Premio Racconti nella Rete 2018 “Bainza e Pietro” di Anna Rosa Perrone
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2018La musica della vecchia fisarmonica di Minnitu risuonava, nella notte di San Giovanni di quel lontano 1947, con le sue antiche melodie e qualche salto stonato di ritmo.
Tutte le famiglie del paese aspettavano impazienti nel grande cortile le ore più buie della notte sperando che la pira, una volta accesa, fosse di buon augurio a giorni migliori.
Bainza, quella notte, indossava i suoi sedici anni, consapevole, nonostante il vestito non proprio adatto, di essere una delle ragazze più belle.
Aveva un corpo già da donna e i tratti del viso avevano dimenticato l’indecisione infantile. Il suo sguardo poi diritto davanti a sé aveva imparato a non piegarsi, in modo quasi impertinente neanche quando il prete durante la messa della domenica sollevava al cielo il corpo di Cristo.
Più di una volta la madre Filomena l’aveva rimproverata: non poteva guardare in quel modo i “grandi” non poteva mettersi alla pari fissando negli occhi e con curiosità chiunque si trovasse davanti a lei e in chiesa poi …
Quella notte però Bainza era emozionata e ogni tanto piegava lo sguardo verso i suoi piedi, anche lei avrebbe saltato la pira ed era la prima volta.
Aveva l’ansia di scoprire quale ragazzo la sorte le avrebbe fatto stringere le sue mani.
Le fila separate dei maschi e delle femmine, poste ai lati della catasta di fascine, prima della celebrazione del rito del salto del fuoco, avevano più volte cercato di tessere trame di sguardi e sospiri penetrando il muro delle ombre.
Bainza in fila nel gruppo non riusciva a stare ferma, muoveva freneticamente le gambe quasi per sciogliere i muscoli e prepararsi alla rincorsa.
Era la quinta e si augurava che dall’altra parte il “quinto” in fila fosse un ragazzo simpatico con cui dopo poter scambiare qualche parola :
Bainza e Pietro e si erano trovati così “compari” nel gran salto.
Si erano guardati, un momento prima della rincorsa, ridendo e facendo scivolare le pupille lungo i corpi, Pietro, dopo un attimo, semplicemente le aveva detto tendendo il suo braccio “dai, dammi la mano e non mollare”.
Le loro dita si erano chiuse in una stretta destinata a non svanire, come la legna ammassata nella catasta di quella notte in un mucchio di cenere.
Erano iniziati così gli appostamenti di Pietro vicino alla sua casa, gli sguardi di rimando di Bainza , i primi appuntamenti, le uscite più frequenti di lei che ora si offriva di andare spesso alla fonte a prendere l’acqua e gli abiti sgualciti e odorosi di erba pressata al suo rientro.
La storia era durata qualche mese prima che a casa, iniziassero i sospetti e le preoccupazioni di Filomena, che una figlia può essere causa di grossi guai se torna a casa con un “ospite” indesiderato dentro il ventre e colui che le ha fatto il “dono” alla macchia.
Bainza aveva dovuto parare il fuoco delle domande, sempre più pressanti della madre, le lame taglienti dei suoi sguardi che cercavano di oltrepassare i suoi abiti e le sue carni per carpire il segreto, le restrizioni per le sue reticenze, che l’acqua adesso andava a prenderla qualcun altro alla fonte e le sue passeggiate sempre “sotto scorta”.
Bainza aveva dovuto guardare negli occhi sua madre Filomena anche mentre le sue labbra pronunciavano le più vergognose bugie che neanche ad un prete certe cose si possono confessare, sino a quando Pietro, per poterla rivedere, si era presentato a casa.
L’inizio non era stato facille, si sa come in un piccolo paese, le chiacchere possono cucirti meglio di qualsiasi sarto un abito sulle tue carni e Pietro aveva un grande difetto non lo si vedeva andare in sacrestia per la confessione né baciare i mattoni della chiesa e non aveva un lavoro stabile.
Quello li è un anarchico, uno senza Dio che vita può offrirti?
Quello ti fa perdere tempo e poi neanche ti sposa.
Filomena per giorni le aveva ripetuto quelle frasi ma già aveva capito che la battaglia era persa peggio che a Caporetto.
Bainza stava zitta ma i suoi occhi ben dicevano che la scelta era fatta.
