Premio Racconti nella Rete 2018 “Nicholas K. Parker” di Lisa Santucci
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2018L’erba secca del prato è bagnata dal bisogno di un cane, la padrona lo lascia fare con calma mentre parla con l’auricolare al telefono. Il piccolo bastardo, non contento e avendo tempo extra, decide di lasciare un altro ricordino poco più in là. Io guardo la scena mentre cammino piano, con la mia schifosa borsa in ecopelle economica, spero, prego, che il mondo sia un posto migliore, che quella dolce e innocente ragazza svolga il suo dovere civico e liberi il prato del condominio dagli escrementi del suo cane. Ovviamente non succede e il colletto della mia camicia diventa improvvisamente stretto per la rabbia, ma non mi stupisco, continuo a camminare, entro nell’appartamento e ne riesco subito con un sacchetto di plastica dalla scorta che nascondo opportunamente in un angolo dietro all’ingresso, richiudo gli escrementi e poggio il sacchetto a terra, nello stesso punto: io, il mio dovere l’ho fatto.
Mentre rientro vedo con la coda dell’occhio una mano scura, poi un viso contornato da capelli ricci, molto giovane, da ragazzino, “ha mandato il figlio eh?” e con disinvoltura mi avvicino all’angolo più remoto del giardino.
«Salve signore, mi manda mio padre, sa per…»
«Si Biko, certo che mi ricordo, doveva pagarmi l’affitto ieri»
«Si, ma se lei signore, può aspettare ancora qualche giorno… l’altro mese abbiamo pagato bene, siamo brave persone»
«Certo, per questo mi sono fidato e vi ho lasciato la casa, anche se siete clandestini» Lo guardo, il poveraccio ha le scarpe rotte, penso a dove si sia infilato per ridurle così, a quanto ha camminato… Sorrido, notando la camicia bianca, sicuramente la migliore che hanno, che spicca sulla sua pelle e di come sia distrattamente infilata dentro i pantaloni: si vede che voleva darsi un tono, ma che non è abituato.
«Va bene, aspetterò fino a venerdì»
«Grazie signore! Lei è veramente buono!» Sorridiamo entrambi, lui si avvicina per stringermi la mano, io l’accetto ma sul momento serro i denti e mi sforzo di non allontanarmi o mostrarmi schifato: il suo gesto mi ha colto di sorpresa.
Torno all’ingresso ma mi fermo davanti alla porta, prendo il cellulare e compongo il numero della polizia: «Salve, il mio nome è Nicholas K. Parker e vorrei denunciare degli abusivi, immigrati sicuramente clandestini, in un appartamento di mia proprietà. Si certo, attendo in linea…»
Chiamatemi pure stronzo bastardo razzista, ma avete idea di quanto l’assicurazione, lo stato, la polizia, mi risarcisce ogni volta che denuncio degli abusivi? Certo, ho bisogno di precauzioni, fingermi ogni volta una persona diversa in modo che non sospettino, fare segnalazioni anonime per puzza o rumori molesti lasciando fare tutto il lavoro agli sbirri, ma sono loro che hanno deciso di infrangere la legge. Non sono un mostro, capisco perfettamente le loro ragioni, la loro fretta e la loro paura, quindi finché mi pagano cerco di aiutarli, anche se nessuno c’è riuscito per più di 3 mesi, ma sono comunque a rischio: io, una possibilità per rifarsi una vita l’ho data.
E se vi dicessi che ho bisogno di milioni, centinaia di milioni per pagare le spese mediche di mio fratello, ferito di guerra, in condizioni pietose e distrutto dal PTSD, con mia madre ormai diventata alcolista e drogata al pensiero del figlio in pericolo e ora costretta in una casa di riposo per anziani ‘problematici’ e con una ex-moglie avvocato che è riuscita a vincere la causa con condizioni da capogiro per entrambi ma per i motivi opposti, mi credereste? Avreste ancora il coraggio di mandarmi alla forca, ipocriti comunisti? Odio le persone ambigue, sono le peggiori, con un niente entrano in panico, tronchi in bilico che non sanno da che lato cadere. Quindi si, truffo gli immigrati per arrotondare, fatevene una ragione e nascondete i vostri, di altarini, e sperate che non ne venga mai a conoscenza.
