Premio Racconti nella Rete 2018 “La forza dell’EROE” di Chiara Tencati
Categoria: Premio Racconti nella Rete 20189 novembre, il padre
Chiuse la porta tossendo, il freddo di gennaio gli indolenziva i movimenti delle mani, la serratura in inverno diventava più dura, ostile. Si avviò verso casa. Lo sguardo guidava i passi, sosteneva l’equilibrio, gli permetteva di schivare la neve oramai diventata ghiaccio ostinato sul marciapiede. Sarebbe ritornato in negozio nel pomeriggio, o l’indomani, chissà. Non c’era urgenza, né orari, più. Durante le festività natalizie aveva avuto modo di liberarsi di quasi tutto, restava solo da riordinare, pulire, ricoprire, chiudere e abbassare la saracinesca. La stanchezza, la tosse e quel maledetto freddo non lasciavano spazio alla nostalgia. Ci avrebbe pensato suo figlio, se avesse voluto, a vendere il negozio. Il suo ultimo compito, dettato dalla vecchiaia e dalle discussioni, sarebbe stato quello di chiudere l’attività, e fino a quel momento aveva pianificato, programmato ed eseguito tutte le azioni necessarie per raggiungere lo scopo. Se non fosse stato per.
Nel magazzino, posto nel retrobottega, chiusi nella cassaforte, aveva conservato una decina di gioielli, di quelli resi preziosi dal tempo, dalla storia che portavano con sé e dalla loro esattezza per la storia in cui sarebbero tornati a vivere. Avrebbe dedicato gli ultimi sforzi lavorativi alla ricerca delle persone cui quei gioielli erano destinati.
Risaliva all’inizio della sua carriera l’epoca del forzato reclutamento all’EROE, l’organizzazione per l’Esatto Ricollocamento di Oggetti Esatti, della quale era diventato poi socio onorario insieme all’amico libraio, convertendosi insieme alla causa fondante: non importava si trattasse di un gioiello, un libro o un fazzoletto, qualsiasi oggetto avrebbe dovuto arrivare a far parte della vita a cui era riservato, perché solo in quel modo il destino di quella persona avrebbe potuto compiersi in quel suo preciso modo, magnifico e bizzarro.
“La Tour Eiffel è stata assegnata a Monsieur Citroën per appenderci le lettere luminose della propria casa automobilistica e umiliare, in maniera definitiva, il l’Ingénieur Renault”. Questo era solo uno degli esempi ad effetto utilizzato nelle lezioni propedeutiche dedicate ai nuovi soci. Alcuni dei tesserati si dedicavano poi all’attività come a un passatempo, la passione lenta e minuziosa per la filatelia diveniva ricerca del giusto abbinamento tra la persona e il proprio oggetto, per altri invece rappresentava il pretesto verso il quale confluiva quella cieca aggressività che sporca l’animo umano.
E quindi sì, avrebbe fatto in quel modo, si sarebbe dedicato a ricollocare gli ultimi oggetti se solo quel pomeriggio il freddo e la tosse non fossero stati così crudeli, e se il brodo di carne bollente e quella mano d’amore sugli occhi non fossero stati così buoni, da fargli capire che quello aveva proprio tutte le caratteristiche per essere il momento giusto per salutare la vita.
12 novembre, il figlio
Al ritorno dal funerale si diresse in gioielleria, ignorando l’insistenza con cui la madre gli aveva chiesto di fermarsi a casa per salutare gli ultimi parenti.
Spalancò la porta del negozio, il campanello attaccato allo stipite per avvisare l’arrivo di un nuovo cliente suonò inutilmente. Alle spalle il rumore del traffico di Milano, davanti agli occhi il bancone rivestito in pelle, la bilancia, l’orologio a pendolo. Puntuale. Rimase immobile per qualche istante, si strofinò le mani, per riscaldarle, le alzò sulle guance, bollenti, e infine le passò sugli occhi che sentiva bruciare. Poi decise di sbrigarsi e mettere fine a tutta quella storia, prese una busta e vi infilò i libri riposti nelle mensole sotto la cassa. Suo padre e il libraio del lato opposto della strada avevano, negli anni, stretto un’amicizia formale, senza emozioni, e salda, fondata sulla condivisione decennale di alcuni riti: l’apertura del negozio, il buongiorno, il caffè a metà mattina, e tutte le restanti azioni ordinate che caratterizzano le giornate ordinarie. In nome di quel rapporto, suo padre era solito sostituire, gratuitamente, le pile degli orologi del libraio e di tutta la sua numerosa famiglia. Il libraio invece, regalava a suo padre, a cadenza regolare, quello che da lui era considerato il libro più bello del mese precedente. Questo baratto spiegava la presenza di una piccola libreria, sotto il registratore di cassa, verso l’interno del bancone. E poi c’era la faccenda dell’EROE, certo, ma di questa il figlio ne era chiaramente all’oscuro.
Gli avanzi di vendita dal dubbio valore che trovò sparsi per il negozio li fece scivolare in una sportina di plastica. Con la stessa superficialità con cui nel tempo si era rapportato alla vita e agli affetti si dimenticò della cassaforte.
