Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2018 “Tra i fumi della città”di Lisa Santucci

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2018

In un vicolo di New Portland un uomo, armato di pistola, attende. Ha un cappotto di cotone fino e caldo, i capelli tirati indietro e un ciuffo ribelle che si arriccia dietro l’orecchio sinistro, rosso spento.

Ai suoi piedi il corpo di un ragazzino inerme, vestito troppo leggero per quella sera così fredda, è immerso in una pozza di sangue. Intorno a loro il fumo trasuda dalla strada di mattoni e dai tubi di ferro sui muri, l’odore acido dell’olio speciale Frank per la manutenzione dei robot ferisce le narici dell’uomo, che ne calcia via una bottiglia. in bocca ha una pipa di metallo, squadrata e di metallo nero, dalla forma rettangolare.

Un topo appare da dietro un cassonetto, arrivato dalla strada principale piena di luci e fischi di tram, dove le poche persone ritardatarie corrono verso casa per scappare al freddo pungente dell’inverno. Con delle movenze da ubriaco il ratto si avvicina all’uomo fino a incastrarsi in una pozzanghera, il fumo e il rumore degli ingranaggi escono dal corpo, la bocca e uno degli orecchi cade a terra nella foga. «Destro, tu e i tuoi robot del cazzo» impreca l’uomo mentre si avvicina alla macchina, la solleva e la sventra, facendo cadere piccole rotelle e bulloni. Dentro un biglietto con un indirizzo.

L’uomo lancia via il topo senza riguardo in mezzo ad altri rifiuti meccanici, si toglie il cappotto, mostrando una camicia nera di seta fermata da delle bretelle rosso sangue e dei pantaloni neri e lo posa sul ragazzo ancora riverso nel vicolo: «Sfortunato ragazzo, ti sei ritrovato davanti un assassino senza pietà e senza pietà sei morto. Perdonami, se puoi, per averti usato come esca ed essermelo comunque fatto scappare». Si congeda stringendo le braccia al petto e camminando a passo veloce.

Appena in strada una piccola macchina a vapore lo attende poco più avanti sul marciapiede, il fumo comincia a dileguarsi con le prime gocce di pioggia. Un uomo, giovane e alto, con degli occhialetti tondi e i capelli biondo cenere scompigliati per metà esce di fretta dall’auto, incespicando con piedi e parole: «Ah… Hugo, capo… Signore! Finalmente siete tornato! Ero convinto che quello sporco assassino vi avesse preso, stavo per scendere… anzi no, chiamare rinforzi…» «Mi stupisce che tu abbia pensato alla tua macchina privata Therence, ero convinto di vederti con la Mercedes» lo interrompe bruscamente l’uomo.

«No, signore! Non lo farei mai signore! La sua è un’investigazione fuori servizio. Ma il ragazzo?» l’uomo in un attimo gli è addosso e gli tira un pugno non troppo forte sulla testa, intimandolo al silenzio senza aggiungere una parola. Gli leva poi la giacca con un unico movimento fluido e la indossa. Si siede al posto del passeggero ed attende che Therence lo raggiunga. Gli passa il bigliettino trovato nel topo meccanico di prima, il ragazzo lo legge e poi stritola il foglio nella mano.

La Pics Brothers, la più grande azienda produttrice di robot aziendali della capitale e forse dello stato, almeno fino a trent’anni fa. L’edificio è ora un luogo di ritrovo di scienziati che conducono esperimenti illegali sugli automi. Per lo più. Il treno delle sei di mattina fa tremare i vetri e per un attimo i tubi smettono di fumare. Il cielo è ancora scuro mentre i due uomini entrano nell’edificio: «Vedo che la reception c’è ancora!» dice divertito Therence mentre si avvicina al vecchio dietro al bancone. «Hugo Carter, immagino. La sua fama la precede. Prego, da questa parte» un po’ troppo sbrigativo. «Devi aver sentito le storie peggiori, se non hai fatto domande» ragiona Hugo mettendo le mani in tasca dopo essersi sistemato i capelli umidi di pioggia.