Per un po’ Filomena aveva cercato di tenere alla larga Pietro ma alla fine si era dovuta rassegnare che le chiacchere in paese erano tante per quel ragazzo appostato tutti i giorni di fronte alla sua casa e sua figlia “bollata” fra quelle che aveva già dato qualcosa di suo.
Adesso Bainza e Pietro potevano uscire insieme qualche volta e ogni tanto anche da soli, ma i controlli erano diventati ancora più stringenti sotto il fuoco delle mille raccomandazioni e i suoi mestrui appuntati sul calendario.
Dovevano essere responsabili, aspettare, che la vita è tutta un’altra cosa non è un gioco sotto le lenzuola e per sposarsi si dovevano mettere i soldi “da parte” sentenziava la madre.
Bainza e Pietro invece volevano vivere insieme subito e far l’amore ogni volta che ne avevano voglia, senza dover subire restrizioni che ora che tutti sapevano del loro amore anche sfiorarsi era diventato un problema.
Una notte la grande pazzia: erano scappati insieme.
I genitori di Bainza li avevano cercati invano ma dopo un giorno, sapendo che il guaio era ormai irreparabile, si erano rassegnati ad aspettare il loro ritorno spontaneo.
La loro fuga gridò al mondo che la casa si sarebbe messa su per forza ma Bainza e Pietro, se l’erano presa comoda ed erano ritornati a casa non come gli altri dopo una notte ma dopo una settimana che sua madre Filomena aveva perso la faccia con le altre donne del paese e quasi non aveva più occhi per piangere.
Si erano rifugiati in una vecchia costruzione militare retaggio della guerra del 1915, quasi inaccessibile che dopo le bombe e i silenzi dell’abbandono aveva preso a vivere dei loro respiri.
Per sempre avrebbero rimpianto quei giorni, completamente liberi, le carezze, i baci e le tante risposte ai giochi dei loro corpi.
Le notti all’aperto, coperti solo di ombre, sdraiati sui cespugli di elicriso, il loro naso puntato alle stelle, le loro orecchie incantate dal rumore del silenzio interrotto dal gracidare dei ranocchi, dal frinire dei grilli, dalla luce corporea delle lucciole, il loro rincorrersi senza pensare a niente neanche al loro futuro.
Sei notti insieme, come allegri furfanti alla macchia, prima di decidere il ritorno e bussare nuovamente alla porta della casa di Filomena.
Sotto la pressione delle nocche di Pietro l’uscio si era aperto velocemente e mani poderose li avevano tirati in fretta dentro la casa.
Loro due erano consapevoli, prima di entrare, del supplizio, della gogna necessaria per potersi trovare liberi e insieme.
Bainza e Pietro sapevano come sarebbe andata finire: prima le botte “in famiglia” poi la visita del parroco che questa volta Pietro avrebbe dovuto rispettare le regole.
Don Giacomo non c’era andato leggero con loro e soprattutto con Pietro: li aveva interrogati penetrando la piega più nascosta delle loro carni e prima del matrimonio aveva imposto un mese di clausura a Bainza che neanche le mani di Pietro doveva sfiorare.
La voce di Don Giacomo aveva tuonato dentro la casa di Filomena: due cani in calore li aveva definiti il parroco cercando di incutere la più nera vergogna.
Don Giacomo li aveva sposati un mercoledì di buon mattino che non erano necessari tanti fronzoli per loro che non erano stati di buon esempio.
Per il prete anzi sembrava quasi una questione di onore e di prestigio ricondurre alla norma quelle due pecore che avevano perso la strada della chiesa per vivere come le bestie nella cieca lussuria.
Ti piace?
Lo sguardo soddisfatto di Pietro cercava dentro i suoi occhi un cenno di conferma.
Aveva preso in affitto una camera e cucina con bagno all’esterno e nessuna delle comodità dei nostri giorni, che l’acqua per essere “corrente” bisognava prenderla nel pozzo comune ed il loro “comodo” la campagna alle spalle dell’abitazione.
La responsabilità di tirare avanti ogni giorno non riusciva però a offuscare la loro allegria e qualche bicchiere di vino aiutava.
Lui non voleva che la sua compagna sentisse le croci né il giorno né tantomeno la notte che i sermoni dei preti e la loro “lussuria” non dovevano varcare l’uscio della loro casa.
