Premio Racconti per Corti 2010 “Silenzio” di Barbara Ciaschi
Categoria: Premio Racconti per Corti 2010Finalmente avrei potuto rivedere Zoe. Un biglietto aereo sudato, conquistato giorno dopo giorno, per abbracciarla, toccarla, annusarla, possederla. Ed invece, tre giorni prima della partenza, mi ritrovai in una di quelle situazioni incredibili ed infauste che si vedono solo al cinema. A volte stento a crederci, eppure è passata una vita da quella dannata notte: domani sono esattamente due anni che vivo e sopravvivo in questa cella muta e uguale. Due anni. Segno ogni giorno che passa con una croce sulla parete accanto al letto. L’avevo visto fare da un prigioniero in un vecchio film, ai tempi in cui i miei mi portavano al cinema di sabato pomeriggio. Ogni volta che traccio quella croce come un quotidiano rinnovamento rituale della mia condanna, mi tornano in mente quei pomeriggi, il profumo di lavanda del cappotto che mio padre regalò a mia madre quando sono nato.
Che silenzio qui …Troppo silenzio.
Dopo la morte di mio padre lasciai il liceo, mia madre non avrebbe voluto, ma fu inevitabile. Lavoravo alla falegnameria giù in città, scaricavo e tagliavo grossi tronchi di foreste saccheggiate, respiravo polveri soffocanti che mi tagliavano la gola come lame affilate. E tutto questo ogni giorno, mi svegliavo che faceva ancora buio, tornavo a casa al tramonto. Ogni sera sporco, distrutto, così stanco da far fatica ad accendere il gas o aprire il rubinetto della doccia, ma anche per fortuna così stanco da dimenticare la mia solitudine. Dopo aver mangiato, di solito leggevo i libri lasciati da Zoe a casa mia. Non so se li avesse dimenticati davvero o di proposito, forse per farmi sentire meno solo dopo la sua partenza per San Cristobàl. Una montagna di libri d’arte su certi pittori fiamminghi dai nomi impronunciabili, un romanzo di Hrabal, una raccolta di poesie sudamericane, e la biografia dei Pink Floyd con diverse foto, testi e spartiti. E con delle annotazioni fatte a lapis da Zoe ai tempi in cui prendeva lezioni di chitarra. Una delle mie preferite è “Comfortably numb”: piacevolmente intorpidito, ecco come mi sentivo, o meglio, come avrei tanto voluto sentirmi. Mi addormentavo spesso con la voce calda e rassicurante di Beverly, la dj del mio programma radiofonico preferito, tre ore di “classici” rock e jazz. Queste erano le mie giornate, qualcuno potrebbe definirla senza eufemismi una vita di merda, però era la mia. Adiacente al mio monolocale, separato solo da mura sottili come carta velina, viveva un tipo che non conoscevo di persona, stava sempre rinchiuso nel suo loculo. Non so di preciso dove trovasse i soldi dell’affitto, credo vendesse erba, infatti c’era frequentemente un discreto andirivieni sul pianerottolo e mi capitava spesso di incontrare tipi eleganti e frettolosi che scendevano le scale ad occhi bassi, adolescenti chiassosi con capelli e giubbotti colorati, gruppetti di spavalde studentesse che finivano la paghetta in ombretti e divertissements. So che il mio vicino quasi siamese aveva una specie di passione – o meglio velleità- letteraria. La portinaia mi raccontò una volta che egli riceveva periodicamente della posta da parte di una casa editrice locale, e che addirittura le aveva confessato il suo sogno di affermarsi come scrittore di successo. So anche che aveva iniziato a scrivere a mano i suoi lavori, e poi li portava alla copisteria in fondo al quartiere; in seguito con i primi soldi guadagnati si comprò una macchina per scrivere di seconda mano, vecchia, pesantissima, con i tasti rotondi, in metallo.
Un’anonima e tranquilla sera, solo e stanco come sempre, andai a dormire, ma non riuscivo a prendere sonno. Mi giravo e rigiravo nel letto. Sentii qualcosa di inconsueto, un rumore tanto persistente quanto snervante. Non riuscivo a collegare il martellìo alla fonte: tic, tic, tic,tac,tic,tatac,tic,tac…tiiin! Tic,tac,tac,tiiin! Continuo, incessante, crescente.
Il rumore non si arrestava, si insinuava nei gangli del mio sistema nervoso come un parassita. Tic,tic,tatac,tiiin!Tic,tac,tac!Ah, il famoso scrittore! Ah, la promessa della letteratura mondiale! Cosa aveva intenzione di fare con quella sua macchina infernale?! Il rumore aumentava d’intensità. O forse era sempre lo stesso, quella che aumentava era la mia rabbia. Ogni secondo controllavo le lancette della sveglia, come una bomba ad orologeria. Mi precipitai alla porta del mio vicino; ero scalzo, infreddolito, iniziai a bussare vigorosamente e a reclamare il mio sacrosanto diritto al riposo: “Hey tu, ma sei impazzito?! Sì,dico a te, smettila con quell’aggeggio, voglio dormireee!”. La porta si aprì appena, giusto lo spazio concesso dalla catenella, e comparve lui con l’aria quasi scocciata. “Che c’è?! Sto scrivendo a macchina il mio romanzo, ho tutti i capitoli tranne quello finale, è un romanzo che mi cambierà la vita, sono sicuro,devo trovare un finale, non posso smettere proprio adesso, l’ispirazione quando arriva, arriva.”
