Premio Racconti nella Rete 2018 “L’emozione dell’androide” di Paola De Donato
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2018Sapete cos’è l’emozione? Io non l’avevo mai avvertita prima. Ho sempre ed esclusivamente sentito il desiderio di togliere energia vitale. Sono stato progettato per questo. E, fino a questo momento, ho avuto molto successo. In molti, sin dal principio, si sono accorti del mio enorme potenziale. Venivo ingaggiato dai politici, per far tacere qualche personaggio scomodo, per togliere l’intelletto ad audaci pensatori, per sopprimere idee e movimenti pericolosi. Facevano riferimento a me anche privati, ricconi in grado di darmi succose ricompense. Così, annichilivo mogli e mariti impertinenti, suocere ingombranti, rivali in amore o sul lavoro. Diventavano come burattini. Amavo il mio mestiere, più burattini riuscivo a creare, più sentivo aumentare la mia forza: credevo di essere l’unico in grado di determinare le sorti del mondo.
Da un po’ di tempo lavoro in un’azienda in cui i dipendenti, da quel che mi avevano raccontato, a certe regole proprio non volevano sottostare e, allora, venivano a fare una sorta di colloquio per essere reindirizzati sulla retta via, per evitare, così gli raccontavo, il licenziamento. Dovevate vedere come diventavano efficienti dopo il trattamento. Poi dovetti risolvere il caso di quel dipendente. Dovevo levargli l’esigenza di lavorare part-time per poter stare dietro alla moglie malata. Sarebbe andato a vivere in un appartamento più piccolo, a due passi dall’azienda, così da dover sostenere meno spese per mantenerlo. Il primo passo fu quello di andare nell’appartamento del dipendente, dalla moglie, situato al secondo piano di uno storico palazzo in centro. Sui mobili e sui muri c’erano molte fotografie, che, nella penombra non riuscivo a vedere bene. Mi avvicinai a una di esse; c’era una donna seduta su una scogliera, aveva occhi enormi e chiari che puntavano diritti nei miei, lanciandovi una sorta di tremolante filo, che entrò in tutto il mio corpo, facendolo vibrare. Combattei contro quella scossa, dovevo rimanere saldo. Feci molta fatica. Ancora stordito raggiunsi la porta chiusa davanti a me, l’aprii lentamente. Avvertii subito un forte odore di chiuso, immaginai che quella stanza fosse chiusa la maggior parte del tempo e inutilizzata, quindi, forse, ciò che cercavo poteva non essere lì. A causa della penombra riuscivo a vedere ben poco. Al centro, sotto quel che sembrava un enorme lampadario, c’era un letto matrimoniale. Avvicinatomi, notai un gonfiamento a un lato. Avvolta da alcune coperte giaceva una donna, la stessa della foto. Fra i suoi capelli scuri risaltavano alcuni bianchi, che, colpiti da quella sottile e lieve luce che entrava dalle persiane abbassate, risplendevano. Guardai il suo volto. Il suo sguardo era così vuoto da sembrare uno di quelli che creavo io quando rubavo l’anima. Dopo qualche secondo lei puntò i suoi occhi, fino a quel momento fissi sul soffitto, nei miei, come prima, nella foto, senza trasmettermi, però, nessuna vibrazione. “Amore mio, sei tu?”, “Sei tornato dal lavoro presto oggi, siediti qui accanto a me…Come sei bello, sei più bello del solito”. Quelle parole, mai sentite, valevano mille anime rubate, centomila sguardi rapiti. Dovevo compiere il mio dovere, quindi alzai la mano tremante avvertendo che la mia forza, però, veniva meno. Poi accadde: lei afferrò la mia mano, appoggiandosela sulla guancia, e il suo calore sciolse la mia energia assassina.
Sono stato progettato per togliere l’energia vitale, e ho sempre amato il mio mestiere. In quel momento, però, avevo perso le mie forze, non avevo più nessuna utilità. Spostai delicatamente la mano sul suo viso; con un movimento circolare creai una connessione, che, dalla mia mano, indirizzò il calore, che avvertivo toccando il suo viso, nella mia testa, dove si trovava la fonte di tutta la mia energia, il mio cervello. Quel calore produsse una nuova forza, una forza vitale, che subito ridiscese verso la mia mano, che spostai dalla guancia sui suoi occhi, coprendoli. Ci fu una luce e il corpo della donna vibrò per qualche secondo. Appena la luce si dissolse tolsi la mano: feci giusto in tempo a vederli, quegli occhi enormi e chiari che mi avevano rapito guardando la fotografia; la donna sorrideva e piangeva lacrime sottili di commozione, le quali si unirono in un filo, stavolta saldo, non più tremolante, che con potenza attraversò i miei occhi, entrò dentro il mio corpo, che si stava frammentando e disperdendo in mille pezzi, assorbendo tutta la mia emozione. Schizzò via dalla stanza, attraverso le pareti, verso l’esterno, puntando al cielo. Sapete cos’è l’emozione? Provate a guardare in alto, e se vedete passare una scia luminosa che non assomiglia a una stella cadente o a un aereo di passaggio potrebbe essere quel saldo filo. Ecco, quella è l’emozione.
Lo interpreto come un messaggio di speranza, Paola!
L’emozione coglie il lettore, non solo l’androide. Brava.
Brava Paola, il tuo racconto è commuovente e scritto bene e poi entra in modo trasversale tra Philip Dick e Asimov sovvertendo la prima legge della robotica nella parte iniziale del racconto e creandone una quarta bellissima nel finale ” il robot che si emoziona si spegne….felice”
complimenti sinceri
Il tuo racconto Paola coglie perfettamente la spietatezza del mondo di oggi, eppure ci fa sperare che anche l’androide più crudele possa essere ancora in grado di provare un’emozione.
Cara Paola, mi hai dato un attimo spunto su cui poter riflettere. Le emozioni sono impossibili da vivere con mente robotica, si possono riprodurre non sentirle. Provando il calore di un sentimento anche l’androide ha dovuto mutare anima.
Anche l’essere più razionale e “robotico” in fondo ha un cuore. Hai descritto bene la crudeltà di questo mondo spietato, confidando, al tempo stesso, in una umanità che ancora resiste. Brava Paola!