Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2018 “Le mucche stanno bene” di Paolo Carburi

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2018

L’odore di caffè bruciato sgattaiola per casa, silenzioso, inebriante, beffardo. Dovrebbe infastidire all’olfatto, invece Giovanni nel sonno sorride: gli ricorda la madre che lo bruciava sempre e di come, questo, aprisse dei siparietti con suo padre che lo facevano divertire. Carlo, in cucina, con un panno sventola i plumcake appena sfornati; porta un grembiule rosso bordò e la cosa fa abbastanza specie; Carlo è alto due metri ed è largo un metro e venti: in pratica è un muro vestito da governante. La tavola è già imbandita: biscotti con gocce di cioccolato, cornetti precedentemente sfornati, latte caldo e freddo, fiocchi d’avena e varie confetture tra cui la cioccolata alla nocciola con la quale Carlo AMA farcire i plumcakes.

 

Se l’è sempre chiesto se avesse dovuto lavorare in un forno o in una pasticceria al posto di badare le mucche e al posto di spaccarsi la schiena tagliando ettari ed ettari di legna da solo.

 

Giuseppe è in bagno. Sul portaoggetti, sotto lo specchio, su un lato il balsamo per la barba che si sta, attentamente, massaggiando; sull’altro, appoggiato aperto a testa ingiù, le operette morali di Leopardi. Giuseppe odia i segnalibri e semina libri aperti in tutta casa. Tutti libri rigorosamente del genio marchigiano.

 

Se lo chiede sempre, come sarebbe andata; e se fosse andato l’università come sarebbe finita? Se Vittorio, suo padre, avesse tenuto duro ancora qualche anno per permettergli di studiare al posto di alzarsi alla mattina presto per andare a badare le mucche. È un ricordo costante quello del padre che parla della nobiltà d’animo delle mucche; discorso di cui non ricorda nemmeno una parola. Ricorda solo suo babbo che quasi piangeva al pensiero che qualcuno le potesse abbandonare. Ricorda anche se stesso Giuseppe, che si vedeva con le mucche tutta la vita.

 

Giovanni intanto si è alzato dal letto con grosse difficoltà. Prima la ricerca degli occhiali sul comodino, poi la ricerca delle calze in mezzo alle coperte e infine una vestizione lampo per non morire assiderati. Giuseppe e Carlo sono già a tavola quando Giovanni si presenta nel gran salone di casa. Si stringe nella maglia di lana ruvida raccogliendo le mani sotto le maniche lunghe e si mette seduto insieme ai suoi fratelli altissimi. Lui è l’unico che ha preso dai genitori mantenendo il loro metro e sessanta.

 

Se lo chiedeva sempre se ci sarebbe mai più stata una donna nella sua vita. Se la presenza di sua madre viva lo avrebbe spinto a sperimentare il sogno di poter vivere nella Bologna raccontata da Paz o se la sua vita sarebbero state per sempre le mucche e la loro pulizia.

 

Mangiano contenti i tre fratelli anche se il più soddisfatto è Carlo che ogni mattina prepara una colazione degna dei miglior Grand Hotel d’Europa. Fuori è buio anche se comincia un po’ a schiarire quando Giovanni, Carlo e Giuseppe escono da casa appesantiti da grossi abiti invernali.

La stalla non è distante da casa e si trova nello spaccato nel quale s’incontrano tre colline. Nessuno dice niente, nessuno parla; è soltanto il calpestio degli stivali sul terreno bagnato e melmoso che fa rumore nel candido silenzio mattutino.

Il cielo è bianco, basso e minaccia neve. Sono le parole di Carlo e mai furono più azzeccate. Infatti i tre non fanno in tempo a fare altri quattro passi che comincia a nevicare forte, di quella neve che attacca, di quella neve che fa volume e si ammucchia. Il primo a correre è Giovanni, a seguire Giuseppe e Carlo veloci a cercar riparo.

Pochi minuti dopo sono dentro la stalla. Fuori di neve ce n’è già un palmo.

“Adesso mungiamo le mucche, puliamo, gli diamo da mangiare e torniamo a casa.”

È Carlo a prendere la situazione in mano ed è così che mentre lui pulisce la stalla, Giovanni prepara il fieno e Giuseppe comincia a mungere. Tutto procede speditamente pensarono; avevano sentito quel termine alla televisione nella notte della tornata elettorale quando parlando di spogli si diceva procedessero, per l’appunto, speditamente.

