Premio Racconti nella Rete 2018 “Waco blues” di Floriana Campanozzi
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2018L’idea di andare all’AquaFan Resort di Waco mi frullava in testa da parecchio tempo. D’estate, il Texas è particolarmente riarso e un luogo dove ristorarsi tra piscine, scivoli e trampolini mi solleticava. Così un sabato ho preso la mia ragazza, che si chiama Grace come mia nonna, siamo saltati sul pick-up, poche miglia e via in direzione Waco.
All’ingresso mi avevano fatto qualche storia per la mia ragazza, ma io ero riuscito a convincerli che era buona, del tutto addomesticata, e poi ero pronto a pagare per lei un biglietto doppio, argomento quest’ultimo che aveva subito convinto il cassiere dell’AquaFan Resort. Così una volta dentro, io e Grace eravamo passati da una piscina all’altra, facendo a gara su chi arrivava prima. – Guarda quel bambino com’è peloso! – gridava un piccolo indicando Grace. – Ma dai, è una scimmia non lo vedi? – lo correggeva il fratello più grande. Eppure io le avevo messo un pagliaccetto a righe bianche e rosse, con pettorina blu piena di stelline tanto all American, convinto che dopo un po’ nessuno la vedesse più come diversa.
Ma io e Grace ci amiamo e tutto il resto non conta.
Arrivammo in cima al trampolino più alto, lo scivolo Niagara Aqua Flash. Mi piazzai la mia ragazza tra le gambe tenendola ben stretta con le braccia. Vista da lassù la discesa faceva paura ma Grace mi si rannicchiò addosso e ci lasciammo scivolare giù. Subito cominciammo a prendere una velocità fuori controllo e Grace si agitò, facendo dei suoni gutturali che non le avevo mai sentito fare. Si divincolò violentemente e nella foga mi dette un morso al braccio. La corsa aumentava a ritmo pazzesco, eravamo ormai solo due corpi separati che sembrava dovessero sfondare il muro del suono. Arrivò l’impatto con l’acqua, Grace davanti e io appresso. Nel tornare a galla, mi guardai intorno in cerca di Grace, ma non la vidi.
Pensai che fosse scappata via, già fuori da quella piscina per lo spavento che si era presa, così uscii anch’io dall’acqua per cercarla in giro. Ma niente, non la trovavo. Dopo un po’, vidi un assembramento accanto alla piscina dell’Aqua Flash e uno dei bagnini addetti alla sicurezza, uscire dall’acqua con tra le braccia un corpo. Il corpo senza vita di una scimmia. La mia Grace.
Ho pianto così tanto nel viaggio di ritorno, col cadavere di Grace sul posto del passeggero, che sono quasi finito fuori strada tre volte. Arrivati alla farm, l’ho sollevata delicatamente e sistemata nel patio, sulla sedia a dondolo di nonna Grace. Il pagliaccetto è ancora tutto bagnato e forse avrà freddo, meglio farla asciugare al sole.
Nel rivederla lì, ammucchiata come uno straccetto, mi torna in mente la prima volta che la vidi in quel negozio. Lei mi si aggrappò addosso con forza. Sembrava dire – Portami via, portami via da qui . Io sentii la sua disperazione e non seppi resisterle. Nonna Grace era morta da poco e mi sentivo molto solo. – È una scimpanzé femmina più chiara del normale, quasi albina – disse il commesso del negozio come a scusarsi – e… – aggiunse con un filo di voce – ha circa dieci anni.
Nei tre anni passati da quel giorno, Grace si era rivelata il miglior acquisto della mia vita. Una compagna ideale. Poche parole, qualche grugnito eppure ci capivamo al volo. Insieme guardavamo la TV per ore e ore, facevamo a gara a chi finiva prima i popcorn di cui anche lei era ghiottissima, e riusciva pure ad aprire le bottiglie di coca cola con i denti. Mai una lite, mai un contrasto. Anche sui film da vedere eravamo sempre d’accordo. Magari Via col Vento, il film preferito da nonna Grace, l’annoiava e dopo poco si addormentava, ma durante King Kong e il Pianeta delle Scimmie manifestava il suo gradimento con grugniti e gridolini. Quello che però la eccitava al massimo erano i film di Tarzan. All’apparizione di Cheetah, la scimmietta, cominciava a saltare sul divano e a battersi il petto, tanto che presi l’abitudine di farle bere una camomilla ogni volta che rivedevamo il film.
Dopo qualche mese però mi resi conto che forse quel giorno, in quel negozio, avrei dovuto investigare di più sull’età di Grace e sul suo significato. Di notte dormivamo abbracciati e la cosa mi sembrava normale visto che anche di giorno mi stava addosso tutto il tempo. Era come avere un bambino che non ti molla mai, ma io ne ero felice. Il lettone di nonna Grace, da quando lei se n’era andata nell’aldilà, era diventato troppo grande per starci da soli.
