Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2018 “Albatros” di Paola Florio

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2018

Firenze Santa Maria Novella, un vento freddo s’insinua sotto i cappotti e l’aria odora di pioggia e asfalto bagnato. L’atrio della stazione rimbomba di voci e passi frettolosi, su tutto la voce metallica degli annunci decreta che niente andrà come previsto.

Occhi apprensivi, nervosi, talvolta impazienti, guardano in alto verso il tabellone nero; le scritte gialle annunciano ritardi a catena, da nord e da sud i treni arrancano, cercando di sfuggire al maltempo.

Anna sbuffa indispettita, ha corso per strade affollate, urtato turisti distratti, trascinato a fatica la valigia sotto il diluvio e il suo treno ha mezz’ora di ritardo.

La libreria è affollata e lei ha solo voglia di un posto tranquillo dove annullare il tempo, si apre a stento un varco tra i viaggiatori in attesa, prosegue fino alle scale mobili che sferragliano ritmicamente, le prende per il gusto di farsi portare e si ritrova nella galleria sotterranea, davanti ad un pianoforte a muro. Un pianoforte vero, solo e silenzioso. Sente un desiderio irresistibile di suonarlo, di far vibrare quella galleria vuota e luccicante di negozi. Ah se tornasse indietro, senza dubbio prenderebbe lezioni di musica. Il pianoforte la guarda e lei scuote la testa, “non so suonare, mi spiace”, sussurra a sé stessa.

Prosegue sconsolata verso un negozio di cd dove cerca di ingannare il tempo scorrendo i titoli che conosce. Un paio d’occhi incrociano i suoi, è un ragazzo con un viso delicato e l’aria da folletto, è piccolo, con le mani esili e gli occhi grandi che illuminano il volto. Le sorride. Ha una giacca grigia troppo grande, una felpa bordò scolorita, jeans verde chiaro e un paio di scarpe da tennis bianche fuori moda, sulla spalla una borsa a tracolla di tela nera, malandata anche quella. Ha l’aria di uno che non sa bene cosa fare e si guarda intorno cercando ispirazione. Anna ricambia il sorriso e passa oltre. Si attarda ancora annoiata tra gli scaffali, mancano quindici minuti, decide di avviarsi al binario. Esce dal negozio e, c’è qualcosa di nuovo nell’aria, non se ne accorge subito perché la musica che esce dai locali la confonde. Poi arriva davanti al pianoforte ed ecco.

È il ragazzo anonimo di cinque minuti prima: ha buttato la borsa per terra in un angolo, ha appoggiato la giacca sul pianoforte e sta suonando, con un’abilità e una passione che fanno sparire tutto il mondo attorno a lui. Le sue mani piccole volano sui tasti, tutto il corpo vibra e accompagna quella musica giocosa, profonda, struggente che ti arriva dritta infondo all’anima. Anna riconosce Einaudi, nuvole bianche. Si ferma, dopo di lei qualcun altro, per un minuto o un’ora, non lo sa, restano così, loro e lui, avvinti e cullati da una magia che li porta altrove.

Quando l’ultima nota si spegne, in quel meraviglioso silenzio che segue l’estasi, gli spettatori si ricordano di essere vivi, di avere un corpo oltre che un’anima e delle mani che vogliono applaudire e dire “grazie!” grazie per questo regalo, grazie per aver colorato di poesia il grigio antro di una stazione. Il ragazzo si volta, sorpreso, non si era accorto del gruppetto che si era formato alle sue spalle. Lui era là, dentro la musica, in un mondo inaccessibile, lontano dallo scorrere del tempo. Sorride impacciato, guarda Anna e si volta di nuovo verso il pianoforte. È una musica commovente quella che attacca ora, così veloce che le dita quasi non si vedono.

