganza del suo proposito.
I suoi migliori amici le dissero che era svitata, avrebbe potuto anche essere pericoloso, non c’era da fidarsi.
Sua madre le aveva chiesto perché volesse farlo e Sara si era limitata a risponderle: “Perché è quello che desidero” e la donna non aveva replicato.
Quella spiegazione le era bastata; sarebbe poi arrivato il tempo per conoscere da sua figlia il vero motivo, se mai ce ne fosse stato uno diverso dalla semplice risposta della ragazza.
Si fidava di lei, che pur avendo solo vent’anni aveva un modo saggio di trattare le persone e averne cura, senza dimenticare di rispettare prima di tutto se stessa.
Figlia unica, fin da piccola aveva dimostrato un carattere riservato ma indipendente, timido ma fermo nelle sue decisioni.
L’abitudine di Sara di parlare alle piante e agli animali era stata inizialmente fonte di ansia nella madre ma aveva lasciato presto il posto ad una serena accettazione.
Ricordava bene quel giorno in cui, andando a prendere la figlia all’asilo nido, la maestra, con un’aria preoccupata e spaventata assieme, le aveva raccontato quello che era accaduto poco prima: la bimba si era messa a piangere disperatamente perché due bambini, rincorrendosi nel corridoio, avevano urtato un vaso di Spathiphyllum che era caduto, rovesciando malamente sul pavimento la pianta e la terra in cui si intravedevano le radici.
Sara continuava ad urlare, con il visetto contratto in una smorfia di sofferenza: “Male, male!!”, indicando l’arbusto a terra, e gli adulti intorno compresero che la bimba stava piangendo e soffrendo per lo Spathiphyllum.
Non ci fu verso di rincuorarla: smise di singhiozzare solo quando la pianta fu ricomposta nel vaso, innaffiata e rimessa al suo posto.
Sua figlia era così. E l’amava com’era, con queste sue stranezze, per le quali era stata oggetto di risatine e prese in giro da parte degli altri bambini. Ma la donna non aveva avuto modo di soffrire per questo, perché si era accorta in fretta che la piccola era sinceramente indifferente verso quegli atteggiamenti. Sicura di sé e del suo modo di essere, non si curava di quello che gli altri pensavano di lei.
Quella mattina, venerdì 22 ottobre, Sara si svegliò alle 6.
Il suo aspetto – esile, carnagione chiarissima e un caschetto mosso di capelli neri – era ingentilito da un vestito a fiori turchese che le arrivava alle caviglie. Appuntati, in un viso minuto, penetranti occhi celesti che le conferivano uno sguardo in cui erano concentrati libertà, ribellione, inquietudine ed appagamento allo stesso tempo.
Uno sguardo difficile da sostenere, rivelatore di una precisa consapevolezza: quella di sapere esattamente chi sei e cosa sei venuto a fare al mondo.
Sara arrivò alla stazione degli autobus e salì sul primo in partenza alle 6.40.
Prese posto su di un sedile al fondo: voleva osservare con attenzione i passeggeri che man mano sarebbero saliti lungo il tragitto.
Le piaceva soffermarsi a guardare l’umanità. Cercava di capire cosa ci fosse dietro un volto, quali sogni, rimpianti, rimorsi, tenerezze o nefandezze si mescolassero oltre uno sguardo stanco, delle labbra imbronciate, delle sopracciglia truccate o dietro una voce stridula. Immaginava di vedere per cosa quelle anime avrebbero pianto, o riso, e com’ erano quando giocavano con i loro figli, o quando erano furiosi.
E per cosa o chi avrebbero dato la vita.
Questa, anche se bizzarra, era una domanda che Sara di tanto in tanto amava rivolgere a bruciapelo alle persone conosciute da poco: “Mi piacerebbe sapere: per chi daresti la tua vita? O per cosa? Non valgono i familiari, è ovvio”.
Molte amicizie e qualche amore non erano mai nati proprio perché quella domanda, ribadita in modo risoluto da Sara con espressione seria davanti a facce incredule, veniva liquidata con “Tu sei proprio fuori, ti saluto “.
Da qualcuno le risposte erano arrivate. Assolutamente personali, non giudicabili, sincere. A lei era bastato questo. Non stilava statistiche, non valutava, voleva solo condividere con l’altro un guizzo dell’anima.
Arrivò al capolinea mezzora dopo.
Senza esitazione, seguendo l’istinto, si incamminò lungo un viale alberato alla sua destra. Una leggera foschia, e i toni caldi del foliage autunnale rendevano il luogo magico e senza tempo.
Passeggiò per una decina di minuti, accompagnata dal suono dei suoi stivaletti che stridevano sul manto di foglie, osservando i suoi pensieri andare e venire, trattandoli come amici venuti a farle visita, di quelli che ti portano un saluto veloce e un bacio, e vanno via con il sorriso sulle labbra solo per il fatto di averti visto.
Ad un tratto il suo sguardo si fermò su di una serie di villette a schiera in paramano, e si sentì attratta dalla prima.
Avanzò di gran passo verso il cancelletto aperto, imboccò il vialetto e, arrivata alla prima porta, pigiò senza esitazione il videocitofono.
Nessuna risposta. Riprovò una seconda volta, poi una terza.
Al quarto tentativo, la porta le venne aperta.
Sara, davanti alla donna che le si presentò davanti, esclamò sorridendo: “Buongiorno! “
La donna, che poteva avere circa sessant’anni, ancora in pigiama, spettinata e con un quotidiano in mano esclamò: “Pensavo fosse un’amica di mio figlio, ma chi è? Cosa vuole?”
A Sara si illuminò il viso di un sorriso radioso, le si infiammarono gli occhi e con dolcezza esclamò:
” Sono venuta a portarle quello di cui ha più bisogno! “ E con il suo abbraccio avvolse caldamente la donna, inondandola di buono, di risate, di vaniglia e cannella, di musica, follia e amore profondo.
La donna fu spiazzata da quel gesto inconsueto ma rimase in quell’abbraccio, incapace di dire o fare nulla…
E si ritrovò con la mente indietro nel tempo, bambina di 5 anni, nel minuscolo appartamento dei suoi nonni paterni.
La consumata macchina da cucire della nonna… l’acqua di colonia del nonno… un paio di pantofole sgualcite, l’odore di minestra di cavolo…l’uomo che cingeva la vita della donna attirandola a sé e improvvisando un passo di danza canticchiando “Tu me fais tourner la tête”… la donna che si schermiva e rideva…
Ricordava la povertà di quell’abitazione, sentiva l’abbondanza di amore in quella casa… Rivide sua nonna che le veniva incontro sorridendo e la stringeva tra le braccia chiamandola affettuosamente “polpettina mia”…
Dopo lunghi minuti, Sara si staccò con lentezza dalla donna, le prese le mani tra le sue, la ringraziò sorridendo e veloce scomparve nel viale, verso la prossima persona da abbracciare.
Un bel racconto, che ci fa amare questa Sara e la sua voglia di condividere i suoi guizzi dell’anima.Brava
Proprio bello.
Sarà è una ragazza fantastica.
Brava
La immagino, bella, pulita, dentro e fuori. Una sorta di Amélie, con il suo magico mondo, fatto di piante sensibili e abbracci infiniti. Mi piace Sara e mi piace il tuo modo di farci abbracciare da lei. Complimenti!