“Ragazzi…c’è un problema”

Giuseppe è arrivato all’ultimo box e la sua voce riecheggia preoccupata. È affacciato con lo sguardo agghiacciato, freddo e preoccupato. Ludmilla non c’è più. Ha allargato la fessura delle lamiere nell’angolo e ci è passata nel mezzo per andare a fare un giro non si sa dove. Un bel buco grande ovviamente per fare passare una mucca che è evidente è andata a sfondare le lamiere probabilmente mossa dalla paura.

“Forse s’è spaventata per uno scoiattolo…”

Non fa in tempo a terminare la battuta che a Giovanni arriva una mazzata tra capo e collo che lo rintrona. Chi ha paura degli scoiattoli è Carlo che non vuole nemmeno sentirli nominare. Si narra che una volta dallo spavento ne abbia ammazzato uno con l’accetta da quindici chili. Avete presente un accetta da quindici chili? La povera bestia deve essere passata a miglior vita senza neanche passare dal via.

“Bisogna cercarla e riportarla dentro…”

Giuseppe parla ma è il pensiero di tutti. Non si lascia indietro nessuno, tanto meno Ludmilla una delle preferite di Vittorio. Fuori la neve è arrivata a quaranta, cinquanta centimetri. Con gli stivali ancora si cammina bene ma è certo che se avesse continuato a nevicare così non avrebbero avuto così tanto tempo per trovarla. In quello che è diventato un giorno nel pieno delle sue funzioni, i tre si muovono con tre spalaneve e ognuno cerca di battere una zona della valle nella speranza di trovarla Ludmilla, zompante e felice. Il nome Ludmilla gliel’aveva dato Vittorio dopo che l’aveva letto su un giornale locale di una ragazza russa che aveva rubato dei soldi da un bar ingannando il proprietario.

“Piacere Ludmilla, lei è un uomo bellissimo”

Era bastato quel complimento, un corpo teutonico e un occhiolino ben assestato per sconfiggere le difese intellettive di quell’uomo di settant’anni che alla fine non sembrava nemmeno troppo provato dall’esperienza. Chissà se c’era mai stato un seguito al furto.

La neve, intanto, è arrivata al metro in certi punti mentre in altri forse è già di più. La pala comincia a servire per scavarsi sentieri percorribili. È quando Carlo si tira fuori dal naso l’ennesima caccola e la lancia addosso a Giovanni che si sente muggire da lontano.

“Che schifo…smettila”

“È lei…”

“Si ma te smetti di tirarmi i prodotti del tuo naso…”

Sono tre i passi in avanti per scorgerla in fondo a un fossato. È sotto una pianta totalmente coperta dalla neve. I rami del pino non hanno retto e hanno scaricato tutta la neve sulla povera Ludmilla che probabilmente è bloccata lì da diverso tempo. I tre fratelli si avvicinano agevolmente ma capiscono presto che la mucca è congelata sulle gambe e non può muoversi in alcun modo. La mucca piange, probabilmente ha anche capito la cazzata che ha fatto ma questo non basta a farle comprendere che forse è veramente troppo tardi. A prendere il trattore con la pala per caricarla ci va Giuseppe ed è solo con l’aiuto di Carlo che riescono a metterla sul cassoncino a rimorchio.

Ludmilla stesa nel mezzo della stalla ha gli occhi sbarrati e le gambe stirate dal gelo. Giuseppe pensa che odia questi momenti perché in questi casi c’è solo una cosa da fare: reprimere l’animale. Giovanni pensa la stessa identica cosa e si allontana con la mano a coprire la bocca, come se la cosa stesse per avvenire da un momento all’altro. Carlo è in ginocchio vicino a Ludmilla e le parla. Le dice che andrà tutto bene, che deve solo stare calma, che tornerà a correre e questo sarà solo un brutto ricordo.

“La portiamo a casa.”

Riecheggiano nel vuoto le parole di Carlo.

“Mi avete sentito? La portiamo a casa.”

Nessuno ha il coraggio di smentire un uomo di quella stazza, soprattutto se è agitato. Passano si e no quattro minuti che sono già col trattore diretti verso casa.