Sembra di assistere ad una metamorfosi, al volo meraviglioso di un giovane albatros. Quante ore e ore di studio per arrivare fin qui, quante note stonate e spartiti buttati a terra con rabbia. Le sembra di vederlo bambino, con le gambe troppo corte che non arrivano ai pedali, magari con la madre accanto che gli insegna le prime note. E quante volte avrà deciso di mollare, arrendersi, ma una volta che sei arrivato a quell’intimità con la musica, non la puoi abbandonare come faresti con un’amante. È sempre lì, in agguato, basta un vecchio pianoforte in una stazione a rimetterti dentro quella smania, quell’euforia, quella voglia di essere ancora al centro dell’incanto. Ti fa piacere che applaudano, il pubblico dei passanti non è esigente e non si è accorto che hai sbagliato quella nota, non sono come la tua vecchia insegnante che ti dava scale su scale per ogni piccolo errore. La odiavi e la amavi, prigioniero di una passione che era un tormento. E poi alla fine sei dovuto entrare nel mondo dei grandi e trovarti un lavoro vero. La musica, si sa, non ti dà da mangiare, a meno che tu non abbia grandi doti e fortuna o ti pieghi a compromessi. E così erano cominciate le sveglia all’alba, i treni affollati, il cartellino, la pausa pranzo, poi di nuovo il treno e casa finalmente, senza più forza, senza più voglia.

Il tempo per suonare rubato dal dovere di sopravvivere.

La musica si dissolve lieve, adesso il pubblico è un po’ più numeroso e il ragazzo si concede di restare girato mezzo secondo in più, accenna un inchino e sorride grato, gli occhi negli occhi di Anna. Poi si volta di nuovo e resta per un istante a pensare. Anna vorrebbe avvicinarsi, chiedergli cos’era quella musica così bella, dirgli che deve andare, che il suo treno sta per partire, dirgli grazie. Ma lui riprende a suonare, sempre più concentrato. Lei guardo l’orologio, mancano cinque minuti, un altro minuto ancora, poi se corre ce la fa.

E se lo perdesse il treno? Se telefonasse a casa e dicesse “mamma mi spiace, non vengo più, devo fare una cosa importante a Firenze.” Se si sedesse accanto al ragazzo dalle mani sottili e gli dicesse: “Mi insegni a suonare?”. E poi passerebbero la sera a suonare e parlare. Lei gli chiederebbe: “Ma chi sei tu, che vai in giro travestito da essere insignificante e poi dentro hai tutta questa bellezza struggente?” E lui sorridendo risponderebbe che siamo tutti così, tutti eroi mascherati, ostaggi della quotidianità, tutti con questo fuoco dentro per qualcosa che ci fa brillare come stelle nel momento in cui gli diamo spazio. “Tu, tu non sai suonare, ma anche tu hai la tua luce, lo so”. E lei lo guarderebbe stupita “Come lo sai?” Lui sorriderebbe sornione, “Perché ci si riconosce tra di noi”. “È vero, quando scrivo io mi sento così, sento le parole suonarmi dentro, proprio come la tua musica, sento un brivido caldo e freddo allo stesso tempo e la voglia di non fermarmi più”. Questo gli direbbe. E poi non ci sarebbe più bisogno di dire altro. Ma mancano due minuti, il suo treno sta per partire e Anna corre per prenderlo. Tra poco, forse già mentre lei scappa via sulla scala mobile, il ragazzo si volterà contento e sorriderà. Ma Anna non sarà più lì. Chissà se allora il suo sorriso sarà anche un po’ triste per questo incontro sfiorato.

Ogni volta che passa da Santa Maria Novella, Anna torna davanti al pianoforte e aspetta.Fin ora il ragazzo non si è visto. Ma lei aspetta.Un’emozione così potente lascia sempre una traccia, e prima o poi torniamo tutti dove l’abbiamo vissuta.

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1 commento »

  1. Mi piace quando nella narrativa fa capolino anche un pò di poesia, qui riesci a farlo in più occasioni.

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