Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2018 “L’ingegnere e la signorina” di Lucia Masetti

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2018

“Buongiorno, signorina.”

“Buongiorno, ingegner Poretti.”

Con queste due battute s’apriva, immancabile, ogni giornata di lavoro. Verso le otto i corridoi dell’azienda brulicavano di figure in giacca e cravatta, delle più svariate fogge. L’ingegnere arrivava, rigorosamente, alle otto meno cinque. Il soprabito liscio, color caramello, sempre lo stesso. I passi scattanti, rigidi e forti, da colonnello. Tac, tac, tac. In tre falcate copriva l’atrio, passando accanto al bancone della segretaria.

La salutava sempre al solito modo, un po’ brusco, ma non distratto; pareva semmai che fosse l’eccesso d’impegno a rendergli la voce così sgraziata.

Lei era arrivata immancabilmente da pochi minuti, e il suo saluto la coglieva mentre, con la calma più composta, rassettava il cappello che si era appena levata. Era un cappellino grigio, di feltro, aderente ai lati del capo; ma da una parte, come per vezzo, aveva dei piccoli fiori finti, e due fragoline di vetro.

Al saluto dell’ingegnere alzava gli occhi, mentre le lunghe dita irrequiete continuavano a tastare il cappello.

Lo guardava per un istante, come se fosse ogni volta sorpresa di vederlo. E alla fine gli rispondeva, educata ma seria: “Buongiorno, ingegner Poretti.” Poi appoggiava il cappello accanto a sé sul bancone, mentre lui imboccava il corridoio degli uffici.

Alla sera il copione si ripeteva, all’inverso. L’ingegnere, uscendo a passi cadenzati, le diceva: “Buonasera, signorina.”

E lei, calzando il cappello, rispondeva seria: “Buonasera, ingegner Poretti.”

A volte c’erano variazioni minime: un giorno l’ingegnere entrava con il pastrano gocciolante, e i suoi passi erano accompagnati dagli energici squittii delle scarpe. Un altro giorno la signorina doveva spazzolare con rapidità le fragoline rosse, prima che la neve lì impigliata si sciogliesse. Un altro giorno ancora il vento arrossava le guance della signorina, e scompigliava i capelli dell’ingegnere come i crini di uno spazzolone.

Anche la voce poteva variare: in inverno era più roca, in primavera più acuta; ma le parole non variavano mai, né in meno né in più.

Nel frattempo successero parecchie cose. Successe la guerra, tanto per cominciare; ma l’ingegnere fu esentato perché gli era rimasto il braccio offeso da una malattia infantile. Poi successe il dopoguerra, e l’azienda cominciò a vacillare. Infine successe la ripresa economica, ma l’azienda era arretrata e ne trasse poco vantaggio.

A parte questo, cambiò poco. Il soprabito color caramello era forse un po’ più logoro, e il cappello della signorina aveva perso qualche fiore, ma continuarono a dirsi buongiorno e buonasera nello stesso modo.

Poi un giorno l’ingegnere si guardò allo specchio, e vide che i baffi stavano diventando grigi: e pensò che era ora di prendere moglie.

Anche quella volta disse: “Buongiorno, signorina”, però lo disse forse in un tono diverso, perché lei alzò gli occhi troppo rapidamente. O forse esitò più del solito davanti al bancone perché, quando lei gli rispose, il suo “buongiorno” aveva una sfumatura interrogativa.

L’ingegnere abbassò gli occhi, guardando intensamente le fragoline di vetro sul cappello. Inspirò, e parve sul punto di dire qualcosa d’altro. Poi considerò le mani della signorina, che reggevano il cappello. Una piccola piega gli comparve ai lati dalla bocca; e proseguì verso gli uffici.

Nella pausa pranzo un collega gli disse ridendo: “E te, lo sai che la segretaria s’è fidanzata?” L’ingegnere riposizionò con forte concentrazione una foglia di lattuga nel suo panino, e alla fine rispose che sì, lo sapeva.

Molti inverni passarono. Col tempo l’ingegnere fu promosso, ma lei lo chiamava sempre “ingegnere.” E la signorina si sposò, ma lui la chiamava sempre “signorina.”

Poi gli inverni si fecero più freddi, e prese a nevicare un po’ dovunque. Nevicò sui baffi dell’ingegnere, e nevicò sui capelli della signorina. E l’ingegnere dimagrì, e la signorina ingrassò; poi l’ingegnere ingrassò, e la signorina dimagrì.

Infine un giorno l’ingegnere passò, e il bancone era vuoto. Ma lui disse come al solito: “Buongiorno, signorina”, e il vento dietro le finestre gli rispose: “Buongiorno, ingegner Poretti.”

Si andò avanti così per un po’. Poi un mattino l’ingegnere si alzò e si sentì leggerissimo, quasi impalpabile. Pensò che fosse una sensazione stranissima; ma si avviò comunque al lavoro.

Appena arrivato sentì che c’era qualcosa di inusuale: l’atrio era deserto, e dalle finestre sembrava entrare più luce del solito.

Per la prima volta in vita sua esitò sull’ingresso, confuso. Poi vide una figura familiare in fondo alla stanza. In tre passi fu di nuovo davanti al bancone, e la trovò giusto che rassettava il cappellino.

“Buongiorno signorina” le disse, con una strana voce che tremava.

“Buongiorno, ingegner Poretti” rispose lei.

E sorrise.

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1 commento »

  1. Complimenti, questo racconto mi è piaciuto molto: i gesti dei protagonisti, le loro abitudini, il tempo che passa fino all’insolito bellissimo finale. Brava!

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