Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2018 “Luce turchese” di Marianna Guida

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2018

Sono degli orecchini con una piccola pietra di turchese, il cui baluginio è appena intuibile e la fine cesellatura si rivela solo all’occhio esperto di chi sa apprezzare gli oggetti antichi, quelli da cui si sprigiona il calore delle storie personali che chiedono solo di essere raccontate. Sono appartenuti a mia madre e, fra monili, suppellettili, vestiti, libri, medicine che  ingombrano questo tavolo, sono loro a  parlarmi di lei, con la  lingua delle cose vive, materia inerte che si fa racconto. Fra i tanti oggetti, solo loro, in questo pomeriggio di maggio, mi parlano.

Forse sono stati comprati in un pomeriggio autunnale, di quelli che a Napoli avvolgono la città in una sorta di pellicola sporca, quando la caligine spessa rende il passo più frettoloso ma anche vacillante, perché la pioggia proietta gli animi un po’ più dentro di sé, alla ricerca di un riparo. Forse è stato in uno di questi pomeriggi che lei, Cecilia, li ha visti nella vetrina del gioielliere, dentro un elegante astuccio ricoperto di velluto blu, una confezione che poteva solo far intuire una provenienza altera, vezzosa e sdegnosa al contempo. Piccoli orecchini di turchese, delle dimensioni che è giusto abbiano i gioielli, non pretenziosi e senza alcuna velleità di apparire a tutti i costi, ma manifestandosi allo sguardo di chi solo sa capirne il brillio e la fine fattura. Il turchese, poi, era come il vento azzurro su una spiaggia a settembre e la chiusura, invece, di quelle antiche, a scatto, dietro il lobo dell’orecchio. Potrebbe esserci andata sola, ma è molto più probabile che la madre l’abbia accompagnata, pronta a dispensare consigli sulla legge del buon gusto. Si saranno intrattenute nel negozio dai pannelli di legno, illuminati dalle gioie disposte sui ripiani, mentre l’orefice ne decantava le qualità e la fine lavorazione. Era il suo secondo stipendio, nei primi anni ’50, e lei voleva spenderlo così, senza strafare, ma siglando con un certo autocompiacimento il traguardo raggiunto, mentre la madre, pur approvando, avrebbe magari gradito l’acquisto di un gioiello più vistoso. Ma lei li voleva così, poco appariscenti.

Quegli orecchini hanno attraversato, poi, le domeniche dalla suocera, in mezzo ai nuovi parenti, nelle riunioni di famiglia nelle quali provava a dissimulare quel lieve rossore che doveva affiorarle sulle guance, e di cui smorzava l’insorgere attraverso una parlata veloce e musicale, mentre difficilmente si accorgeva degli sguardi invidiosi delle altre donne e dell’incanto che sapeva suscitare negli uomini. Quegli stessi orecchini ce li siamo contesi, mia madre e io quando ero ormai diventata una giovane donna, desiderosa di manifestare una femminilità priva di ridondanze, un po’ sorvegliata, antica, e come timorosa di risultare sfacciata e seduttiva. Proprio come era successo a lei. Glieli chiedevo implorante, adducendo motivazioni vaghe che rimandavano all’abbigliamento color celeste che richiedeva, appunto, di essere ravvivato dall’intenso turchese del gioiello. Lei, pur generosa, appariva un po’ riluttante a cedermeli, forse perché temeva la mia trascuratezza con gli oggetti, a cui, effettivamente, ho sempre dato scarsa attenzione. Temeva, non a torto, che li potessi perdere. Quando poi li avevo nel giorno della rapina sul pullman, mentre un giovane drogato, brandendo con sguardo vitreo il suo coltello, m’intimò: ”Ramm tutt cos” (dammi tutto quello che hai addosso), gli orecchini sono rimasti al loro posto, cioè saldamente ancorati al lobo delle mie orecchie, ignorati per la fine fattura, per il loro scarso esibizionismo, per la loro piccolezza. Certo, quando il coltello oscillava instabile nelle mani del giovane, io ho dovuto separarmi a malincuore dalla fede nuziale e dai pochi spiccioli che c’erano nel portamonete. Ma loro no, le pietre d’estate sono rimaste lì.  Anni e anni dopo, durante il rovinoso furto in casa dei miei, quando gli oggetti antichi delle nonne e i regali di mio padre finirono nei borsoni nei ladri, ammassati in modo confuso e indistinto nel fondo di qualche zaino, poveri oggetti smarriti che avrebbero perso la loro traccia e la loro storia, ecco, quegli orecchini, ancora una volta, vennero ignorati, ritenuti non all’altezza dei loro cugini d’oro giallo. Scampati anche a quel furto, sono stati quasi venerati come un idolo pagano, circonfusi com’erano da un alone di invisibilità, proprio come il mantello di Harry Potter o l’anello magico dell’Orlando furioso.  Lei ha continuato a metterli, con la tipica civetteria delle signore anziane che indossano abiti buoni e gioielli, aspettandosi non che dissimulino gli anni ( anche se a lei avrebbe fatto piacere togliersene qualcuno), ma che siano una testimonianza contro quell’oblio che avvertono incombente e minaccioso, dietro l’angolo, pronto a ghermirsi il passato. Quegli orecchini sono adesso saldamente ancorati sui lobi delle mie orecchie, sono la mia scommessa contro l’oblio, sono il patto con la persistenza della memoria.

 

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6 commenti »

  1. Gli oggetti si svestono della loro materialità, della qualità estetica per divenire suggello di memoria, sostanza di legami, simbolo di un cammino e del bagaglio meravigliosamente pesante costruito durante la vita insieme. Quella luce turchese illumina una stanza interiore in cui ogni giorno si cerca calore e rifugio, e la forza per camminare con tutto l’amore, e quella persistenza della memoria sacra, indissolubile. Passato che si fa presente, passato che è vita continua. Grazie Marianna.

  2. Grazie a te Maria. Sei riuscita a dirlo con più accuratezza di me. Il percorso è duro e la scrittura aiuta. E”nel cuore nessuna croce manca”

  3. Allora, cara cugina, eccoci a colloquiare anche su Racconti nella Rete, concorso che mi ha dato grandi soddisfazioni e ottimamente organizzato. Al posto di commenti che tu già conosci ti mando un grande in bocca al lupo e … ci vedremo a Lucca per la premiazione!!!

  4. Me lo auguro, caro cugino!

  5. Bravissima, Marianna, complimenti ! Le vite intrecciate, quella di tua madre e tua, e un monile simbolo di continuità . I tuoi scritti , che sanno così bene scandagliare nelle sensazioni di tutti noi, nelle emozioni dettate dalla memoria e dal passato, lasciano sempre il segno. Noi lettori, ” siamo ” anche un pò te che scrivi . Ad majora.

  6. Cara Elisa, ho solo provato a far parlare il passato e lui ha comunicato con me. Aspettiamo il tuo adesso!!!

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