Racconti nella Rete 2018 “Il profumo della verbena” di Patrizia Vitali
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2018Il fuoco scoppiettava nel piccolo cerchio di pietra, e i due uomini accovacciati tendevano le mani per riscaldarsi, ma soprattutto per riscaldare il loro cuore. La paura fa tremare come il freddo, pensava l’uno, e scrutava il cielo scuro della notte come se da lì potesse scaturire qualcosa in grado di colpire: il capitano era stato chiaro, la battaglia sarebbe stata dura, dovevano tenere il posto e non cedere al nemico, anzi, cercare di guadagnare terreno. E lui invece, in quel momento, non riusciva a pensare ad altro che alle occasioni perdute, a quella occasione in particolare, quando il suo orgoglio aveva sopraffatto la sua ragione e aveva risposto un “ no” al posto del “sì” che avrebbe desiderato. Il nome, l’onore, la superbia delle proprie convinzioni … quanto poco sembravano contare adesso che il nemico era lì, davanti a lui, e forse lì sarebbe terminata la sua vita, in quel campo fangoso ai piedi delle montagne! Il suo compagno ad un tratto parlò:
“Allora è per stanotte”
Strappato ai propri pensieri lui rispose meccanicamente:
“Così ha detto il capitano”
“Hai paura di morire?”
“E chi non ha paura della morte?”
“Io non ho paura della morte. Temo solo di non incontrarla”
Lo guardò, stavolta lo guardò davvero: un giovane uomo stanco, dagli abiti stropicciati, con due grandi occhi blu, nei quali, alla luce del fuoco, scintille rossastre sembravano danzare. Un volto comune, ma sereno, misteriosamente sereno alla vigilia di una battaglia spietata, forse mortale.
“Chi vorresti incontrare?”
“Lei, la mia signora. Lei mi chiese di non dimenticarla mai, l’ultima volta che ci siamo visti. Vorrei poterla incontrare, di là.”
“Come sarebbe?” chiese lui, attratto suo malgrado da quelle parole, da quella storia.
“Si dice che ci si può confessare tra commilitoni, lo dice la Santa Chiesa, no? E allora te lo posso raccontare, mi posso confessare, tanto questa è la mia ultima notte su questa terra.”
“Che dici?!”
“Stanotte l’ho sognata. Era vestita di bianco, come l’ultima volta che l’ho vista, e mi sorrideva. Ha detto che mi avrebbe atteso, ma io non so, sono un peccatore, ho tanto desiderato la morte di un uomo, di suo marito, e quindi non so cosa sarà di me.”
Adesso l’altro era curioso: si avvicinò al fuocherello, soffiò sulle braci per ravvivarlo, poi si volse e disse:
“Raccontami”
E venne fuori la storia. L’avevano data in sposa a un nobile signore, gran guerriero, che spesso la lasciava sola nel castello, che parlava di lei come del suo cane levriero, la chiamava sua proprietà, la trascurava o la maltrattava, e lui se ne era innamorato forse proprio per questo, perché era così bella e così infelice. Una volta le aveva sfiorato la mano, e lei era arrossita; qualche tempo dopo aveva trovato un suo guanto, e lo teneva ancora con sé, perché aveva il suo profumo, odorava di verbena.
“Io scrissi anche una canzone su di lei, e forse l’avrai sentita cantare anche tu” ma rifiutò di cantarla.
“Non stanotte. Stanotte dovrei pregare, perdonare per essere perdonato, ma non posso farlo… Dio abbia compassione di me!”
“Perché?-interrogò lui, che sempre più si sentiva attratto da quella storia- In fin dei conti non hai fatto niente di male. L’amore colpisce senza guardare; un giorno ti volti e quella che hai sempre guardato distrattamente diventa il sole della tua vita, la donna ideale, anche se è un sogno impossibile.”
“Ci sei caduto anche tu, allora”
Lui annuì, e alla luce del fuoco morente i suoi occhi si fecero lucidi.
“E allora lo sai. Sai com’è amare qualcuno con tutta l’anima; e che faresti se te la uccidessero?”
“Cosa ?!”-replicò, sconvolto.
“Lui si era innamorato di un’altra. Una donna bellissima, ricca e potente, nipote di.. di una persona importante. Lei era tanto bella quanto malvagia, e pretese che lui se ne liberasse. E forse erano corse delle voci su di noi, anche se, Dio mi è testimone, io non l’ho mai toccata! Comunque lui le ordinò di recarsi in un’altra sua proprietà e la fece accompagnare da due dei suoi fedelissimi. Arrivai in tempo solo per aiutarla a montare a cavallo, e lei ebbe solo il tempo di dirmi “ Non dimenticarmi”. E la portarono via. Dopo due mesi giunse notizia della sua morte: era stata male, dissero, poi dissero che le girava la testa ed era caduta, precipitata da una finestra, ma io..io non ci ho mai creduto! E la sola cosa che mi dispiace è che nessuno lo saprà mai, che tutti crederanno a lui, che pareva tanto addolorato e che ora si sposa di nuovo: e sposa lei, naturalmente:l’altra!”
“E tu non puoi fare niente? Che so, dire la verità, accusarlo.”
S’interruppe: l’altro scuoteva malinconicamente la testa, con un sorriso triste.
“A chi crederebbero, secondo te? A un gran signore, con truppe utilissime in questa guerra, o a me, uno sconosciuto come tanti? No, la mia sola speranza è la giustizia vera: quella che non c’è in questo mondo, ma nell’altro sì!”
Tacquero entrambi, mentre anche il fuoco si affievoliva e la luce delle stelle pareva più lontana, il cielo più scuro.