12 dicembre, Federico
Con il settimo interessato no perditempo dopo 9 mesi 2 settimane e 4 giorni era riuscito a portare a termine la trattativa per la vendita del negozio. L’acquirente si chiamava Federico, un ragazzo di circa trent’anni diplomato alla Scuola Orafa Ambrosiana. Federico ora, grazie all’aiuto dei genitori, avrebbe potuto realizzare quel sogno che aveva preso forma facendosi largo tra i pomeriggi di studio e pratica, la nostalgia di casa, le bevute con gli amici, l’autunno che sorprende al mattino e la gioia del buio che tarda ad arrivare nelle serate di primavera.
Federico aveva visitato il negozio per tre volte. La prima in un giorno qualsiasi, una domenica pomeriggio umida, il cartello Vendesi aveva catturato la sua attenzione. La seconda, accompagnato dal padre, creando l’occasione perfetta per affermare con discrezione la serietà delle proprie intenzioni.
Infine era tornato solo. Il compromesso, l’anticipo e la sensazione di sentirsi, forse per la prima volta, uomo.
Ciò che lo aveva entusiasmato era lo spazio retrostante, da destinare al laboratorio. La gioielleria, per com’era stata e stata negli anni, si era occupata da sempre solo della vendita. Le creazioni o le riparazioni erano concesse in scomodi casi eccezionali. A quell’epoca accadeva, non di rado, che certe attività commerciali fossero aperte con la leggerezza del semplice gusto imprenditoriale di farlo, oltre alle naturali necessità del far fronte con dignità al quotidiano. Era un tempo non troppo lontano ma molto diversa dall’attuale, in cui l’antica eccellenza, in questo caso artigianale, era tornata a essere forse l’unica carta vincente per un giovane, e quel ragazzo, particolare non irrilevante nelle specifiche circostanze, quando parlava di questo, aveva gli occhi che brillavano.
I lavori per rinnovare il negozio erano durati poco più del previsto, per facili logiche commerciali era fondamentale aprire entro l’inizio di dicembre: qualche amico lo aveva aiutato a tinteggiare le pareti, l’insegna era stata restaurata da Federico stesso -l’odore di vernice non lasciò mai più il suo appartamento-, le zie lo avevano sostituito nel fare le pulizie “a fondo”, come dicevano loro, dedicandosi ad aspirare, pulire, strofinare e lucidare con femminile soddisfazione. Le attrezzature e i mobili del laboratorio sarebbero arrivati entro Natale, il negozio invece, era pronto.
Il giorno dell’apertura Federico si svegliò puntuale, bevve un caffèlatte dolce –all’aroma di vernice-, infilò un paio di pantaloni in velluto a costa larga blu, un maglioncino di lana a righe, si sistemò la barba, inforcò gli occhiali, arrivò servendosi dei mezzi pubblici, inserì le chiavi nella serratura, entrò. Il tutto fingendo disinvoltura.
Aveva appena terminato di sdraiare i gioielli al sole della vetrina quando sentì il campanello, conservato, della porta d’ingresso, suonare.
Si voltò. Due uomini in un bizzarro completo elegante lo stavano fissando. Federico sprecò del tempo a realizzare che ciò che donava a quei due quell’aspetto bizzarro era il colore del completo elegante, bordeaux. Abbassò lo sguardo, si diresse a passo deciso dietro il bancone, e solo da quella postazione riuscì a dire buongiorno, in cosa possa esservi utile.
I due si avvicinarono, parevano uno l’immagine speculare dell’altro tanto si assomigliavano nel modo di porsi.
Siamo qui perché tu ci possa consegnare ciò che è di nostra competenza, dissero all’unisono.
Poi Federico capì, o meglio credette di capire, e impallidì.
Gli intimarono di non porre resistenza e di consegnare subito ciò che spettava loro, provarono a dissuaderlo dalla speranza di sottrarsi a quella consuetudine divenuta legge dopo anni di fruttuosa collaborazione, interruppero il suo scoppio di rabbia specificando, con voce affabile, di essere essi stessi, esclusivamente, un tramite. Bisbigliarono tra loro qualcosa che ebbe a che fare con un torneremo domani, saremo costretti a ricorrere ad ogni mezzo in nostro possesso per recuperare ciò che ci spetta.
Il corpo di Federico fu trovato senza vita dietro il bancone pochi mesi più tardi. Aveva le tasche dei pantaloni gonfie di quel denaro che invano aveva provato ad offrire ai due uomini.
I giorni di chiusura, le chiacchiere con il padre, la disperazione di notte e le suppliche non erano stati sufficienti per comprendere ciò che i due uomini pretendevano senza svelare.
Quando il libraio vide arrivare le macchine della polizia con le sirene spiegate corse senza ostacoli dentro il negozio, fu il primo ad accorgersi di un biglietto a terra, una specie di ricevuta.
DATA: MARTEDÌ 9 NOVEMBRE 2018
ORA: 10:47
OGGETTO: EROE: RISCOSSIONE FORZATA DI NR. 10 OGGETTI ESATTI
Ciao Chiara, sono rimasta senza parole! E con tanta curiosità sugli oggetti che dovevano essere ricollocati… Ho partecipato anch’io, “con femminile soddisfazione”, alla pulizia del negozio, all’allestimento e già pensavo alla gioia di Federico per l’attività tutta sua… Povero, povero, povero…
Un gioiello “reso prezioso dalla storia che porta con sé”. Complimenti, Chiara!