Carlo è una furia. Mentre Giovanni e Giuseppe pensano a come fare per far entrare la mucca dentro casa, il salone esplode sotto le sue mani che cercano in ogni modo di fare spazio a quell’animale moribondo. La portano dentro come possono è quando la stendono tutti, tranne Carlo, si chiedono che senso avesse avuto portarla lì.

“Mettete a bollire dell’acqua in quattro pentoloni e rimediate dodici stracci; quattro me li date a me, quattro li mettete a scaldare sopra le pentole e quattro davanti al camino”

Comincia così una rotazione di stracci caldi con i quali Carlo strofina e scalda le gambe della mucca. La cosa va avanti come una macchina e mentre Ludmilla è stata anche coperta da diversi stracci nella parte superiore sembra però che non dia nessun segno di ripresa; sono da poco passate le otto di sera.

“Chiamiamo Giulio…”

Giuseppe ha già fatto il numero quando lo dice agli altri; mentre il cellulare suona improvvisamente quella fucina di vita sospende l’attività e attende immobile.

“Pronto Dott. Castrozzi. Abbiamo un problema. Una mucca è rimasta incastrata tra la neve, l’abbiamo portata a casa, ha le gambe congelate, l’abbiamo scaldata…”

Il dono della sintesi e risposte puntuali. Giuseppe è anche questo. Il cellulare viene sbattuto violentemente contro il tavolo dopo appena quaranta secondi di telefonata quando viene enunciata la diagnosi.

“Dobbiamo tenerla al caldo tutta la notte perché se non la teniamo al caldo è quasi certo che morirà”

Carlo sbarra gli occhi e subito s’illuminano di idea e follia. Sbattendo gli stracci che aveva in mano a terra corre nelle camere. Quando torna ha le trapunte nelle mani. Ludmilla lo guarda come si guarda un pazzo. Hanno capito tutti, tranne lei, che la notte l’avrebbero passata lì: uno nel ventre della mucca, uno sulla schiena, e uno, quello più leggero, sopra.

La notte diventò le notti. Ed è così che dopo la prima Ludmilla ricominciò a mangiare, dopo la seconda a muovere le gambe e dopo la terza a stare in piedi. Fu la quarta notte l’ultima. Forse non ci sarebbe stato bisogno ma era solo un modo per assicurarsi che tutto quel lavoro non fosse andato perso. L’ultima notte Ludmilla acquisì la posizione nella quale dormono tutte le mucche: era segno che stava bene. I tre fratelli si ritrovarono tutti sulla schiena della mucca a dormire. Era lei, a quel punto, che scaldava loro. Carlo dormiva profondamente mentre Giuseppe e Giovanni se ne stavano lì con gli occhi socchiusi, ad aspettare che il sonno li cogliesse all’improvviso. Erano circa le quattro e mezzo di notte quando Carlo fu totalmente preso dal sogno

“Babbo!”

I fratelli si destarono senza però muovere le palpebre.

“Babbo, sì…le mucche stanno bene”

“Le mucche stanno tutte bene…” ripeterono i fratelli all’unisono senza nemmeno aprire gli occhi.

 

 

Quella notte, sicuramente, da qualche parte, qualcuno pianse, pianse davvero.

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5 commenti »

  1. Incuriosita dal titolo ho letto questa storia. Mi è piaciuto molto il racconto del rapporto tra questi tre fratelli e le loro odiate-amate mucche, eredità del loro babbo. Complimenti.

  2. Grazie Angelica. Troppo buona.

  3. Mi è piaciuto questo racconto che nella trama e nello spirito mi ha ricordato un film del regista Carlo Mazzacurati.

  4. Caro Paolo, mi è piaciuto molto il tuo racconto. La storia di tre fratelli che per amore del padre hanno rinunciato alle loro aspirazioni e che nonostante i rimpianti amano quello che fanno. Se posso permettermi un consiglio, ti direi di rivedere i tempi, perché in alcuni casi usi il presente ed in altri il passato remoto, forse sarebbe meglio unificare. Comunque complimenti.

  5. Amore per la famiglia e amore e rispetto per gli animali, eredità di due genitori ricordati tramite il proseguimento dei loro sacrifici. Vedo gli occhi sbarrati di Ludmilla e gli stivali che affondano nella neve. Originale, ma per niente fuori dal normale. Mi è piaciuto molto, per le atmosfere e per i personaggi umani e veri.

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