Passato un primo periodo di timidezza, Grace era diventata molto affettuosa. Abbracci e carezze erano cosa di tutti i giorni e si divertiva a frugarmi la testa come in cerca di noccioline. La notte poi aveva cominciato a fare delle strane manovre con me. Sembrava navigata e sapeva molto bene cosa fare. Io da parte mia ero del tutto innocente e non capivo dove andasse a parare. Ero incuriosito e la lasciavo fare. Quelle sue mani nodose avevano cominciato a frugarmi sotto il pigiama, ad accarezzarmi il busto e poi lungo tutto il corpo. Le reazioni che mi suscitavano erano contraddittorie. All’inizio provavo un certo fastidio nel sentire la sua mano, rasposa come una carta vetrata, sfiorarmi i capezzoli, lo stomaco, la pancia ma quando cominciò a scendere più giù il respiro mi si fermava in gola e il cervello di colpo si annebbiava. Usciva pure uno strano liquido vischioso dal mio pisello e ci misi un po’ a capire che tutto quello poteva essere un orgasmo. Ma che ne sapevo io? Non l’avevo mai provato. Fu lì che cominciai a innamorarmi della mia Grace.
– Eccoti qua, mia adorata Grace, al centro come una regina.
Alla fine le ho tolto quel ridicolo pagliaccetto e le ho messo una camicia da notte bianca della nonna. Non avevo mai osato farlo prima, ma data la circostanza sono sicuro che nonna Grace non avrebbe da ridire. Le metto dei cuscini dietro alla schiena e ora la mia Grace troneggia in mezzo al letto, proprio come la nonna. Si è fatto buio. Scendo in cucina e torno su con delle candele che sistemo sul comò, sui comodini e anche per terra, in cerchio. Le accendo tutte, spengo le lampadine e all’improvviso l’atmosfera sembra acquistare la magia lontana delle notti africane.
Nella stanza rimbomba la cadenza ritmica dei tamburi, il battere dei piedi nudi sulla terra, il correre leggero delle gazzelle, il procedere cauto delle giraffe, il galoppo grafico delle zebre, l’incedere maestoso degli elefanti e in lontananza l’eco di un ruggito di leone… il tutto a comporre un canto sommesso per il rito funebre di una regina della savana. La mia amata Grace.
Al centro, il fuoco va tenuto vivo per tenere lontane le iene.
– Brucia fuoco, brucia. Danza con me…
Il silenzio della prateria texana viene squarciato dalle sirene dei pompieri di Waco che accorrono al capezzale di una fattoria morente.
Che bello trovare e leggere questo racconto. Intenso e divertente al tempo stesso. Mi ha emozionata.
Bello questo racconto. Bello e strano, ti entra dentro poco a poco e ti conquista. È ironico e straziante, parla di amore e di solitudine, di vita e di morte senza drammatizzare ma allo stesso tempo senza lasciare spazio all’indifferenza. Brava l’autrice.
Waco blues mi ha disarmato. La storia scorre con una tale fluidità che rende naturale, anzi necessario un amore impossibile. “Fu lì che incominciai a innamorarmi della mia Grace” … Lei lo inizia all’amore accarezzandolo e lo conduce alla vita; lui la inizia alla vita vestendola e la conduce alla morte. Grace è il simbolo, il totem, la scimmia nel letto di nonna, l’Africa che giunge in Texas e con lei gli elefanti, le gazzelle e i tamburi e infine le sirene dei pompieri che stan per arrivare a spegnere i sogni, le immagini e la fattoria di carta. Il racconto meriterebbe un dibattito che un semplice commento puó solo suggerire.
Waco blues è un racconto capace di toccare le corde dell’anima, ti fa immergere in una situazione surreale ma che percepisci all’istante come vera. Ogni parola ti accompagna in un’emozione che rimane sulla pelle fino alla fine e riecheggia nel silenzio di una prateria texana.
Racconto toccante, mi riconduce a Carver; scrittura lineare, capace di esprimere il nostro spaesamento, la paura della solitudine, le nostre fragilità.
Bel racconto, molto originale. Complimenti Floriana!
Scorrendo i commenti dopo aver letto il racconto, come faccio sempre per evitare di ripetere quello che altri hanno già detto magari meglio di me, mi sono resa conto che l’autore è una lei. Mentre io ho letto tutto il racconto pensando a un lui: un narratore rigorosamente maschio e rugoso, capace di apprezzare le mani di Grace “raspose come una carta vetrata”. Strano racconto surreale di amore e morte ambientato in Texas che però evoca l’Africa e dove non si capisce se sia confusione o determinazione. E anche la morte che arriva con quel movimento dall’altro al basso, da uno a due corpi, è capovolto o che?