Premio Racconti nella Rete 2018 “Rossore” di Luca Bonacina
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2018La ragazza è in ritardo e io non mi decido a uscire di casa. Mia madre ha già lanciato più volte un’occhiata all’orologio. “Muoviti, altrimenti perdi l’autobus”, dice. A malincuore la ascolto. Riesce sempre a mettermi in imbarazzo. La sua è una crudeltà sottile e inconsapevole.
Nel mio paese non esiste la scuola media. La mattina un vecchio autobus ci porta nelle aule dopo un tragitto di una ventina di minuti. Noi studenti lo aspettiamo riuniti in capannelli. I fazzoletti premuti al naso ci difendono dalla puzza di gasolio. Quando il bus arriva si scatena il putiferio: vogliamo tutti salire per primi. I posti in fondo sono i più ambiti.
In classe sono piuttosto silenzioso. La professoressa mi chiama alla lavagna. Non rispondo e mi faccio ancora più piccolo nel mio banco. Al secondo richiamo, mi alzo. Il colore del mio viso cambia. Non sento vampate, è piuttosto il fluire di un liquido caldo. In pochi secondi divento rosso da orecchio a orecchio. I miei compagni mi guardano cercando di soffocare le risate.
Pensare che nello studio non ho problemi. Nessuno ha da ridire sui miei risultati. Mia madre mostra orgogliosa le pagelle ai parenti in visita. Ogni volta però non manca di sottolineare la mia brutta calligrafia. Le zie annuiscono e propongono raffronti col tratto elegante sui quaderni di mia cugina. Ascolto e a quel punto il rossore mi ha già dipinto.
È più forte di me. In chiesa il parroco mi riprende davanti agli altri chierichetti per un errore nel servizio alla messa? Divento un peperone. Mio padre mi prende in giro per un gol sbagliato? Eccomi con quella singolare abbronzatura.
Per non parlare dei rapporti con le ragazze. Me ne piace una in particolare. Non dico il nome, altrimenti arrossisco di nuovo. Vive poco distante da me. Qualche volte le faccio trovare dei fiorellini di campo sulla porta di casa. Mi nascondo e la osservo da lontano mentre li raccoglie guardandosi attorno.
La mattina si avvia alla fermata del bus passando davanti al nostro giardino. La guardo dalla finestra. Nel petto i colpi di un pistone. Lei è di un paio d’anni più grande. Non si accorge di quel che provo e di questo silenzio, tutto sommato, sono contento. Mia madre invece ha capito tutto. Avrà sentito il rumore dei battiti del cuore, o non so cosa.
Uscito di casa, raggiungo gli amici. Commentano i risultati delle partite di ieri. Come di consueto gli juventini mostrano quella loro odiosa superbia. Noialtri rosichiamo con rabbia.
Da lontano ho riconosciuto i capelli biondi. E’ lei. Arriva di corsa. L’ho osservata e ho cercato di farlo con discrezione. Non voglio farmi notare. Non tanto da lei – non ce la farebbe comunque, è troppo distante – quanto dagli amici che sono qui vicini. Se si accorgessero delle mie occhiate, mi prenderebbero in giro e io diventerei paonazzo come al solito.
Lei si guarda attorno. Sta cercando qualcuno con una certa urgenza. Non le amiche, quelle le ha già salutate.
D’un tratto mi inquadra. Con passo deciso e il sorriso sulle labbra viene verso di me. Non ne sono più certo: mi avrà visto ieri? Fingo di guardare altrove con indifferenza. Metto le mani in tasca.
Si fa largo fra i ragazzi in attesa sul marciapiede. Quelli si scansano e la guardano. Si avvicina, mi chiama. Io non so ancora bene cosa sia la felicità: se è quello che sento in questo momento, spero di riprovarlo presto. Lei ha il sorriso sulle labbra mentre il colore delle mie guance mi renderebbe visibile anche al buio.
“Tua madre mi ha chiesto di darti questo”, dice.
In mano ha un fazzoletto, bianco, di quelli che mia nonna tiene nel polsino del maglione di lana.