Ogni volta che chiudeva la porta Pietro, guardava Bainza pronunciando un plateale “vaffanculo” e prendendola per mano come la prima notte di nozze inscenava una rincorsa verso i materassi di lana del loro letto.
Il sacrificio, il peccato, lo sguardo di Dio che ognuno di loro doveva sentirsi sulle spalle per guadagnarsi il paradiso…
Tutte balle, lui voleva vivere quel presente fatto di giorni scanditi dalla luce e dal buio e dai tanti “ti piace?” e voleva Bainza libera come lui che dentro le loro quattro mura non si doveva urlare come nelle caserme, né menare le mani come in alcune famiglie tanto perbene, lustro del parroco.
Pietro nudo sul letto guardava, alla luce della candela, Bainza spogliarsi senza vergogna, la stringeva fra le braccia senza tanti discorsi, la faceva salire sul suo bacino dondolandola come in un gioco, muovendo le mani sui suoi fianchi.
Bainza gioiva di quel gioco che non si nutriva degli schemi del peccato.
Miranda era nata un giorno, figlia delle loro risate…
Brava, Anna Rosa, hai dipinto e narrato la tua storia con grande realismo (o forse dovrei dire “verismo”?). Belli i personaggi, il loro desiderio di emancipazione e di tuffarsi nella modernità, e il senso di forza e spavalderia trasmesso dall’amore. Complimenti.
Ti ringrazio per il commento e le tue parole per molto lusinghiere. Non so se si capisce dal racconto ma io li amo questi due.
Bellissimo racconto Anna Rosa, bella la storia I personaggi e il modo leggero e sapiente della tua narrazione.
Complimenti tra i tuoi scritti è quello che preferisco. Bravissima!
Bello il tuo racconto Anna Rosa, mi hai riportato indietro di tantissimi anni, a tradizioni che con difficoltà si cerca di tenere vive, almeno in qualche piccolo centro della mia terra. E soprattutto, mi hai riportato indietro a modi arcaici di concepire i rapporti di coppia, scanditi dall’ingerenza clericale, troppo spesso ipocrita,
Che bella storia! Certo che si capisce che li ami questi due, ma li fai anche amare agli altri! Il nostro sguardo strabico e un po’ supponente ci fa immaginare che nel nostro “l’altro ieri” la libertà non apparteneva a nessuno, quasi potesse essere appannaggio di una certa epoca o di una certa cultura. Per fortuna tu ci ricordi che non è così, che la libertà è una condizione dell’anima e, come questa, è fuori dai condizionamenti del tempo.
Racconto splendido, ben costruito e avvincente. Complimenti Anna Rosa!
Ringrazio Gianluca, Pasqualina e Simona per i loro commenti. Un grazie particolare da Bainza e Pietro.
Ciao Anna Rosa. Bellissima la storia di questi due ragazzi innamorati e del loro desiderio di libertà, avulso dagli stereotipi imposti dalla famiglia.
Magnifica l’immagine finale. Mi sembra contenga quasi una morale: sorridere alla vita, viverla con leggerezza, anche quando tutto sembra remarci contro.
Grazie a Mirella e Antonella per aver letto e commentato questo racconto
Brava, Anna Rosa, un bel racconto su un amore pieno, totale, completamente affrancato dalle convenzioni e dai condizionamenti sociali: insomma un vero amore.
Grazie Les Ubu.
Che destino, l’amore nonostante tutto e tutti…Che delicatezza e fierezza! Nei miei racconti, invece, c’è sempre ben altro. Invidio la capacità di narrare la felicità. Che bello
“figlia delle loro risate”: a me rende perfetta l’immagine dei due giovani e del loro amore anarchico. È il tuo racconto che ho preferito. Brava
Un Grazie a Germana e Luca per aver letto e commentato il mio racconto.
Quando la lista dei 25 sarà pubblicata e questa partita decisamente finita un invito a tutti i partecipanti: non perdiamoci di vista. C’è molto del nostro paese nelle nostre storie, ci sono molte testimonianze di persone “invisibili” che hanno necessità di essere raccontate, le nostre penne con alterne fortune ne possono essere strumento. Un augurio a me e a tutti i partecipanti di trovare la forza di ” macchiare” con autenticità la carta bianca…
Un augurio a tutti i 25!