«È un grandissimo detective» la voce di Therence, ora più bassa di un ottava giunge alle spalle del vecchio, che un attimo dopo è stritolato da una mano di ferro, gli occhi sgranati che fanno sembrare gli occhiali ancora più piccoli. «Enzo non voleva essere scortese, lascialo» interviene una donna con un camice bianco e il volto circondato da riccioli neri». Del fumo esce dalla mano del giovane che un attimo dopo lascia andare il vecchio, che cade a terra.

«Mi manda Destro, lo conosci?» inizia Hugo, facendo un passo avanti. «Quindi si fa chiamare così adesso. Gli calza come un nervo L4K ad un bambino» dice entusiasta «È un complimento» aggiunge vedendo le facce dei due uomini. «Cosa hai fatto per farlo lavorare per te?» e Hugo risponde: «Sono qui perché potresti sapere qualcosa dell’uomo che sto cercando: Caro, il serial killer».

La donna senza dire niente si gira e a passo veloce si dirige verso delle scale a chiocciola, i due la seguono immediatamente e insieme si addentrano in un corridoio poco illuminato. Arrivati davanti ad una porta di metallo lucido, laccato di nero tutto si fa buio e Hugo cade a terra svenuto.

Al suo risveglio è in una stanza di un laboratorio, decine di insetti e mosche robotiche stanno volando intorno, seguendo dei precisi tracciati. Una luce elettrica illumina bene la stanza, senza lasciare angoli in ombra. La donna dai capelli neri è seduta su una sedia in pelle, le braccia sui braccioli e Therence semi seduto sulla scrivania, le braccia incrociate. Quando i suoi occhi marroni si accorgono che si è risvegliato, tira un leggero calcio alla sedia e la testa della donna cade di lato: «Non ti preoccupare, è svenuta. Ha detto che avrebbe collaborato ma non posso certo fidarmi di lei». Quando Hugo prova a parlare si accorge di non riuscire a muovere le labbra come si deve e tutto quello che riesce a produrre sono versi grotteschi. «È anestesia locale, interessante vero? Non sentiresti niente neanche se ti strappassi la lingua». Si avvicina lento e libera le mani dal tubo al quale erano legate, lasciandole però insieme. Di peso lo fa sedere su un’altra sedia vicina, dato che anche piedi e ginocchia sono anch’essi legati. Nel movimento un po’ di saliva scende sul mento dell’uomo e Therence lo raccoglie con premura, a mani nude: «Non pensare che ti abbia tradito. Io ti ammiravo, tu mi hai salvato dal mio destino misero facendomi studiare e poi sono diventato tuo partner. Però… Non dovevi uccidere mio fratello» il volto di Hugo si contorce per la sorpresa e altri versi escono dalle sue labbra. Il ragazzo si siede cavalcioni su di lui ed estrae la pistola dell’altro, iniziando a giocarci: «Eravamo dello stesso orfanotrofio. Forse così è più chiaro. Io ho sempre creduto in te, tutte le persone che hai ucciso, sfruttato e sacrificato per la tua giustizia… Ti ho sempre giustificato. Ma Caro ti ha fatto impazzire del tutto, hai mollato il lavoro, lasciandomi indietro e quando ho deciso di aiutarti lo stesso non mi hai degnato di una parola» Lo sguardo di Hugo è furente, cerca di far alzare il ragazzo, di muoversi, ma senza successo. Therence allora si avvicina di più e, tenendogli la bocca aperta con la pistola infila la lingua, facendo un pasticcio di saliva. In quel momento la porta si apre e un uomo dai capelli lunghi fin oltre le spalle, chiusi in una coda ordinata dal quale scappano solo poche ciocche sulla destra entra con passo leggero. Ha un cappotto simile a quello di Hugo ma blu notte, camicia bianca e gilet nero, un ciondolo dorato al collo, occhi neri e una sigaretta in bocca.

«Destro? Ben arrivato» saluta il ragazzo alzandosi e pulendosi la bocca. «Uoooha?» Riesce a pronunciare Hugo, l’effetto dell’anestesia che comincia a sparire. «Era ovvio che foste in contatto. Neanche te potevi trovare un indizio in così poco tempo» indicando la donna. «Sai, mi sono sempre chiesto chi fosse questo tipo nel quale riponi tutta la tua fiducia. Sapevo anche che saresti venuto lo stesso prima o poi, perché tu ci stavi seguendo vero? Lo hai sempre fatto. Quei tuoi giocattoli non sono così avanzati da poter compiere grandi distanze in autonomia» fa un passo avanti e alza la pistola: «Tu sai chi è stato ad uccidere mio fratello?».