“Voglio…devo dormire! Mi ammazzo di lavoro per tutto il giornooo!Ho bisogno di dormireee!”
“Non è colpa mia amico se fai un lavoro massacrante, tu hai il tuo, io ho il mio. Buonanotte”. E richiuse la porta, con la stessa freddezza di un impiegato delle poste che ti chiude lo sportello in faccia fregandosene del fatto che ti sei sorbito invano un’ora di fila, quando va bene. “Buonanotte un cazzo!” gli ringhiai dietro.Tornai in casa, tracannai una birraccia calda e mi rimisi a letto.Volevo, speravo che avesse capito il mio giusto sfogo, così avrei potuto godere il silenzio notturno. Tic,tic,tatac,tac,tac,tic,tiiin!Tic,tac,tic,tic,tic,tactac,tiiin! Stentavo a credere alle mie orecchie. Sto sognando, pensavo, mentre le lancette indicavano le tre e dodici. Sto sognando, mi ripetevo, forse Zoe aveva ragione sulla storia dei viaggi astrali.
Tic,tac,tac,tic,tictac,tic,tac,tac,tiiin! Ancora continuo, ancora incessante, ancora crescente.
Poco lucido, sfinito, furioso, in un lampo ero di nuovo alla porta del mio vicino, iniziai a prenderla a calci e ad inveire contro quella piaga rumorosa. “Basta! Basta! Devo dormireee! Lo capisci, figlio di puttana?!”. Tutto questo frastuono a notte fonda, eppure nessuno si era affacciato sul pianerottolo per vedere cosa stesse succedendo; forse i miei condòmini pensavano che si trattasse della solita lite tra i due dell’appartamento C.
Tic,tac,tac,tac,tictac,tic,tic. Niente.
“Apri, se hai il coraggio!” Tic,tac,tic,tictac,tiiin! Ancora niente. Incredibile. Fremevo, avevo il respiro affannato,le mie mani tremavano. Il parassita nervino si stava trasformando in virus da debellare. Accecato dalla rabbia, geloso del mio agognato sonno, sfinito e offuscato dalla stanchezza, colpito dall’indifferenza provocatoria del mio antagonista, tornai in casa, aprii d’impulso il cassetto delle posate ed afferrai un grosso coltello, uno di quelli per tagliare la carne,e quasi meccanicamente lo misi in tasca e tornai davanti a quella maledetta porta.
“Apri…sono proprio curioso di leggere il tuo capolavoro!” Lui fece capolino ancora una volta.
“Hey amico, calmati, occhei?! Togli il tuo culo da lì davanti e tornatene a letto. Devo finire il mio libro, ricordi? Ho molto da fare.”.Io persi completamente la testa. Con una forza animalesca, spinsi la porta, mi aiutai con un calcio e la catenella si spezzò; in un attimo mi trovai davanti a lui. “Dunque, dunque…io voglio dormire, io mi massacro di lavoro e tu cosa fai?! Un cazzo, però di notte, quando devo dormire, quando posso avere un po’ di silenzio, il mio silenzio, tu fai un rumore incredibile.Assordante! Per scrivere cosa, poi? Sicuramente stronzate, a quest’ora della notte.Sono curioso. Fammi vedere.” Lui si mise tra me e la macchina, dalla quale penzolava un foglio scritto fino a metà. Io cercai di prendere il foglio, lui si scagliò contro di me come un cavaliere fa da scudo alla sua damigella indifesa e mi buttò a terra. Iniziò una cruda, brutale lotta tra noi, sembrò durare un’eternità, sentii scivolare il coltello dalla tasca dei pantaloni, lui aveva le sue mani strette alla mia gola, stavo soffocando; in quei secondi, un po’ stordito, pensavo al perché mi fossi ritrovato in quella situazione, pensavo a Zoe, poi non pensai più a nulla. Il vuoto. Ad un certo punto cadde sopra di me, ed emise una specie di gemito strozzato. L’avevo accoltellato,l’avevo ucciso, io.Proprio io. Sparpagliati sul pavimento scuro c’erano fogli e fogli con alcuni capitoli del romanzo. Non scappai. Restai per terra, mi misi seduto, mi stropicciai gli occhi, lessi lentamente. Da quel che potevo capirci, era la storia di un tipo normale, con una vita normale, che improvvisamente impazzisce.Però non vi era spiegato il motivo, la causa scatenante. Forse proprio questo il mio vicino si apprestava a raccontare nel capitolo finale…Restai immobile, era quasi l’alba, un cielo bellissimo. C’era silenzio in quella stanza. Proprio come in questa cella.
Troppo silenzio.
Bello Barbara, brava. Il trasporto emotivo c’è e l’idea è bella. Mi piace anche lo stile. La fine, forse, un po’ si intuisce.
Continua a scrivere!