Premio Racconti nella Rete 2018 “Erano gay” di Francesca Raiti
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2018Parcheggiò la sua auto dietro un albero affinchè non fosse visto ma potesse vedere; sbirciò dal finestrino per accertarsi che a porta dell’istituto fosse ben visibile,mancavano venti minuti alle tredici e trenta, quando il suono della campanella avrebbe segnato la fine delle lezioni ed uno stormo di ragazzi si sarebbe precipitato giù dai gradoni,
Conati di rabbia gli facevano digrignare i denti, in testa gli risuonavano come colpi di martello le risate di scherno dei suoi paesani, quei cenni di disappunto ogni volta che l’argomento era il futuro dei propri figli, come una coltellata ricordare come quel bimbo aperto ed allegro era diventato adolescente cupo e sempre chiuso dentro la propria stanza , a cui le parole bisognava tirarle con la tenaglia.
Fu distratto dalla sfilata di giovani che cominciava a sbucare dall’inferriata e scendere le scale del liceo. Ed eccolo il suo Michele, il suo bimbo, l’unico maschio dopo tre femmine, che aveva fortissimamente voluto, che aveva portato tante volte a giocare a calcetto con lui, con cui aveva seguito in TV i gran premio di formula Uno; camminava mano nella mano con un altro coetaneo anche lui con un orecchino a cerchio al lobo.
Li seguì con lo sguardo sbaciucchiarsi come due innamorati ai primi incontri, ebbe un sussulto di disgusto a vederli leccarsi reciprocamente la pelle. Avrebbe voluto accelerare e travolgerli ma il motore era spento e la conferma di quello che non avrebbe mai voluto sapere lo paralizzò; rimase seduto al volante sino a che la rabbia si dissipò lasciando il posto ad un’ansia angosciosa: lui sepolto nella fossa della vergogna, come poteva aver messo al mondo un essere del genere; da mesi rimuginava su tutto ciò ed il tarlo del dubbio non lasciava spazio ad altro,….ma ormai era tutto chiaro,
Come poteva riacquistare credibilità agli occhi dei paesani….certo non viveva a Milano dove probabilmente di omosessuali c’era una comunità e in una città dove non si conosceva neanche il vicino della porta accanto….ma in un paese come il suo una disgrazia come questa: l’unico figlio, ormai si inceppava anche il pensiero alla parola “maschio”, altro che destinarlo alla falegnameria di famiglia che prima era stata di suo nonno, poi di suo padre, poi sua: suo figlio doveva andare a scuola, al liceo come i figli di papà.
Tornò a casa, si erano fatte le sei, non si accorse che sua moglie fosse uscita, mancava il cappotto dall’ingresso dove era solito tenerlo, stava pensando a quale atteggiamento tenere, di come parlarne con lei; lei che quando le aveva riferito la confidenza di un amico di prestare attenzione a Michele poiché tutto il paese ne parla come di un gay, aveva minimizzato “gay che parola ma se manco la sai pronunciare magari ancora non si è formato e si sente insicuro ad avvicinare le ragazzine”,.
Ma poi spinto da un raptus fece un salto in soffitta, aprì l’armadio di ferro in cui erano custoditi i tesori di famiglia: due fucili da caccia ed una carabina. Tirò fuori la carabina, si appostò dietro la finestra semiaperta, alle sette in punto sentì lo schiocco dell’apriportone e giù uno, due, tre, quattro, cinque, sei colpi uno dietro l’altro.
Mentre le urla dei passanti e la sirena dell’ambulanza si frammisero al frastuono delle automobili che percorrevano le strade limitrofe, alla chetichella scese le scale di casa e si avviò nel garage e dal retrobottega sviò lontano.
Giunse agonizzante in Ospedale ma prima di arrivare in sala operatoria, spirò.
Le indagini risultarono subito assai difficili, si naufragava in alto mare, non aveva nulla dell’omicidio di mafia; forse uno sgarbo a qualche adulto spacciatore di droga di cui era acquirente…..ma chi aveva sparato non era un professionista del crimine, non aveva mirato ad un bersaglio, i colpi sparati all’impazzata e solo per un caso fortuito era stata colpita la carotide. E se fosse stato l’afinalistico gesto di un folle?
A scuola nessuno si era chiesto “perché”? nessun psicologo del territorio era intervenuto. A ricordare solo un mazzo di fiori che i ragazzi avevano posto sul banco vuoto. Assente infatti anche Filippo, il giovane amico: Aveva vagato prima davanti l’Istituto di Medicina Legale e poi nella sacrestia della chiesa dove era stato portato il feretro.
Dopo tre giorni giunse l’autorizzazione del magistrato e si svolsero i funerali nella piccola cappella del cimitero. Il preside aveva fatto sapere, tramite una circolare che chiunque volesse partecipare sarebbe stato esonerato dal portare la giustificazione. In prima fila la madre e le due sorelle più piccole, La pià grande, al quarto mese di gravidanza era stata impedita dal marito che adesso, pentito di averla sposata, doveva vivere questa preoccupazione che quel “coso”che stava per nascere non fosse né uomo né donna, quasi che fosse una tara genetica.
Assente il padre, Dopo aver appreso con disarmante freddezza la notizia dell’assissinio dalla Polizia, si era rifugiato nella casupola di campagna,Sparsi qua e là alcuni insegnanti della scuola quasi tutti quellli della classe,
Nell’altra fila al primo posto Filippo disperato come una giovane vedova ma composto nel suo dolore, chiuso in un mutismo ostinato, rifiutava qualsiasi abbraccio che non fosse dei suoi coetanei. Le ragazze in pianti strazianti, i ragazzi in gesti di nervosismo estremo, erano tutti colpiti dallo stesso dolore come suole il senso di solidarietà del rapporto tra pari che accomuna e che non conosce confini da Milano a Catania.
In seconda fila i genitori di Filippo ignari spettatori. Fuori dalla Chiesa numerosi cittadini conoscenti e non, accorsi per curiosità ma non partecipi.
Lo seppellirono in una fossa comune sulla nuda terra, solo una croce di legno a ricordarne il nome; alla sepoltura mancava anche la madre che, a suo dire sarebbe arrivata tardi per un guasto alla macchina della figlia.
Per i due mesi seguenti per Filippo fu un continuo pellegrinaggio, ogni giorno si recava al Cimitero raccogliendosi in preghiera davanti quella croce, magari arrivando a scuola alla seconda ora come avrebbe fatto quella mattina se un fila di spari non avesse interrotto la sua giovane vita.
Cadde lì davanti la porta fra le braccia del custode accorso perché distolto dai colpi che avevano squarciato il silenzio di quel luogo sacro e che con la coda dell’occhio riuscì a scorgere l’ombra di un uomo che scappava.
Quando la macchina dei carabinieri imboccò la strazzera dell’agro percorrendola lentamente e la luce di fari illuminò il patio, si affacciò sull’uscio e quasi tirando un sospiro di sollievo, si consegnò ai militari limitandosi a pronunciare due uniche parole: “erano gay”-