L’uomo si prende un momento e poi alza il braccio ad indicare Hugo. «Lo so. Lo ha sacrificato, io voglio sapere chi è Caro!» «Ma Hugo! In realtà la sua mente è sempre stata un po’ debole e malata, ha una doppia personalità, nata a causa delle botte che ci dava nostro padre, vero?» A quello cala il silenzio «Cosa stai dicendo?» «Lui è tuo fratello?!» Dicono in coro gli altri due. All’ennesimo silenzio, Destro si mette a ridere «Scherzetto!» poi, tornato serio: «In verità siamo mille anni nel futuro rispetto ad adesso, questo è solo un gioco, a cui tutte le persone annoiate possono partecipare. La memoria viene temporaneamente sostituita per permettere un realismo migliore. Io sono l’amministratore e voi delle persone annoiate. Abbiamo già avuto questa conversazione sapete? E per la cronaca le persone morte sono opera tua Therence, sono il risultato delle tue partite precedenti. Sei un giocatore assiduo, eh?».

«Io non ti credo! Si può sapere che cazzate stai dicendo?!» Hugo si alza in piedi con impeto, ma subito cade a terra, si dimena, urla. Poi Therence decide di liberarlo, mettendo bene in chiaro che è lui quello armato, puntandogli la canna addosso come minaccia. Il rosso però lo nota a malapena, si alza e si rivolge al fratello «Pensavo fossi scomparso, ucciso da Caro, per questo ti ho cercato tutto questo tempo… Ma tu, non sei nessuno per me?»

Il fratello si avvicina e gli tira un pugno tanto forte da farlo cadere a terra «Scherzavo di nuovo» dice senza emozione stavolta. «Tu, mio caro Hugo, sei un robot costruito da me per il mio divertimento e per farti prendere la colpa se mai ci fosse il rischio di venire scoperto per gli omicidi». Si abbassa in ginocchio e gli accarezza una guancia «Però mi sono affezionato a te, quindi che ne dici di dare la colpa a questo sciocco e andare via?». Un colpo di pistola ferisce Destro alla gamba, facendolo cadere indietro. «Oscar!» urla Hugo, senza però muovere un muscolo. «Se non ci credi… Aprilo. E controlla» dice al ragazzo.

«Non mi interessa adesso. Sei davvero tu l’assassino che si fa chiamare Caro?» minacciandolo con la pistola. «Forse. O forse è solo la scelta più facile per te. Ti avrò detto la verità?». Tre, quattro, cinque colpi di pistola al petto affogano la verità nel sangue, forse. Non è sicuro nemmeno di questo. Sa però che era il fratello di Hugo e che adesso anche lui prova il suo stesso dolore. Il rosso non si è mosso per tutto il tempo, ancora in terra e la guancia dolorante, le scarpe e i pantaloni sporchi della macchia di sangue che si sta allargando sul pavimento. Si guarda in torno come per vedere se cambia qualcosa, sperando di svegliarsi.

Therence si avvicina, la mano tesa che solleva il suo peso «Mi spiace. Davvero. Ma fin dall’inizio io… volevo uccidere Destro». Hugo prende la pistola e in un attimo pezzi di cervello sono sul pavimento. Prende gli occhiali ancora intatti e li indossa, sono leggermente larghi. Si avvicina al fratello e prende il porta sigarette in ferro dalla tasca, lo svuota e ci mette i fiammiferi rimasti dopo aver acceso la sua pipa. Esce, ormai è giorno, gli ultimi scienziati nel palazzo si affrettano a prendere il treno per raggiungere il loro lavoro diurno, le persone intorno a lui camminano frenetiche, mentre il fumo della città nasconde le macchie di sangue sul cappotto. Sul giornale l’articolo su quel ragazzo del vicolo: “Caro il killer compisce ancora” è il titolo.

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