Mi lascio finalmente lo schifo del mondo alle spalle per dedicarmi al mio passatempo preferito della sera: l’Adventure Galley, la nave del famoso pirata Kidd. Riesco a sistemare tre barili di rum e due di grasso nella stiva, prima che suoni il telefono, che ho opportunamente lasciato nella borsa in sala, è Desy: «Desy, ti ho detto mille volte che qualsiasi cosa, passato l’orario d’ufficio, può benissimo aspettare domani perché, così come noi, fornitori e clienti staccano e tornano a casa, è inutile»
«Si tratta delle pompe funebri Motta, hanno chiesto di rimandare l’ordine, ma ormai partirà stanotte, rischiamo di perdere clienti fidati…»
«Per quale motivo? Cento chili di faggio è la loro quota mensile»
«Il signor Motta è venuto a mancare stamattina»
Ecco, non la sto più ascoltando, è riuscita incredibilmente a farmi distrarre dal lavoro, dovrei ascoltare le specifiche, chiamare subito la ditta di trasporti, organizzare un bouquet di fiori e una chiamata di condoglianze, ma qualcosa di più importante si fa strada nel mio cervello, un pensiero che mi assilla da sempre e che ora, con la pelle d’oca e i brividi, posso far salire in superficie e concretizzare: è la prova che Dio esiste. No aspetta, non ancora, non posso saltare alle conclusioni: «Desy, come è morto?»
«Ma te l’ho appena detto! È stato investito!»
Attacco il telefono in faccia alla mia assistente, me ne scuserò domani, forse, ma il Signore non può aspettare. Le mani mi tremano e solo ora che è caduta sul tavolo, mi ricordo di avere ancora strette tra la mani le pinzette con la terza botte di grasso che, ancora umida di pittura, ha macchiato di marrone il centro tavola della sala da pranzo. Lo guardo, sembra sangue, sangue venoso, scuro e sporco. Non più tardi di ieri, sono venuto a conoscenza di una pratica abominevole messa in atto da uno dei nostri clienti più seri ed affidabili. Avrei potuto parlargli, cercare di farlo ragionare o anche minacciare di denunciarlo ma ero confuso e incredulo, non volevo neanche rischiare un contratto importante che avrebbe peggiorato la mia reputazione e diminuito i profitti dell’azienda. Giudicando impossibile il mio intervento diretto, mi restava una sola cosa da fare: pregare Dio. E così ho fatto, nel silenzio della mia mente, mentre uscivo dall’ufficio, mentre prendevo la metro, mentre rientravo a casa. Ho pregato senza farmi vedere, senza dare nell’occhio, per evitare le polemiche dei pagani e i loro discorsi poco convincenti sulle loro convinzioni blasfeme. Ho chiesto: “Puniscilo, fallo morire, così che al tuo cospetto possa pentirsi dei suoi peccati”. Io non mando all’inferno come alcuni, non mi permetterei mai di fare una cosa tanto terribile; qualsiasi malvagio deve morire, soffrendo, perché sarebbe un dolore momentaneo, così che poi possa pentirsi davanti a Dio e trovare la pace. Se lo condannassi alla sofferenza eterna non ci sarebbe redenzione neanche per me.
Motta, quindi, ha avuto ciò che si meritava per aver osato risparmiare sul bollo e la revisione dei veicoli aziendali, ne aveva anche alcuni in nero! Per quanto la bara sia di qualità, se non arriva al cimitero intatta è tutto inutile, e le sue vetture erano tutt’altro che sicure e a norma, scommetto che non ha mai neanche pagato un collaudo e infondo, chi fermerebbe per strada un carro funebre per un controllo? È stato furbo, ma niente sfugge ai Suoi occhi.
Nel frattempo la mia cotoletta con piselli e purè è pronta e mi siedo composto alla tavola apparecchiata. Non importa cosa succede intorno a me, non è un buon motivo per essere negligente dei miei doveri e della salute del corpo e dello spirito donatimi. Non perdo tempo in elucubrazioni o santificazioni mentali senza fare altro con il corpo. E poi, perché spendere così tanti soldi per del legno pregiatissimo se poi si ritrova a dover stringere la cinghia sulla sicurezza del trasporto? Tanto vale offrire un servizio mediocre a tutto tondo senza correre rischi! Dio odia le cose a metà, come i vegetariani. «Dovrebbero diventare tutti vegani», mi sfugge ad alta voce mentre addento la carne. Poi bevo un sorso del mio Pu-Erh caldo, il miglior modo per prendersi cura del colesterolo e del grasso in eccesso senza fare dell’inutile attività fisica.