Non so bene quale sia l’espressione sul mio viso. So che lei strozza una risata. Mi allunga quel pezzo di stoffa. Saluta, sghignazza. Si volta e se ne va.
Io sono impietrito. La lingua è un lago di sale. Sudo, addirittura. I miei amici sembrano pentole a pressione. I loro sbuffi precedono lo scoppio delle risate. Mi circondano e mi prendono in giro offrendomi i loro, di fazzoletti.
E’ arrivato il bus. Salgo, mi siedo e guardo fuori dal finestrino.
Chiuso in me stesso, maledico mia madre. Soffio il naso e cerco di nascondere quel disagio che quelli come me conoscono bene.
Ma che bello Luca! Mi piace il ritmo, mi piace la freschezza della lingua, e la descrizione del ragazzino. Per un attimo ho sperato che quello fosse uno stratagemma della madre per farli incontrare, massì è così, solo che le mamme, a volte, sbagliano tutto. Anche per amore.
Racconto davvero delizioso, complimenti!
Soprattutto per amore. Grazie Antonella
Bello , delicato e ben scritto! Costruito su una “reazione chimica” che genera moltitudini di sentimenti.
Forse una metafora della scrittura dove tutti colgono il rossore dell’ anima dell’ autore che si spoglia e trepida davanti ai lettori perché in quelle parole c’è parte di sé.
Bravo Luca
Proprio tanto bello questo racconto costruito nelle vesti di questo ragazzino rosso peperone! Sarebbe bello leggerne altri, sarebbe bello farli leggere ad altri ragazzini.
In ogni caso merita che lo leggano qui più persone di quante lo abbiano già letto!
Gianluca, nei giorni scorsi ho letto molti tuoi commenti: mi ha sempre colpito il taglio di luce che crei! E quella metafora… maledizione, sono arrossito!
Grazie.
Simona, ti ringrazio per il tempo che hai dedicato alla lettura del racconto e per il bel commento. Grazie.
Un racconto delicato, che descrive con maestria i palpiti del cuore…
Grazie Luca, il commento allo stile del commento e il successivo ringraziamento al commento sul commento crea un affascinante effetto Droste, Escher apprezzerebbe.
A parte le battutte, ancora complimenti per il tuo racconto !!
Grazie anna Rosa.
Racconto piacevolmente delicato nell’esposizione e profondamente intenso nei sentimenti contenuti in quel rossore. Molto bello, bravo.
Grazie Pasqualina
Complimenti, Luca! Bello il linguaggio semplice e pulito, e la vivacità con cui hai dipinto i piccoli turbamenti adolescenziali. Penso che chiunque si possa riconoscere nel tuo protagonista. Bravo 🙂
Grazie Giada delle belle parole.
Per molte ragioni fra storia e fantasia, calcio e infanzia, viaggi e finestrini, non posso che avere piena solidarietà e affetto per questo bambino che arrossisce. E ogni tanto è ancora così! Bravo Luca.
Grazie, Marco.
Un racconto davvero originale che sta su uno sguardo…Non facile davvero…C’è sospensione più che attesa, c’è una viaggio che deve incominciare…C’è un tempo della vita che tutti noi conosciamo bene, perché ci siamo passati. Bello davvero
Grazie Germana. In questo momento mi piacciono le storie costruite sugli sguardi.
Ma come ho fatto a perdermi, finora, anche questo racconto?!
Uffa, Luca, mi dispiace di non essere arrivata prima di te, ma mi consola che gli amici cari di Racconti siano già intervenuti.
Ti meriti tutti i complimenti perché è un racconto di una sensibilità infinita che fa trapelare però tutta la rabbia e la vergogna di chi si morde la lingua, e preferisce evitare di mandare a quel tal paese amici, nemici, innamorati e – perché no? – a volte anche la mamma. Il rossore è fuoco, è passione, è forza che possono convivere con la timidezza. Chi ha detto che non si può essere forti e delicati? Come i fiori. E ti confesso, la timidezza mi manca, a volte si riaffaccia, e sono contenta, e spero quel rossore non si spenga mai completamente.
Grazie, Luca, e viva Inter!