Premio Racconti nella Rete 2018 “Il frutto benedetto del mio seno” di Paola De Donato
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2018Il gioco di luci e ombre nella Cappella degli Scrovegni è un artista che, in una dimensione in cui il tempo è accelerato, dipinge sul momento l’evolversi del racconto. Assisto per qualche secondo, incantato, mentre mi arriva alle orecchie un brusio il cui suono mi ricorda l’andamento di un temporale. Le prime gocce delicate sono dolorosi sussurri, il primo fulmine a cui segue un tuono è il grido che scatena una tempestosa tragedia. Accade che, come se si fosse effettivamente abbattuto un temporale sulle immagini e l’acqua le fluidificasse privandole di corposità, quasi tutta la narrazione svanisce e le pareti diventano buie davanti ai miei occhi, lasciando come unica immagine due corpi: una donna che sorregge un cadavere e un cadavere che sorregge il dolore della donna. Poi il temporale termina e rimane solo qualche goccia, le più intense e perseveranti. Quelle gocce, da dolci diventano salate, tramutandosi nelle lacrime della donna e il loro scorrere lento cattura la mia attenzione. Le lacrime lasciano poi spazio ai sussulti generati dai singhiozzi della donna, che, come una scossa, ne agitano braccia, che iniziano a scuotere l’immobilità del corpo a lei sottostante, che pare quasi gli stia per ridar vita. Poi solleva le braccia, e con movimenti sconnessi e tremolanti alza le maniche della veste e punta le unghie, che devono essere affilate o spezzate, poiché subito disegnano sulle braccia delle linee rosse dalle quali inizia a sgorgare sangue. Gli occhi sono lievemente aperti, da essi fuoriesce luce, che vien fuori con l’ostinazione con cui i raggi del sole filtrano in estate in una stanza buia, dalle tapparelle abbassate di un’ampia finestra. La luce si fonde con il brillare delle lacrime, che scendono creando dei piccoli cristalli e si depositano sul corpo dell’uomo, illuminandolo, così che io possa osservarlo e acquisire, con un brivido che percorre il mio stomaco, la consapevolezza del dolore che pervade l’intera immagine, rendendone ai miei occhi l’umanità fino a quel momento ignorata. Quel dolore femminile mi spiazza e mi cattura completamente. Sono così perso in quello scambio di sensazioni che una parola sussurrata delicatamente mi spaventa, come un grido che viene a spezzare il filo di un sonno difficilmente infrangibile.
“Picchiami”
Ascolto quella parola riecheggiare in tutta la cappella, vuota fino a qualche secondo fa. È come se fosse un micro corpo che percorre l’intero spazio, in cerca della bocca che l’ha generato. Lo seguo in tutto lo spazio e condivido con lui l’ansia della ricerca. Ritorna nell’immagine che fino a qualche istante prima aveva catturato la mia attenzione e vedo quella indefinita consistenza sciogliersi nel movimento della bocca della donna; sembra come un richiamo. Ora il mio sguardo è fisso sul suo volto.
“Picchiami”
La richiesta è così potente che il suo contenuto viene scaraventato su mio viso, uno schiaffo invisibile mi colpisce dritto all’altezza della mandibola. Avrei dovuto avvertire dolore o, al minimo, infastidirmi, invece una scossa di piacere pervade il mio corpo. Insomma, quella donna avrebbe dovuto suscitarmi tutt’altro che quei pensieri. Provo imbarazzo, mi sento sporco come se non mi lavassi da giorni, profanatore di una suprema legge.
“Picchiami”
Continua a sussurrarla quella parola, che arriva alle mie orecchie come un suono lontano, ma nel mio ventre è un liquore forte, bevuto tutto d’un fiato e a stomaco vuoto. Poi le sue labbra, che fino a qualche attimo prima erano impegnate nel delicato atto del sussurro, si arricciano prima verso l’esterno, poi verso l’interno e la donna inizia a succhiarsele voracemente. La vedo mordersele quelle labbra, affondarci i denti, sembra volersele ingoiare. Dalle labbra ferite inizia a sgorgare sangue, sangue in movimento, sangue vivo; sembra la lava, intensamente rossa, scendente da un vulcano; come un vulcano in eruzione nel cuore della notte, che illumina i dettagli di un panorama buio, e incendia essi e il cielo notturno, il sangue della donna ravviva la penombra dell’intera immagine, sui suoi colori pastello si posa il rosso denso, acceso, che contamina gli altri, tanto che l’intera immagine assume delle sfumature di rosso, come se si stesse accendendo un fuoco pronto a distruggerla a breve. Con le labbra insanguinate, la donna continua a ripetermi quell’unica parola, che risuona nella cappella come una preghiera oscura, che colei, un essere infinito a cui tanti uomini hanno rivolto, nel corso del tempo, le proprie suppliche, sta rivolgendo a me, essere finito.
“Picchiami”
Guardo i suoi occhi appena aperti, la luminosità delle lacrime è un laser che sembra averli disintegrati, sono divenuti luce pura e sola. Poi, come un incantesimo che si scioglie, da quell’unica parola ne nascono delle altre.
