Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2018 “Visita allo zoo” di Angelica Mormone

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2018

La signora S. era piuttosto nervosa. Camminava avanti e indietro per la stanza, pensando al da farsi. La figlia le aveva chiesto per mesi di andare allo zoo. L’apertura della nuova attrazione era su tutti i giornali: era l’ultima novità in città in quel periodo di ricostruzione, dopo la fine dell’ultima guerra. Alla signora S. non sembrava una buona idea l’esposizione delle belve feroci in una fase storica così delicata. Aveva cercato in tutti i modi di allontanare la figlia dal malsano proposito ponendo delle condizioni irraggiungibili: “Solo se tieni la camera in ordine”, “Solo se ti comporti bene” e infine, di fronte a tante lamentele ed insistenze: “Solo se prendi 8 in matematica”. Quello era stato davvero un colpo basso che le aveva provocato non pochi sensi di colpa. Sapeva che la piccola G. non aveva alcun talento per la materia e quindi era certa di avere la vittoria in pugno. O almeno, questo era ciò che aveva creduto fino a quel giorno, il giorno della consegna delle pagelle.

“Mamma non ci crederai, ho avuto 9” disse la piccola, soddisfatta. “Non ti credo, fammi vedere un po’”. Il volto della signora S. divenne di pietra di fronte al documento che attestava la sua sconfitta. Andò a parlare con l’insegnante per accertarsi che fosse vero e che G. non avesse falsificato la pagella. La maestra, incredula per il dispiacere della signora S. di fronte a tale risultato, era un po’ perplessa. “Signora avrebbe preferito un 10? Mi creda, preferisco mettere sempre un voto in meno rispetto a quello che i ragazzi meritano, per temprarli già da piccoli. Su, non si faccia troppe aspettative, non può che essere contenta”.

La signora S. non voleva in alcun modo che la piccola G. guardasse anche solo da lontano quelle bestie abominevoli ma ormai non poteva più sottrarsi ai suoi doveri. Doveva fissare una data per la visita allo zoo ed armarsi di tutto il suo coraggio per potervi portare la sua prole.

Dopo aver camminato ancora una volta su ogni centimetro quadro della stanza con fare meditabondo decise di consultarsi con un’amica.

“Dopotutto non può essere così male” commentò la sua amica al telefono, per rincuorarla.

“Tu ce li hai portati i tuoi figli?”

“No”.

“E allora come fai a dirmi che va bene quando tu non ce li porti?”.

“Ma loro mica me lo hanno chiesto!”.

Ecco, che fortuna avere figli che non avanzano assurde richieste. Salutò l’amica, chiuse gli occhi e fece un respiro profondo. Li riaprì e con fare risoluto controllò la sua agenda, le previsioni del meteo e decise di compiere il sacrificio stesso quella settimana, di sabato pomeriggio.

 

 

Era arrivato il giorno tanto atteso e nel contempo temuto.

Camminavano per la città, la piccola facendo saltelli di gioia, la madre trascinandosi. Ad un tratto la signora S. si fermò e guardò il riflesso del suo volto stanco in una pozzanghera. Nonostante non piovesse da alcuni giorni, le buche erano così profonde che l’acqua vi stagnava a lungo prima di evaporare. Dal suo volto lo sguardo della signora S. si volse verso il riflesso di ciò che c’era dietro di lei: i resti di una città che un tempo era stata moderna, e che poi era stata distrutta. Ricordava bene ogni attimo del conflitto: le bombe, gli scontri, i morti, le fughe, la paura di non sopravvivere a tutto ciò. Di quegli anni terribili portavano i segni le strade dissestate, i palazzi disabitati, i parchi devastati. Anche lei portava i segni, non sulla pelle, ma nei suoi ricordi, nella sua anima. I suoi occhi spenti si erano riaccesi solo alla nascita della piccola G., la quale era venuta al mondo alla fine di quella guerra assurda. La figlia stava crescendo in un’epoca nuova, di riedificazione. Poco a poco lei e tutti quelli della sua generazione avrebbero potuto assaporare la normalità.

Il flusso dei pensieri fu interrotto dalla vista del cancello dello zoo.

 

Mentre facevano la fila alla biglietteria, la piccola G. all’improvviso abbracciò la madre, poi la guardò con gli occhioni scintillanti e disse:” Mamma sono così felice, grazie. È il giorno più bello della mia vita”. La signora S. sorrise, poi si voltò per nascondere la commozione.

Dopo una lunga attesa fecero i biglietti e si avviarono verso l’ingresso. “Prego, da questa parte” facevano segno i custodi. Diedero a tutti una piccola mappa e poche istruzioni. “Non avvicinatevi troppo alle gabbie o alle fosse”, “Non date niente da mangiare alle bestie”.