Da domani comincerà il mio nuovo lavoro come segretario di Dio; sarò i suoi occhi e le sue orecchie e riferirò di tutte le persone che meritano di morire. E lui mi esaudirà.
Il sole è sorto da poco, sono solo le otto ma io sono già per le scale con la mia solita borsa in ecopelle blu, la mia camicia bianca, pantaloni e scarpe da ginnastica; per ordinare le orchidee da mandare a Motta. Normalmente sarei di umore pessimo per dover uscire di casa un’ora prima per una commissione del genere e finirei per sfogarmi su Rocco, che si prende sempre cura dei miei straordinari ma non oggi, non in questo giorno glorioso, il primo del mio nuovo lavoro e non per rendere gloria a chi è stato giudicato da Dio. “Devo pensare presto a chi potrebbe essere il prossimo ad essere punito e salvato”, medito mentre firmo il biglietto di condoglianze. Sorrido, “trovato”, concludo mentre scendo le scale della metro che mi porterà a lavoro.
Dennis Caprino, sulla ventina, è sempre appostato all’ingresso del palazzo, nell’atrio per la precisione, sulle scale a fumare spinelli e droghe, impestando l’aria. Nessuno ha il coraggio di prendere provvedimenti, a causa della portinaia, sua zia. Una donna tutta d’un pezzo, con una morale d’acciaio e i pugni di ferro, colta fin troppo per la sua posizione, intenditrice di politica e di economia, sempre con un giornale in mano. In passato mi ha rivelato di aver studiato alla Columbia ma la sua condizione di femmina le ha impedito di trovare un posto soddisfacente o un comportamento decente, quindi ha aiutato a crescere il nipote, ora pilota. Ma Dennis, lui è nato dopo, lontano dalla sua supervisione e si è trasferito qui solo da poco, già incamminato sulla strada del suicidio e lei, ormai stanca e distrutta dalla monotonia e dai sogni infranti non ha avuto la forza di raddrizzare il ragazzo, solo di difenderlo da qualsiasi portatore di ragione. Ma io non potrei mai denunciare a Dio quella buona donna, ormai già distrutta e pura nell’anima. Il giudizio si abbatterà sul giovane che non ha ritegno neanche per le donne incinte che devono varcare la soglia e attendere l’ascensore in condizioni di rarefazione malsane.
Lo vedo di nuovo al solito posto, ma questa volta sono preparato, lo stordisco con un taser e lo trascino per i piedi. Si risveglia impaurito e dolorante legato al termosifone del mio salotto, penso di sfuggita a come il bagno sarebbe stato più igienico, ma lì non avrei avuto nessuna immagine divina a controllare il mio operato, quindi scaccio il pensiero.
Come i flagellanti inizio a frustare con la cinghia il ragazzo, lui urla, piange e si dispera, chiama la zia.
«Ragazzo, Dennis, è per il tuo bene. Conosci la storia giusto? Quando commetti dei peccati e la tua mente è debole e sai già che li commetterai di nuovo, molti sceglievano questo sistema per cercare di correggere i loro comportamenti. Questo è un dolore di pentimento, e di rinascita, e poi sarai migliore» gli spiego con calma fermando il braccio. Lui si calma, mi fissa in silenzio «Per la droga? È per quello? Mi aiuterà a smettere?»
Capisco quindi che in lui è presente il desiderio di redenzione e le mie labbra sorridono appena: stava solo cercando qualcuno che lo incoraggiasse per la giusta via.
«Certo Dennis, dopo oggi, ogni volta che ti verrà voglia di drogarti la tua mente si ricorderà del dolore che hai provato stasera, avrai paura anche solo di pensarci» e ricomincio «Ma devi soffrire veramente tanto perché funzioni… Non ti senti già meglio?» e la sua pelle comincia a sanguinare.
Sbatto le palpebre e mi ritrovo improvvisamente nell’atrio, mi rendo conto di aver immaginato tutto nell’arco di un paio di passi, il ragazzo puntualmente seduto accanto all’ascensore con il suo spinello, uno leggero stavolta. Io continuo verso casa e tiro un sospiro di sollievo: quello era un atto veramente spregevole e terribile, mai deve accadere una cosa del genere. Mi pento subito per averlo pensato, anche se so che la mente affascina proprio per la sua immaterialità e libertà: nessuno può controllare o sapere i nostri pensieri e noi stessi indugiamo nei peccati con la mente proprio per non commetterli nella vita reale.