“La sola cosa che mi dispiace è proprio questa, che nessuno lo saprà mai. D’altronde è quello che lui vuole. Mi ha già detto che non gli piace sentire voci false in giro, e io temo che…”
Non completò la frase, non ce n’era bisogno.
“Che Dio ci assista “ disse, e per un attimo sembrò voler parlare ancora, poi si allontanò a gran passi verso l’orizzonte.
Al mattino dopo ci fu lo scontro, e si combattè fino a sera; lui non ricordò molto di quella battaglia se non un mulinello confuso di urla, scontri, feriti, sudore e sangue, e gente che cadeva in ogni dove, travolta, calpestata a morte dai cavalli in carica, sventrata, finchè alla fine , vincitori ma a caro prezzo, non si trovò a cercare quel giovane con cui aveva parlato la sera prima.
E lo trovò, alla fine, pallidissimo, esangue, sdraiato a terra, con una ferita al ventre che, come comprese subito, era mortale.
“Sei venuto… ti aspettavo per morire..-disse piano l’altro, comprimendosi la ferita con le mani sporche di sangue- ora posso andare… mi dispiace solo che.. nessuno saprà mai…”
Poi il viso gli si illuminò di un sorriso splendido, mentre tendeva una mano e sussurrava “ Pia…”.
La testa ricadde a terra e lui gli chiuse gli occhi.
Furono in due a scansarlo e a scuotere con un calcio il corpo.
“Ma che fate? Non vedete che è morto?” gridò lui, fissandoli bene in viso.
“E allora?” lo apostrofò uno di loro “E’ solo un cane morto”.
“E ora smetterà di latrare bugie”-aggiunse l’altro, ridendo sguaiato.
Se ne andarono, e lui rimase un attimo stordito, poi fece per inseguirli.
“Io non lo farei, se fossi in te- gli disse un altro commilitone, che conosceva bene –quelli sono gentaglia, e il conte non scherza. Lascia perdere.”
“Ma..”
“Lascia stare, amico. Chi ha mai detto che la vita è giusta? Lo so che ti brucia, ma è l’unica vita che abbiamo”
Lo guardò:
”Dai retta, ormai quel poveretto è morto, la contessa pure, lui si risposa, che ci vuoi fare? Noi non contiamo niente, amico, siamo solo carne da macello, per loro. E poi che potresti fare, tu, contro un uomo così importante? Lui non vuole che se ne parli e non se ne parlerà, ecco tutto. Piuttosto andiamo a cercare un prete che assolva questo poveraccio. ”
“Allora tu dici che l’hanno ucciso per questo? Perché il conte non vuole che se ne parli? ”
“Oh bravo, vedo che l’hai capita. Su, andiamo, che qui son postacci da rimanerci quando è sera .“
Era quello, allora, rifletteva lui, che il conte voleva: il silenzio su un assassinio, forse due, la contessa Pia e Jacopo; il non far rumore su quella vicenda, il far passare tutto sotto silenzio, affinchè si dimenticasse, e nessuno pronunciasse più quel nome.
Rivide il volto di Jacopo, risentì la sua voce, e un’onda di rabbia lo travolse. Forse… sì, forse c’era qualcosa che poteva fare.
Trasse dal nascondiglio il suo manoscritto, riflettè un momento su quello che gli era stato raccontato: la contessa era stata uccisa, quindi era morta a causa della violenza di un uomo, peggio, di quell’uomo che l’aveva sposata promettendole amore e protezione.
Lo aprì al punto in cui era arrivato, prese la penna e il volto sereno di Jacopo mentre mormorava “ Pia..” gli si parò davanti ; ricordò che lei aveva detto a Jacopo di non dimenticarla, e scrisse:
“Quando sarai ritornato al tuo mondo
e riposato della lunga via
seguitò il terzo spirito al secondo
ricordati di me, che son la Pia; “
E aggiunse:
” Siena mi fè: disfecemi Maremma
salsi colui che inanellata pria
disposando m’avea con la sua gemma…”
Nella tenda chiusa vibrò un soffio lieve di vento, e il profumo della verbena gli accarezzò la guancia.
Io che rallento quasi ogni giorno costeggia Ponte della Pia, piacevolmente ho scoperto poco a poco chi fossero i protagonisti del racconto. Bella narrazione, omaggio ad una storia a me cara! Complimenti
“costeggiando il Ponte della Pia”
Un omaggio alla storia di Pia de’ Tolomei, che ho conosciuto attraverso il lavoro di Pia Pera e l’opera ROCK di Gianna Nannini, è una cosa buona anche per l’attualità del femminicidio che, a quanto pare, ha radici ben profonde.
Grazie Silvia, mi scalsa il cuore il commento, non è stato facile per me partecipare, chissà, se un giorno ci conosceremo mi piacerebbe parlare insieme, Patrizia
Perché no, sarebbe bello!
E anche a te grazie Ilaria, oltretutto io non seguo molto la musica moderna, perciò mi hai anche mostrato una cosa nuova, non sapevo che Gianna Nannini avesse scritto un’opera e che soprattutto trattasse di Pia dè tolomei, , un personaggio che mi ha affascinato fin dai (lontani) tempi della scuola.
Meraviglioso racconto, Patrizia! L’atmosfera mi ha fatto pensare al Bergman del “Settimo sigillo”; greve, sospesa, pregna di un senso del peccato e dell’oltremondo. Sei stata bravissima a tornare indietro di tutti questi secoli. Trovo molto originale l’idea di una rivisitazione della storia di Pia de’ Tolomei, e la prospettiva “ralenti” con cui disveli poco a poco i personaggi.
Complimenti davvero, il tuo racconto è decisamente uno dei più belli di quest’anno.
grazie Giada, mi sono commossa a leggere il tuo commento, non pensavo che avrei avuto questo bel risultato, per me è ha un enorme valore,Patrizia