Stavano percorrendo un viale alberato quando cominciarono a sentire i primi versi. Un gruppetto di piccoli visitatori cominciò a correre in direzione dei suoni. La piccola G. fece segno alla madre di seguirli. Ed eccola lì, la prima gabbia. G. aveva spalancato la bocca e non accennava a chiuderla mentre osservava stupita ciò che non aveva mai visto prima.

 

La bestia girava nel piccolo spazio angusto. Guardava per terra, in preda allo sconforto. Faceva dei cerchi sempre più piccoli, poi si fermava, poi riprendeva a girare in tondo. Alla vista del pubblico, cominciò a fare altri versi. Divenne ad un tratto aggressiva. Protese gli arti fuori dalla gabbia. Cominciò ad emettere dei suoni sempre più acuti, più minacciosi, pieni di rabbia. Sopraggiunse un altro esemplare, anche questo in preda alla disperazione della vita in cattività. Sul corpo aveva delle ferite che forse si era procurato da solo, quasi a volersi strappare le carni per poter uscire da quella cella. Molti piccoli spettatori sorridevano alla vista di quegli animali che per loro erano buffi ed esotici. Altri erano esterrefatti.

La bestia stava in piedi su due zampe. Non aveva peli se non in corrispondenza del cranio. L’esemplare femmina aveva un manto più lungo ma solo su parte della testa, mentre l’altro aveva della lunga peluria anche sul muso. Erano con certezza dei mammiferi. Entrambi avevano soltanto due mammelle, la femmina più pronunciate. Quest’ultima aveva anche il posteriore più pronunciato e le ossa in corrispondenza del bacino più larghe. L’esemplare maschio dal canto suo aveva gli arti superiori più muscolosi ed era più alto. Non avevano la coda e non sembravano capaci di muoversi da quadrupedi. Avevano delle zampe particolari: non avevano zoccoli, non avevano artigli particolarmente forti, ma avevano delle lunghe falangi. Con quelle zampe dovevano essere in grado di afferrare qualunque cosa, pensavano molti visitatori.

G. osservava immobile. Vedeva chiaramente che quelle bestie erano state relegate in uno spazio troppo piccolo per loro. Vedeva che non avevano la sua stessa possibilità di scegliere che strada prendere. Si certo, lei doveva ancora obbedire alla mamma, ma prima o poi avrebbe potuto disporre della sua vita come voleva in quella nuova società che era sorta per lei, per darle ciò che ai suoi antenati era stato negato.

Visitarono altre sezioni del parco: in una c’erano dei bipedi con la pelle nera e il manto arruffato, in un’altra ce n’erano alcuni più bassi e con gli occhi molto allungati; in un’altra ancora degli esemplari molto alti con il manto e gli occhi molto chiari e con le bocche sottili. Tutti facevano parte della stessa specie, solo divisa per provenienza e per etnie.

 

Quando uscirono dallo zoo era ormai quasi sera. La signora S. fece prima, come al suo solito, un respiro profondo, poi disse alla figlia: “Allora tesoro, andiamo a mangiare?”

La piccola gazzella guardò la madre e rispose: “A dirti il vero non ho appetito”.

“Come mai tesoro? Non ti è piaciuta la visita allo zoo? Ci tenevi tanto. Devo dirti che ero molto preoccupata prima di entrare ma poi mi sono tranquillizzata perché non è successo nulla. Oggi è stato un giorno importante per te. Hai visto le bestie che per anni hanno dominato il nostro mondo. Finalmente non possono fare più del male a nessuno”.

La piccola era ancora un po’ scossa perché avrebbe voluto dare la possibilità anche a quegli esseri di poter vivere in libertà nel loro habitat naturale, ma poi pensò che la madre aveva sempre ragione e che forse, se davvero erano così pericolosi per tutti loro, era giusto così.

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3 commenti »

  1. Accidenti, che racconto originale! Ho letto anche l’altro, questo mi è piaciuto tanto. Chiaramente sei un’amante degli animali e fantastichi su un mondo in cui essi possano avere libertà di vita e siano invece gli essere umani ad essere costretti a vivere in cattività. Una bella sfida, e una possibilità intrigante 🙂

  2. Ma davvero, ha ragione Antonella, che racconto originale!
    Grazie Angelica per avermi fatto scoprire questo spaccato di vita che inizialmente credevo fosse ambientato a Roma – le buche e crateri, sob!- poi ho pensato a un paese dell’Est e poi… poi ho capito. Sorprendente e profondo.
    Mi piace moltissimo come hai caratterizzato i personaggi, hai dosato con scrittura sapiente dialoghi e parti narrative, bravissima Angelica, c’è molto, direi un mondo, in questo racconto, da antologia anche il tuo, sinceramente.

  3. Grazie mille Antonella e Marcella per aver letto il racconto e per aver apprezzato questa utopia/distopia (che sia la prima o la seconda dipende dal punto di vista).

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