“Picchiami, picchiami perché non sono riuscita a proteggerlo. Picchiami, perché venni eletta per generare la salvezza e tal salvezza non sono stata capace di salvarla. Io, che l’ho partorito, non sono riuscita a proteggerlo”
La voce le trema e le agita il corpo. Strattona il figlio senza vita, come se sperasse di vederlo, di nuovo, autonomamente muoversi.
“Ma non posso picchiarti, cioè non posso picchiarla”. Non so come rivolgermi a quella entità, non sono preparato. Chi, ancora su questa terra, si preparerebbe mai a un incontro del genere?!
“E, anche volendo, non mi sarebbe possibile picchiare un affresco” finisco di dirle, frastornato. Capisco che le cose si stanno mettendo male quando la donna, che fino a quel momento aveva eseguito pochi movimenti, rivolti, perlopiù al corpo del figlio, si sbottona la veste e ne trae fuori un seno.
“Era il frutto benedetto del mio seno, ma ho permesso che lo uccidessero” dice la Maria dell’affresco, tendendo il seno, che ora acquisiva la beltà della consistenza fatta di carne, fuori dall’immagine e verso di me. Mi sorprendo ad ammirare la bellezza di quel seno e a desiderare di toccarlo. Non c’é dubbio, sto mettendo la firma per la mia dannazione. La donna si aiuta con una mano per porgermi il seno, lo strizza per poterlo allungare. Devo girarmi per ignorare l’eccitazione che sento salire dal basso, vergognandomi.
“Guardami”
Un ordine che acquisisce la dolcezza di una supplica. Mi giro nuovamente verso di lei e vengo catturato dalla luce emanata dalle fessure dei suoi occhi; le lacrime continuano a scendere, ma adesso vanno a posarsi sul suo seno, che diviene una sfera luminosa, intrisa di un’energia che vince la mia resistenza e conduce entrambe le mie mani verso quella sfera accesa.
“Adesso picchiami, restituiscimi il mio seno”
Meno la luce, con i pugni, poi a mani aperte. Lentamente il seno riprende il suo colore rosato e un liquido latte luminescente inizia a fuoriuscire dal capezzolo. Senza accorgermene mi ritrovo a succhiare quel liquido. Sento la donna gemere, tendere all’indietro il suo busto, tanto che devo chinarmi in avanti per poter continuare la mia azione. Mi ritrovo con il viso all’ingresso dell’affresco, a faccia a faccia la donna, che, per la prima volta, spalanca gli occhi e li punta nei miei. Come il sole caldo e invadente coglie lo sguardo impreparato di chi tira su le serrande dopo la notte, vengo accecato e non vedo più nulla. Sento qualcosa di umido e caldo entrare in bocca, intrecciandosi con la mia lingua che riconosce in quell’attorcigliamento una sua simile, un’altra lingua. Una mano calda si posa tremolante, sui miei pantaloni.
Svanita l’accecante luce apro gli occhi. Gli affreschi sono nuovamente tutti lì. Solo il “Compianto sul Cristo morto” non c’è più. Al suo posto e al centro dell’affresco, con l’unico sfondo di un cielo dorato, ora vi è una donna i cui occhi grandi sorridono al neonato che tiene fra le braccia, intento a succhiare il latte al seno.
Denso di immagini e colori che destano emozioni e brividi, cara Paola. Il dramma di quella Madre è il dramma di tante altre. Tutte vorrebbero avere la possibilità di tornare indietro per poter difendere e salvare lil “Frutto del loro seno”, ma la realtà non è così generosa come la mente di uno scrittore…
L’autrice trasporta in luoghi, fa vivere emozioni, con le sue parole. Maestria nella sua arte.
Mi piacerebbe sapere se al tuo personaggio gliene è avanzata un po’ di quella cosa che usa… ;-))
Scherzi a parte: molto brava, fino all’indecenza!
Un racconto dai toni angoscianti e drammatici, come è la vita quando ci convinciamo di un destino ineluttabile e prestabilito. Ma l’autrice sembra indicarci l’unica strada possibile per affrancarci dal dolore che, sebbene inevitabile, può essere superato imparando da quella “donna i cui occhi grandi sorridono al neonato che tiene fra le braccia, intento a succhiare il latte al seno”.
Denso di immagini e capace di far vivere, quasi come proprio, un dolore altrui. In questo racconto il dolore diventa possibile, palpabile, un dolore che toglie il fiato, che confonde… forse proprio la consapevolezza della possibilità del poterlo provare, fa vacillare e mette così paura. A volte non c’è una ragione plausibile che possa giustificare qualcosa di tanto inaccettabile come la perdita di un figlio. Difficile anche ipotizzare uno standard di comportamento consequenziale che possa essere “adatto” ad affrontarlo. Nello sconcerto e nel dolore non esistono regole e, in questa narrazione, viene raccontato come la mente umana possa spaziare anche nell’inimmaginabile dialogo con un dipinto nella ricerca estrema di un perché. Complimenti davvero
Parole che fanno comprendere come difronte alla perdita di un figlio il dolore è talmente feroce che la mente si annebbia di sentimenti indecifrabili che arrivano a toccare le sponde dei pensieri piú bui.
Complimenti
Racconto carico di immagini e sensazioni! Molto evocativo e scritto alla perfezione!