Il giudizio spetta a Dio, io mi limiterò a pregare per la sua punizione tutta la sera, forse fino all’alba e domani sarà compiuto.
Difatti la mattina successiva non sento nessuna puzza venire dall’atrio e mi rallegro: Dennis non c’è! Saluto la portinaia, noto che è depressa ma non mi soffermo a chiedere come mai, tiro dritto, forse quasi per paura ma con l’eccitazione nel cuore.
Gongolo tutto il giorno e penso a come reagire una volta che mi comunicheranno il suo destino e decido per un misto di “c’era d’aspettarselo” e “mio Dio mi dispiace, alla sua giovane età”. Senza la supervisione di Rocco avrei mandato alla Sarelli Funebre il cedro pregiato, destinato alle Pompe Funebri Corali e di ordinare cinque invece di cinquanta tonnellate di balsa. Non è da me distrarmi sul lavoro, ma da ieri sembra inevitabile.
Mio ex-cognato, il direttore della filiale, ovviamente ha notato il mio comportamento e non ha certo perso l’occasione di chiamarmi nel suo ufficio per una ramanzina, come al solito, da dove traspare sempre il suo odio per come è finita tra me e sua sorella: dopo i primi 5 minuti infatti, abbandona sempre i discorsi sulle partite di legname per concentrarsi sulle sue frustrazioni più intime per ore. Lo devo a Rocco se ogni sera posso uscire sempre puntuale, alla sua bravura e gentilezza nel svolgere prima il mio lavoro e poi il suo, finendo per restare fino a tardi, costretto a straordinari non retribuiti. Ma oggi è speciale e quindi gli chiedo di sobbarcarsi tutto il mio lavoro restante, così da poter uscire in anticipo e incontrare la portinaia prima che chiuda; devo avere notizie.
Lei sorride leggendo, Dennis è al suo solito posto fumando Maria… è lì, indubbiamente… E i colpi di tosse leggeri della donna mi confermano che non è solo una mia allucinazione ma che l’aria è veramente impestata di droga come al solito.
La saluto: «Buonasera, è di buon umore?»
«Oh Nick! Tornato presto? Si, oggi il mio Dennis mi ha fatto una sorpresa per il mio compleanno» e tira fuori un libro intitolato “Games you can play with your pussy” «E non è neanche la prima volta che mi regala un libro! Mi conosce bene» aggiunge tirandone fuori un altro dal titolo “What’s your poo is telling you”.
Io accenno una risposta veloce e mi precipito all’ascensore, premo una, due, tre, quattro, molte volte fino a che non arriva e quando le porte si chiudono realizzo: Dennis è ancora qui. Forse gli è venuto il cancro e quindi ci vuole tempo… anche se considerando la sua situazione un’overdose sarebbe stata meglio… Forse non sembravo abbastanza convinto, perché è un ragazzo magari ho avuto degli scrupoli involontari… o magari deve passare più tempo, anche Motta ha avuto l’incidente dopo due giorni… si, domani, “domani” borbotto calmandomi e respirando, sicuramente succederà domani.
Ma niente è cambiato, dopo un altro giorno neppure, neanche dopo una settimana. Una nuova famiglia immigrata si è trasferita in uno dei miei appartamenti ma ancora niente, Dennis continua a fumare e far ammalare tutti quelli intorno a lui e sua zia continua a tossire, mentre legge il libro che le è stato regalato… Improvvisamente guardando la scena e vedendo il suo sorriso pacato ho un pensiero: potrebbe… Forse… Si magari, c’è la possibilità che io mi sia sbagliato… Per quanto lui possa fare del male a se stesso, alle persone che vivono intono a lui, ai nascituri e alle loro madri forse, facendo un regalo di compleanno alla zia dimostra di non essere del tutto malvagio, di provare riconoscenza e amore. Fintanto che c’è del buono, anche poco, in una persona, essa ha ancora speranza.
Ma quindi cosa è giusto, cosa è sbagliato? Come posso io capire quali persone posso indicare a Dio? Per quanto tempo devo osservare una persona per essere sicuro di aver visto tutto quello che c’è da vedere?