Premio Racconti nella Rete 2018 “La Settimana Enigmistica” di Franco Rizzi
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2018Desolina Peduzzi era nata il 5 maggio 1932 a Coreglia Antelminelli nella Media Valle del Serchio e sino all’età di sei anni era vissuta in una famiglia patriarcale di una ventina di persone, nonni, zii, nipoti. Nel 1938 suo padre, che di mestiere faceva il contadino, decise di staccarsi dalla famiglia patriarcale e andò a vivere poco lontano in una località chiamata Galassia, in una cascina con due grandi stalle. Desolina per andare a scuola doveva farsi ogni giorno quattro chilometri a piedi, due all’andata e due al ritorno. Risalendo dal fondo valle, le piaceva vedere il paese apparire all’improvviso sul crinale della montagna contornato di boschi. Nel novembre di due anni dopo, si ammalò di nefrite, una malattia abbastanza difficile da guarire. Il dottore le ordinò di starsene sempre a letto, proibendole di prendere aria e consigliandole di mangiare pesce bollito e senza sale. Una compagna di scuola, Lucia, tutte le settimane le portava a casa i compiti di scuola, ma lei rimanendo a letto per diversi mesi finì per disimparare a scrivere e perse l’anno scolastico. Per sua fortuna, il medico curante fu chiamato a prestare servizio nell’esercito e il suo sostituto, visitandola una prima volta, raccomandò a sua madre di portar fuori la bambina, di farle prendere aria e mangiare cose sostanziose e salate, assicurandole che in poco tempo sarebbe guarita. Desolina guarì e l’anno successivo riprese la scuola. Per lei fu come se fosse successo un miracolo, ma dopo due mesi di lezioni, si accorse che il ginocchio destro era gonfio e pieno di acqua a causa di una caduta dalla bicicletta del fratello maggiore. Per guarire impiegò tre mesi e così dovette sospendere un’altra volta la frequenza scolastica. Alla fine non completò il ciclo delle elementari, perché in casa e nei campi c’era bisogno del suo aiuto, ma il fatto che le fosse andato tutto storto la lasciava abbastanza insoddisfatta. Desolina era curiosa di tutto e quando saliva al paese, restava per ore ad osservare le rovine della rocca e la poderosa torre campanaria di lato alla chiesa. Ci teneva a dire alle amiche che era stata battezzata nella chiesa romanica di San Michele, anche se per lei il termine romanico era qualcosa di vago e misterioso. Crebbe senza mai allontanarsi dalla sua terra, spingendosi al massimo sino a Barga, Albiano o Castelnuovo di Garfagnana. Vide Lucca nel 1955 durante il viaggio di nozze di un giorno, ma solo di passaggio perché suo marito preferì portarla a Torre del Lago per farle vedere la casa del grande Puccini. La sua vita trascorse così, accontentandosi di quel poco che c’era, crescendo i due figli che ebbe in giovane età, aiutando suo marito a costruire cesti di vimini che poi lui rivendeva girando la Garfagnana con uno scassato furgoncino. L’unico passatempo che si concedette nella sua vita fu quello delle parole crociate. L’appuntamento con La Settimana Enigmistica, nata come lei nel 1932, divenne per lei un rito. Durante il tempo libero, ci metteva tutto l’impegno possibile: prima scriveva a matita per poter cancellare e poi, una volta ottenuta la certezza di essere nel giusto, ricalcava le parola orizzontali e verticali con una biro blu, mentre le ripassava con una biro rossa nel caso in cui avesse incontrato particolari difficoltà. A cinquant’ anni, già vedova da tre, si accorse che anche i suoi giorni si avvicinavano alla fine per una grave forma di leucemia non diagnosticata per tempo. Ai figli, che la domenica venivano a trovarla, Desolina Peduzzi che nella vita non aveva avuto l’opportunità di studiare ma che aveva sempre cercato di tenersi ben informata sui fatti del mondo, espresse un desiderio relativo alle modalità del suo funerale: desiderava che loro mettessero nella bara un cruciverba, una matita, una penna Bic di colore blu, una di colore rosso e una piccola lampadina. Morì tre mesi dopo, il 30 ottobre 1982. I figli, anche se con un certo imbarazzo, esaudirono il suo desiderio. Prima di chiudere il pesante coperchio di mogano scuro, accanto al cuscino di raso aggiunsero anche un gomma per cancellare e un paio di occhiali, nel caso in cui con la lampadina non ci vedesse a sufficienza.